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Cronache da Locarno 3/ L’amore replicato

Chiara Mastroianni, figlia di Marcello e di Chatherine, è stata accolta e riverita, ieri, a Locarno come “senza alcun dubbio una delle attrici di maggior talento della sua generazione”, stando alle parole del direttore artistico del festival Père, e si è vista conferire l’Excellence Award Moët & Chandon 2010 per la carriera (l’anno scorso era stato consegnato a Toni Servillo); mentre oggi, 7 agosto, il pubblico ha potuto assistere in prima mondiale ad Homme au bain del francese Cristophe Honoré, film in concorso in cui l’attrice è quasi l’unica e appena significativa presenza femminile di una vicenda popolata di soli uomini e soli gay.

Il protagonista principale è un muscoloso omosessuale, con un ghigno di perenne disgusto dipinto in faccia ma con un culo perfetto. Il nostro uomo è interpretato da François Sagat, star francese del porno-gay, già zombie arrapato in un’altra pellicola in concorso, LA. Zombie di Bruce LaBruce.

A dispetto degli onori tributati alla Mastroianni, questo dell’ uomo in bagno o uomo a bagno (-maria?) è un film triste, noioso e inutile, su cui non vale la pena di sprecare altre battute.

wombE invece Womb, forse la pellicola più interessante tra quelle già presentate, è un film di cui parlare. Perché stimola la riflessione su se stessi, evoca l’umanità del futuro, si interroga sulla mutazione antropologica dei sentimenti in atto tra le persone, chiama in causa le conseguenze dell’amore, come fece Sorrentino. E inoltre, nonostante la rigida ambientazione nordica, Womb è capace di emozionare. Ma con misura, compostamente.

Rebecca e Tommy, già teneramente complici da piccoli, si reincontrano dopo un lungo distacco di 12 anni, nell’ambiente rarefatto di un silenzioso villaggio sul mare del nord, e il legame infantile si trasforma in passione. Ma Tommy muore investito da un’auto e Rebecca, ostinata in un dolore lucido e senza una lacrima, decide e ottiene di riportare, o quasi, l’amante in vita. Sfidando l’irripetibilità della natura e rivolgendosi a un futuribile “Dipartimento di replicazione genetica” si fa impiantare nell’utero una replica geneticamente esatta di Tommy ed entra -insieme al nuovo arrivato- in una ciclicità quotidiana, fatta anch’essa di scene identiche, replicate. Su una lingua bianca di spiaggia del mare del nord, una luce perennemente invernale crea un limbo di tempo sospeso, in cui ogni cosa si ripete uguale, per anni, solo per madre e figlio. Il film non si dilunga sul tema della clonazione in se stesso, piuttosto riflette intorno alle sue conseguenze sulla vita delle persone e sui loro sentimenti, è interessato ai suoi effetti sulle relazioni, sulla società. Womb pone implicitamente delle domande ai suoi interlocutori-spettatori, coinvolgendoli nel ragionamento e chiamando in causa le implicazioni morali, emotive, sentimentali di un futuro probabile e inquietante.

Il film ha il pregio di una certa leggerezza, di uno sfumato surrealismo, nonostante il peso drammatico della trama, spesso racchiuso e nascosto nel silenzio di Rebecca, come in un grembo. L’attrice Eva Green, già dreamer di Bertolucci, è tutt’uno con il personaggio della donna, ce lo restituisce intenso.

La sceneggiatura pur affrontando un tema difficile e inesplorato, non si perde in retoriche e dialoghi didascalici e lascia invece parlare l’azione, il maturarsi degli eventi e delle consapevolezze.

Artefice dell’opera è il giovane regista di Budapest Benedek Fliegauf che, nel 2007, ha già vinto a Locarno un Pardo d’oro-Cineasti del presente con il lungometraggio Milky Way.

Womb è un film fatto per pensare. Per pensarci su. Per pensarci prima.

           

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