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 Home page > Tribuna Libera > Crollo del Muro di Valadier: tutti a pontificare

Crollo del Muro di Valadier: tutti a pontificare

Un muro di cinta opera dell'architetto Vladier è crollato, tutti teorici a dire la propria idea, senza verificare e senza cercare altre argomentazioni che non fossero altre che quelle legate al cambiamento del clima.

Analizziamo il metodo costruttivo, che è anche quello con il quale sono fatti la maggior parte dei paesi italiani, per capirci quelle belle casette fatte in tufo o in pietra non squadrata. Per portare il filo del muro esterno ed interno venivano fatte due pareti distanti tra di loro tra i 60 cm fino anche a 1 metro o più, se dovevano essere muri di contenimento o muri perimetrali di case e in questa seconda ipotesi, in base anche al numero di piani delle palazzine, ognuno di questi muri aveva uno spessore di circa 30 cm.

Il legante usato per queste pietre era la calce viva, per fare la quale venivano cotti in appositi forni le pietre calcaree e dopo venivano messe nelle apposite fosse per spegnerla, infatti, c'erano i cosiddetti "smorzi della calce" parola che a Roma e dintorni ancor oggi identifica i magazzini edili.

Inutile dire che questa calce, in genere impastata con inerte costituito da materiale vulcanico chiamato "pozzolana", se non idratata (con apporto di acqua) continuamente dopo essere stata messa in opera, si polverizzava, rendendo quasi vano l'effetto legante per cui le pietre si tenevano insieme, ma è possibile tutt'oggi, rimuoverle singolarmente senza moltissima fatica.

I due muri, interno ed esterno, all'incirca ogni metro (se l'opera era eseguita bene) venivano portati perfettamente in piano da due file di mattoni di terracotta, per poi ripartire con la pietra o il tufo non squadrato, all'interno dei due muri venivano messi altri sassi più piccoli e altra calce, cosicché diventavano un unico elemento.

Se normalmente la vita utile del calcestruzzo (in specie del cemento armato) ormai è ritenuta di massimo 50 anni, possiamo capire benissimo che un muro fatto con materiali scadenti e con due fodere di spessore ridotto, di circa 200 anni, a contatto con piogge acide che si infiltrano fino all'interno, abbia resistito fin troppo. Anche se oggi ci sono soluzioni per prolungare ulteriormente la vita di queste bellezze, non sono prese in considerazione da chi ha in mano lo scettro del comando, visto che le oligarchie di potere pensano a come intascarsi le ricchezze rastrellate con le tasse ai cittadini.

I Greci e i Romani ma anche altri popoli antichi come gli Egizi o I Maya, per accrescere la vita dei loro capolavori preferivano usare grandi elementi monolitici in pietra (per esempio per fare capitelli, colonne, architravi) e fare muri in mattoni di terracotta che possiamo ancora ammirare dopo più di 2000 anni.

La politica dovrebbe occuparsi dei guasti che ha prodotto, e non di emettere sentenze sui beni architettonici della Nazione, forse farebbe meno danni.

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