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Crisi dell’Euro e Costituzione

Crisi dell'Euro e Costituzione

Mentre il Governo illustrava la manovra economica decisa a tutela della moneta unica europea, l’ISTAT diffondeva i dati del suo rapporto annuale e segnalava che sono due milioni i giovani che, dinanzi alla crisi, si sono arresi: non studiano e non lavorano. E’ questa l’occasione per una riflessione sulla nostra Costituzione.
 
L’Italia dei Savoia e dello Statuto Albertino aveva al centro lo Stato, al punto di identificarsi con il carabiniere in divisa ed a cavallo. Probabilmente il ritardo con cui essa si era formata rispetto alle altre Nazioni, l’arretratezza della popolazione, civile prima di tutto ed economica poi, la problematica presenza al suo interno della Chiesa, che ad oggi non ha mai rinunziato alle sue pretese temporali, non consentivano altrimenti.
 
La Costituzione repubblicana del 1948 è stata una vera e propria rivoluzione copernicana, che ha portato al centro la persona umana come fine e valore fondamentale; anche se, nel DNA della Repubblica, sono a lungo rimasti ed ancora in parte rimangono i cromosomi dell’era monarchica, del suo autoritarismo e del suo centralismo. Non è certo un caso che quasi solamente nel nostro Paese, in Europa, si siano registrate talune patologie della vita civile e politica, quale la lunga stagione del terrorismo, vera e propria valvola di sfogo di un acuto malessere; ed altre ancora si registrino, ad esempio nella nascita e nel proliferare di movimenti separatisti o nelle discrasie dell’apparato repressivo (forze dell’ordine e magistratura).
 
Fra le prime conseguenze del mutato quadro istituzionale a seguito della Costituzione repubblicana, l’impegno per una politica a favore delle classi più deboli e contro le ingiustizie sociali.
 
Orbene, dinanzi a due milioni di giovani che si sono arresi, ha ancora senso ritenere svantaggiato e debole chi appartiene alla categoria dei soggetti integrati nel mondo del lavoro? Dinanzi alle folle meridionali di Enna o di Potenza o di altro luogo ancora, prive di qualsiasi prospettiva economica diversa dal reiterare l’endemica pratica dell’emigrazione verso altri lidi e del doloroso conseguente sradicamento umano, ha senso porre come prioritario il problema del cuneo fiscale dei dipendenti delle floride innumerevoli fabbriche metalmeccaniche emiliane? Ed ancora, dinanzi a quelli che ce l’hanno fatta e sono riusciti a trovare lavoro alla cassa di un supermercato per ottocento euro al mese, ha senso la difesa del tenore di vita della dirigenza pubblica, per la quale sette-ottomila Euro al mese di stipendio o di pensione sono la norma? Così facendo si difende la Costituzione e l’autonomia della magistratura o si difendono i cospicui conti in banca di soggetti privilegiati oltre misura ?
 
Quel che appare con solare evidenza da queste riflessioni è che Destra e Sinistra, conservatori e progressisti, hanno fatto un ben diverso cammino dopo la fine della prima Repubblica. Anzi, i conservatori hanno fatto una vera e propria “lunga marcia”, che li portati sulle posizioni di una destra moderna ed avanzata, mentre i progressisti non si sono spostati di un millimetro, perdendo ogni contatto con la società civile, quella, per intenderci, che oggi ha al suo interno il disagio di due milioni di giovani che hanno perso la speranza.
 
E dinanzi alla crisi dell’Euro, va detto che è dalla Destra e non dalla Sinistra, che giungono risposte coerenti.

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