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Continua il dramma della auto-immolazioni in Tibet

Due giovani cugini tibetani si danno fuoco presso il Monastero di Kirti

Prosegue inesorabilmente la tragedia delle auto-immolazioni, una piaga che affligge il Tibet dal 2009. Il bilancio dei martirii sale a quota cinquantuno, ad un mese di distanza dal sacrificio compiuto dallo studente del monastero di Gedhen Choeling Tashi, Logan Lozin.

Lunedì 27 agosto è stata la volta di due cugini: Lobsang Kelsang, monaco diciottenne avviato presso il cenobio di Kirti, e Lobsang Damchoe, ex monaco di diciassette anni. Secondo le ricostruzioni riportate dai monaci di Kirti in esilio a Dharamsala, i due giovani si sono dati fuoco a Ngaba (in cinese: Aba), vicino alla porta orientale del monastero di Kirti, nella stessa zona in cui il 27 febbraio 2009 avvenne l'autoimmolazione di Tapey, l'episodio che consacrò il drammatico elenco di martirii.

Secondo le fonti, Lobsang Kelsang e Damchoe Lobsang avrebbero percorso un breve tratto di strada con i corpi avvolti dalle fiamme, per poi cadere esanimi a terra.

Inutili i soccorsi dei responsabili del personale di sicurezza cinese, che una volta spente le fiamme grazie all'uso di estintori hanno condotto i due tibetani presso l'ospedale della città di Ngaba, all'interno della Prefettura autonoma di Qiang (zona tibetana di Amdo), trasferendoli successivamente a Barkham (cinese: Ma'erkang). Nulla da fare per i due giovani, che sono morti durante i primi soccorsi. La polizia cinese ha in seguito deciso di prendere in custodia Lobsang Palden, il compagno di stanza di Lobsang Kelsang presso il monastero di Kirti.

Stando al report di ICT (International Campaign for Tibet), nella famiglia di Lobsang Damchoe il supplizio di lunedì scorso replica e soggiunge una tragedia già segnata, dal momento che la sorella maggiore, Tenzin Choedron, monaca avviata presso Mame Dechen Chokorling a Ngaba, si è auto-immolata in data 11 febbraio 2012. In seguito al sacrificio della sorella, Lobsang Damchoe decise di abbandonare l'impegno monastico per aiutare la madre con il suo lavoro in una zona nomade di Ngaba.

A dispetto delle dichiarazioni rilasciate in data 15 luglio sul Washington Post da parte di Lobsang Sangay, attuale capo del governo tibetano in esilio, non si placano le politiche di repressione perpetuate dal governo di Pechino. Sangay ha definito le auto-immolazioni tibetane come “un chiaro atto d’accusa alle politiche fallimentari del governo cinese in Tibet”, con particolare riferimento alle “politiche fondate sull’oppressione politica, sull’emarginazione sociale, sull’assimilazione culturale e sulla distruzione dell’ambiente".

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