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Conferme sull’accordo tra sauditi e Washington sui paesi in rivolta

Giungono sempre più conferme dell'accordo con il quale Washington ed Arabia Saudita si sono divise l'influenza sui paesi arabi in rivolta. Le repressioni in Bahrein e Yemen confermano che l'Arabia Saudita ora gestisce le danze e che per i movimenti riformatori si preannunciano tempi durissimi nella Penisola Arabica. Le dinastie che fino a pochi giorni fa erano nel panico sembrano aver ripreso il controllo e l'iniziativa. Se il Bahrein è sotto controllo saudita, l'opposizione e il governo dello Yemen sono stati caldamente invitati da tutti i paesi del Golfo a recarsi a Riyadh per accordarsi. Il che non ha comunque impedito che in Kuwait si levasse la protesta per chiedere all'emiro di non riconfermare il premier al potere da decenni. Ricordate il Kuwait? Quel piccolo paese gonfio di petrolio, invaso da Saddam e poi liberato dagli americani? Quello che doveva diventare una democrazia nei progetti dichiarati dagli americani e che invece è ancora al medioevo, in balia di un sovrano assoluto? Il Kuwait ha annunciato che riconoscerà il governo di Bengasi e allo stesso tempo sostiene il re assassino del Bahrein. L'assenso della Lega Araba all'attacco alla Libia (formalmente limitato alla risoluzione ONU, ma di fatto per nulla a disagio con l'immediata escalation) è valso la mano libera per i Saud nel Golfo.

L'assenso della Lega Araba è esso stesso fonte di perplessità, visto che solo nove dei ventidue paesi che la compongono hanno votato a favore dell'intervento in Libia. Proprio come l'Arabia Saudita, che ormai può vantare una libertà d'espressione a livello di Corea del Nord e che a ogni sospiro di protesta reagisce addirittura imponendo il coprifuoco. Inutile dire che l'intervento dei militari sauditi in Bahrein è gravissimo e che la repressione che lo ha seguito non è su una scala diversa dalla reazione di Gheddafi. Un migliaio di detenuti, gli arresti che continuano senza soste, l'assenza di garanzie per gli arrestati e qualche decina di morti, testimoniano una ferocia non comune in relazione alla popolazione della città-stato che conta appena mezzo milione di cittadini. Feroce e inutilmente violenta perché la protesta è stata sempre civile e non violenta, non c'è stata alcuna ribellione armata in Bahrein. La chiusura del giornale d'opposizione, tornato in edicola solo dopo il cambio dell'editore e l'abbattimento del monumento che decorava la rotonda della Perla, hanno avuto il sapore del gesto dell'autocrate stizzito e offeso, l'ultimo spregio alla gente che ha fatto uccidere e imprigionare, tale e quale a Gheddafi e agli altri dittatori che lo hanno preceduto nella disgrazia. La contro-rivoluzione nel Golfo sembra in formissima. Ma nessuno gli dice niente e anche il Dipartimento di Stato che inizialmente lo aveva invitato a non schiacciare la rivolta, adesso tace. Un ottimo affare per i sauditi e per le dinastie del Golgo, tutto da verificare per Washington, sicuramente un danno per i paesi coinvolti in questo scambio delle figurine e per quelli che annaspano a margine, rincorrendo affannati per assicurarsi qualche briciola di non si sa quali guadagni.

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