• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Società > Concorsone: ma è di questo che ha bisogno la Scuola?

Concorsone: ma è di questo che ha bisogno la Scuola?

Ieri è iniziato il “concorsone” per gli insegnanti (o per lo meno la prima prova, la cosiddetta scrematura per accedere a quelle successive).

 

Trecentoventi mila candidati per 11.542 posti. Tra questi 320 mila, tanti disoccupati che non hanno mai insegnato e sperano in un posto fisso, ma anche tanti, tantissimi maestri, maestre, professori e professoresse che alla scuola hanno dedicato anni e passione, iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, saltellando da un plesso all’altro, cambiando alunni ogni anno.

A guardare le domande di questo primo test, sono le capacità logiche e digitali ad essere privilegiate, 50 indovinelli a risposta multipla da risolvere in 50 minuti. Oltre il 65% dei candidati è stato bocciato.

Parto dal presupposto che la logica, la capacità e velocità di ragionamento sono importanti componenti di una didattica intelligente, per formare bambini e ragazzi svegli e brillanti. Ma è una scriminante sufficiente?

In una scuola martoriata e decadente in tutti i sensi, dove non si impara più, dove il maestro unico si divide in quattro e chi ne ha bisogno non ha quello di sostegno; in una scuola che dovrebbe formare i cittadini di domani, che dovrebbe trasmettere amore per la cultura ed il sapere in un tempo in cui l’economia (delle proprie tasche) sembra l’unica scienza possibile, in una scuola del genere, è – solo – questo quello che serve? Il test di logica è il corretto metro di giudizio?

E quello sulle competenze informatiche è davvero fondamentale, tale da impedire il passaggio alla fase successiva, in una scuola in cui cadono pezzi di intonaco in testa ad alunni ed insegnanti e le aule computer sono spesso un miraggio?

Io ricordo il mio maestro di storia, geografia ed educazione civica delle elementari. Non so se avrebbe saputo rispondere alle domande del concorsone, forse no. Ma la mattina in classe ci faceva leggere un quotidiano, ci ha spiegato la resistenza cantando bella ciao e raccontandoci le storie dei partigiani. O la mia professoressa di italiano al liceo, che ci ha fatto innamorare della Divina Commedia e della letteratura, tant’è che alla maturità abbiamo scelto tutti lo stesso tema, l’analisi del testo. D’altro canto, ho avuto insegnanti preparati – forse – ma completamente incapaci di raccontarmi anche solo cos’avevano mangiato a pranzo (e non ne avrebbero avuto neanche voglia).

Insegnare è un mestiere difficile, forse uno dei più complicati. Non è neanche detto che chiunque, anche se preparatissimo in una materia, sia in grado di farlo. Insegnare vuol dire trasmettere ciò che si sa ad altri individui, spesso bambini o comunque in fase di crescita. E’ il tentativo di far amare ciò che si ama o, per lo meno, di farlo rispettare.

Non sono convinta che la scuola, questa scuola, abbia bisogno solo di gente con un certo tipo di capacità, siano digitali, logiche o altro. E non sono convinta che 50 risposte multiple inviate ad un terminale che in tempo reale dà il risultato sia il metro con cui un genitore sceglierebbe a chi affidare la costruzione della coscienza culturale del figlio.

Non è un concorso pubblico qualsiasi, per un posto fisso pubblico qualsiasi.

Sennò la scuola diventa una istituzione qualsiasi, e invece deve rimanere – o tornare ad essere – Scuola.

Commenti all'articolo

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares