• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Scienza e Tecnologia > Comunicare la scienza: rock, pins e t-shirt

Comunicare la scienza: rock, pins e t-shirt

Forse la colpa è delle spillette. Intendo le pins, quegli affari che si attaccano sulla giacche o su zainetti e borse. In genere le associ sempre a gente gagliarda che da giovane ti sembra molto simpatica e interessante. A me almeno è capitato così, ma solo alla fine di un cammino di fascinazione che aveva come probabile e provvisorio punto di arrivo l’emancipazione.

Insomma da bambino volevo fare il biologo e come tutti i timidi trovavo rifugio, sicurezza e calore nelle letture, magari le più strambe o eccentriche. Alle elementari conoscevo tutte le complicate famiglie di dinosauri e mi sforzavo di sapere i nomi delle piante e degli animali nella loro nomenclatura binomiale in latino. Il mio passatempo preferito era leggere i romanzi di Sherlock Holmes, insieme a complicate e macchinose battaglie storiche ricostruite con schiere di soldatini Atalntic (i miei preferiti erano in scala 00, quelli piccoli per capirci). Insomma, mi ero creato il mio personale scudo dalla timidezza (fortuna che negli anni frequentare gli scout mi aiutò ad essere estroverso, simpatico, cercato e con gli amici). Ma quella strada era segnata: la passione della lettura, la curiosità eclettica, mai ferma, le domande e i dubbi.

E pensare che durante il mio catechismo per la prima comunione feci infuriare un accigliato don Ettore: aveva proprio quelle tipiche ciglie bianche all’insù che gli davano un’aria severa, da precettore da collegio, il classico prete. Avevo espresso il dubbio che l’uomo non era diverso dagli animali perché avevo letto che discendevamo dalle scimmie e che non era vero quanto sosteneva: che eravamo superiori grazie alla parola, anche i pappagalli parlano (sicuramente quel don Ettore lì voleva intendere la Parola e non semplicemente l’emanazione di suoni articolati detti così: senza consapevolezza). Insomma quel ragazzino che ero io, oggi lo definereste più o meno un nerd. Solo che i computer erano ancora grandi come frigoriferi e nei film sputavano lunghe strisce di carta misteriosamente punzonate. Negli anni ‘80 ci chiamavano “secchioni” e le mamme dicevano che eravamo dei timidi, le più istruite usavano dire “introversi”.

Alle superiori i dinosauri non mi bastavano, così come le deduzioni logiche nei gialli di Arthur Conan Doyle e presi a leggere tanta altra roba. Dalle deduzioni alle domande e preferii chi metteva in dubbio le certezze, chi domandava e non si accontentava. Chi scavava. Insomma i miei preferiti erano Silone, Dostoevskij e Orwell. Leggevo e vedevo anche tanta fantascienza. Ma mi stavo preparando al passo successivo: la ribellione, quindi Kerouac, la beat generation e con un mio amico altrettanto “timido” e “introverso” passavamo i pomeriggi a sfogliare gli album fotografici dei beatnik di successo, affascinati dai modi che trasmettevano con quelle pose impacciate, con le loro giacche sgualcite e con le montature nere degli occhiali (oggi tornati di moda).

In qualche modo ci identificamo e pensavamo che non eravamo così sfigati se da un’altra parte del mondo, negli anni in cui nascevamo c’erano altri sfigati che però erano famosi per intelligenza e sregolatezza. Lentamente la mia curiosità e insofferenza incontrava per simpatia quelli che in qualche modo ereditavano quelle idee e quegli stili e fu naturale approdare a movimenti, gruppetti “alternativi”. Gente impegnata. Anche perchè i beatnik non erano sopravvissuti e c’erano solo loro, i militanti. All’inizio fu il volontariato, poi l’appartenenza ad una idea “progressista” e sempre più di sinistra, sempre convinto che il dubbio fosse una prerogativa che stava per forza da quelle parti: per storia, identità, formazione.

Non era proprio così e mi ci sono trascinato per degli anni cercando di incastrare e far quadrare la mia indole con quella parte che in realtà di domande se ne faceva poche. O meglio: le faceva e le fa, ma rivolte agli altri -intimamente convinta di aver ragione, sempre. Quindi i perché erano e sono sempre rivolti per ribadire e contrastare il “sistema”, le “multinazionali”, “l’imperialismo”. A seconda dei momenti e dei fatti, i bersagli cambiavano. Mi rendo conto che per non far deflagrare un conflitto con me stesso, cioè con la mia personalità e le idee che sento tutt’ora, cercavo di aggiustare, incastrando a forza ragionamenti e giustificazioni improbabili. Credo di non essere stato l’unico ad aver sprecato tanta energia.

Ma alla lunga non si può far torto a se stessi, alla propria intelligenza; non si può essere indifferenti negli affetti a chi si è sacrificato per farti studiare, a chi ti ha insegnato. E di fronte all’evidenza concreta e pratica di alcune cose non si poteva più barare con se stessi. Così finisci per fare e farti delle domande, ma -come dire?- al contrario. Rivolgendole ai tuoi amici, alla tua parte, per scoprire poi l’insoddisfazione e fare l’esperienza non proprio piacevole di non essere compreso e a volte anche tacciato di essere come una specie di “traditore” che poi si concretizza in quella magnifica e trita locuzione: “ma come sei cambiato”. Già, che fesseria. Tutti siamo cambiati. Per fortuna, mi dico.

Le cose non si presentano mai in modo semplice e lo sconforto ti prende - almeno all’inizio - quando ti accorgi che in realtà quella parte bellissima ed emozionante della ricerca delle domande e della messa in discussione in realtà era praticata da chi aveva già provato sulla pelle e a caro prezzo tutto questo (cioè, lo sapevi anche prima pensando che era successo, non che poteva continuare a succedere), cioè i Silone, gli Orwell e compagnia cantante.

Sì, ma le spillette? Ci arrivo. In fondo non è un post complicato, ma una semplice constatazione tirata in modo spiccio.

Continuando gli studi e faticando ogni volta con le frequentazioni arrivi che non ne puoi più, ma rimane la simpatia per una certa spigliatezza, una certa ironia, creatività (anche se alla lunga stanca pure quella). Tanto per farmi capire: preferivo pogare al Forte Prenestino con i Mano Negra o i Fugazi piuttosto che stare in discoteca a sbomballarmi con Eins Zwei Polizei, Bailando e Barbie Girl. Questo significava che ogni volta prima di darci dentro per passare una bella serata divertente ti dovevi beccare il predicozzo sui “compagni arrestati”, sulla bontà della marijuana per fare i pneumatici e i dolci, e tutto l’armamentario più o meno fricchettone.

Però era dura stare ad ingoiare come un fesso tutte quelle cialtronerie sui complotti imperialisti, le biotecnologie usate contro l’umanità e tutto il resto che ancora oggi vive, vegeta e si diffonde tramite la rete. Insomma, a me tutta quella critica riciclata malamente della società mi stava stretta.

Ammetto che ci sono andato avanti per un po’, incastrando a forza come dicevo sopra. Simpatizzante eco-pacifista, sempre per l’affetto umano e amichevole, mi rifiutavo di abbandonare il campo. È dura cambiare tutto insieme. Ma alla fine è il mondo che cambia e tu con lui e come ogni processo si lascia dietro di sé detriti di ogni genere. Nel campo -diciamo- sociale sono proprio quelli che abbiamo sentito e continuiamo a sentire con ritmo martellante. Buone intuizioni, giuste preoccupazioni, molta sicurezza, poco approfondimento, troppa retorica etico-moralista rivolta sempre contro gli altri, senza mai fare i conti con le proprie idee. (Possibile, mi dico, che nessuno venga mai sfiorato dal dubbio che tutte, ma proprio tutte le posizioni prese siano sempre giuste? Mai un dubbio, ma sempre prevenuti).

Ok, arrivo alle spillette. Da poco tempo guardo con un po’ di affettuosa nostalgia tutta quella roba lì che pure mi è appartenuta e che per alcune cose sento ancora appartenermi (tipo disparità, disuguaglianze, sofferenze, molti diritti – non tutti). Sono ancora inguaribilmente giovane, libero, “scapestrato” e contento della vita.

Comunque per non far torto ai miei studi e per come sono cresciuto guardo di più a fatti e numeri e molto meno ai proclami, soprattutto se non verificati.

A voler essere più seri mi sembra che ad un certo momento c’è stato come un divorzio tra una cultura letteraria e umanistica e quella scientifica che molti comunque fanno risalire all’idealismo di Gentile & co. (secondo me a partire dalla fortuna dei movimenti negli anni ‘70, con tutto il contorno di “pratiche alternative” e stili di vita “naturali” ecc. ecc.) può essere. Di sicuro che da Pasolini in poi ha prevalso nel campo che continua a definirsi “progressista” la nostalgia per “l’età dell’oro pre-industriale” quando si viveva con semplicità e in armonia. Dimenticando le durezze e le ingiustizie, le malattie e le scarse opportunità del bel tempo che fu. Oggi è molto meglio, non c’è dubbio. Neanche vale la pena soffermarcisi. Da questo punto di vista mi viene in mente che ogni volta che in questo momento si contesta battendo tasti sul pc per far “sapere” al mondo le malefatte delle multinazionali, si accetta un compromesso inconsapevole: le stesse cattivone sono quelle che gli hanno venduto il pc con tutti gli algoritmi e l’elettronica sofisticata connessa.

Però, accidenti che noia! Non è che ti puoi attaccare una spilletta con un simpatico pomodoro che ti sorride “sì agli ogm”. Ecco è tutto qui.

Frequento per diletto e per simpatia (come prima) dei gruppi che si preoccupano e si lamentano per come viene trattata la scienza, per come viene vista e percepita. Quasi sempre “amica di multinazionali”, “asservita” -di volta in volta- al Capitale, alle Aziende, al Potere. Fate voi, tanto la litanìa qualsiasi sia la vostra opinione la conoscete bene. E la rete -grande opportunità- è diventata ricettacolo di teorie bizzarre, battaglie incomprensibili e irrazionali (tipo Stamina, scie chimiche, fraking, no-ogm).

Beh, queste simpatiche persone molto preparate e sempre pronti e disponibili a fornirti un link, uno studio, una pubblicazione che dimostra l’inconsistenza di cui sopra, si lamentano giustamente di non essere ascoltate. Giustamente? Sì, ma niente possono se continuano a sentirsi sempre assediati e se comunicano male. Non è loro compito, d’accordo. Un ricercatore e uno scienziato non devono comunicare, ma studiare cercare scoprire migliorare, inventare. Sì però. Visto che però comunicare è stato sempre necessario per farsi capire e per divulgare e far conoscere la bontà di quello che si sta facendo bisognerà anche farlo bene. E non sempre queste ottime persone considerano quanto sia importante. Oggi che un tweet, un post, possono accattivarsi simpatia e consenso bisogna (ri)pensare come dire quello che si vuole condividere.

Ad esempio la bontà di una tecnica per difesa preventiva viene sempre presentata come risolutiva oppure -nei più moderati- efficace per risolvere quel tipo di problema. Il nucleare? Risolverà il nostro problema energetico. Gli OGM? Sfameranno il mondo. Tanto per fare due esempi che sono sempre molto contestati con successo di pubblico.

Frequentando questo genere di preoccupazioni nei dibattiti variamente presenti in rete qualcuno inizia a chiedersi se presentare la scienza come una “religione” che non può sbagliare, che non ha conflitti d’interessi, che è solo interessata a migliorare le condizioni di vita, che non ha spazi di ambiguità certo non aiuta e ci vedo come un atteggiamento difensivo. Comprensibile, ma poco spendibile. Anche io, armato sempre di buona volontà, viste le mie precedenti frequentazioni avverto sempre una forma di snobismo verso chi non si esprime nei termini corretti (ah! io sono uno di questi, non c’è dubbio), che usa un linguaggio non appropriato e che per insufficienze varie si lascia abbindolare dalle prime stupidaggini diffuse in modo virale. Forse che anche una certa immagine ha una sua importanza nel costruire un consenso? Forse sì. Greenpeace ed altri hanno lasciato molti segni comunicativi che hanno avuto presa: la fragola-pesce, la maschera antigas. Hanno una loro presa. Penso che siano degli ottimi creativi con gli slogan, le fotografie di tecnici imbardati nelle tute chimiche nei laboratori. Un futuro da pubblicitari, certo.

In questo video su youtube c'è il confronto pro e contro gli ogm al Festival Letteratura di Mantova dove s’impara anche una lezione che scava magari più in profondità. Spiegare bene e per storie circostanziate può ribaltare la percezione comune.

In quel dibattito dopo che la votazione iniziale era contraria per maggioranza agli ogm si aveva l’esatto contrario: una maggioranza a favore. Senza ridicolizzare le opinioni degli “avversari” (chiamiamoli così), rivolgersi alle persone indecise che non hanno bandiere, senza lamentarsi dell’ostracismo nei propri confronti, trovando un linguaggio comprensibile al grande pubblico, capire se ci sono dei punti di contatto, capire come certi concetti errati e superficiali si generano, senza per questo fare continuo debunking, rinunciare anche alla tentazione di presentare delle soluzioni come salvifiche, riusare quelle idee a favore delle proprie tesi può aiutare a informare quella gran parte delle persone che decide in fretta e su poche fragili basi di essere perplessa può essere d’aiuto.

E forse qualche spilletta o maglietta (che significa una comunicazione anche più efficace, sprint, fresca o in una parola “rock”) può facilitare e rendere meno ostile temi e questioni che per la scienza sono accertate e verificate.

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Truman Burbank (---.---.---.251) 28 ottobre 2013 14:43
    Truman Burbank

    Parto dalla fine:
    E forse qualche spilletta o maglietta (che significa una comunicazione anche più efficace, sprint, fresca o in una parola “rock”) può facilitare e rendere meno ostile temi e questioni che per la scienza sono accertate e verificate.
    Ecco la certificazione che la scienza di oggi è diventata uguale alla religione di una volta, sente il bisogno di immagini sacre per fidelizzare le masse. Una volta si usavano collanine e santini, adesso si usano spillette e magliette.

    Ex falso quodlibet, insegnava la sapienza antica. Ed è ciò che fa la "scienza" quando da una parte sostiene il falsificazionismo di Popper, secondo il quale nessuna conoscenza scientifica è certa, mentre nelle feste di piazza si vende come fornitrice di certezza.
    Non è una novità, anche la vecchia chiesa invitava ad avere fede in Dio e pregare, mentre tutto il male del mondo era dovuto a Satana.

    E così tutti i disastri causati dalla cosiddetta scienza sono dovuti all’ignoranza delle persone, che vanno dietro al maligno, mentre gli ogm tossici sono indiscutibilmente buoni.
    Il clima impazzisce: è colpa di Satana.
    L’aria inquinata è piena di cancerogeni: è colpa di Satana.
    Numerose persone intorno a te si ritrovano addosso tumori: è colpa di Satana.

    • Di (---.---.---.104) 28 ottobre 2013 22:31

      Ciao. Le mi considerazioni volevano essere più terra-terra. Mi sembra di non aver scomodato Satana. La scienza a volte pensa di essere la leva e la risposta a tutti i mali. E’ vero e vivo con disagio questo aspetto. Ma le tesi di Popper e della falsificabilità oltre che la verificabilità credo che siano un buon antidoto. Tant’è che sono anni che vengono coltivati gli ogm su tanti terreni in larga parte del mondo senza che gli effetti tossici si siano verificati, come dimostrato appunto dagli studi, tutti. Il guaio è che chi si oppone (parlo degli ogm perché sono un caso emblematico) nno presenta mai studi scientifici verificabili e solidi. Tutto qui. Forse molte volte sono i contestatori che impugnano tesi antiscientifiche come una religione. Comunque, ripeto, la mia era una considerazione terra terra. A volte la torre d’avorio rimane lì svettante e forse sprezzante. Se comunicasse anche con metodi che altri usano con laggior successo ed efficacia sul piano comunicativo ne trarrebbe giovamento e noi avremmo forse una consapevolezza maggiormente informata. A presto e grazie per il commento.

  • Di pint74 (---.---.---.124) 28 ottobre 2013 21:16
    pint74

    Sicuramente molti ricercatori e molti promotori sono in bona fede e vedono negli OGM il futuro...Sfortunatamente non comandano loro ne la ricerca e ne dirigeranno loro la produzione,qui entrano in gioco le grandi multinazional,i grandi interessi economici,gli stessi interessi che calpestano,in molti casi,la vita di milioni di persone al solo scopo di lucro.Come possiamo lasciare il nostro futuro alimentare in mano a questa gente?
    Sarebbe da ingenui pensare,visti i numerosi precedenti in medicina ed altri campi,che chi ha il potere economico faccia qualcosa ,senza chieder nulla o quasi,per la collettività.
    Gli stessi governi potrebbero mettere paletti e leggi a volonta a nostra tutele,ma ,visti i conflitti di interessi di cui si sente spesso parlare e presenti quasi in ogni governo di questa terra,chi si fida?
    Approvare le culture OGM,con il sistema economico attuale,con lobby stramiliardarie in grado di fare quello che vogliono,compreso influenzare la politica,il sistema di ricerca ed il mondo universitario,da dove dovrebbero nascere le menti che ci daranno un futuro migliore,sarebbe,a mio avviso,molto rischioso.
    Un vecchio detto,se non erro,diceva che chi controlla i soldi controlla i governi,chi controlla il cibo controlla la gente.

    • Di (---.---.---.104) 28 ottobre 2013 22:45

      Ciao. Mi trovo più o meno d’accordo con quanto scrivi. L’idea che mi sono fatto leggendo vari studi e analisi è che limitare molto la ricerca pubblica in fatto di ogm ha fatto sì che diventasse "esclusiva" per le multinazionali. Ad esempio leggevo che le piantagioni di mais e cotone ogm sono così diffuse prché le multinazionali trovano conveniente coltivarle per una serie di aspetti e parametri che non sto qui ad elencare e che si trovano agevolmente in rete (consiglio la sezione dedivata agli ogm dal blog di Bressanini). Ma ad esempio se hai la pazienza e il tempo di guardar il video postato verso la fine (credo) si fa l’esempio del salvataggio della papaya grazie agli ogm e alla ricerca pubblica. E comunque grazie per il commento.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares