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Come si costruisce una guerra di mafia (seconda puntata)

Tracce, appunti, brevi anticipazioni del libro inchiesta su Cosa Nostra "A schiena dritta" in uscita a marzo per la casa editrice Socialmente. In questa puntata la ricostruzione fra la prima e la seconda guerra di mafia. E l’ascesa di Totò Riina e dei Corleonesi.

Per capire la Cosa Nostra di oggi è necessario tornare indietro nel tempo, ripercorrere tutta l’ascesa dei Corleonesi e di Riina. È necessario riaprire le carte, scorrere i verbali dell’audizione della Commissione antimafia, leggere sentenze, motivazioni, verbali. In gran parte letture già fatte negli anni precedenti, ma che con l’esperienza del lavoro di “scarpe” iniziato ad aprile 2008 mi hanno consentito di vedere similitudini inquietanti fra le “guerre” del passato e quella in preparazione oggi.

E allora ripercorriamo la storia di questi conflitti, fin troppo rimossi dalla memoria collettiva, dimenticati fra le righe di centinaia di libri, miglia di pagine di inchiesta. Le guerre di mafia non sono un’eccezione nella storia di Cosa Nostra. Quando il business non basta a tenere insieme le famiglie, chi vuole scalare il potere lo fa grazie alle armi. E i conflitti più sanguinosi sono nati proprio a Palermo e nel triangolo Punta Raisi, Corleone e Castellammare del Golfo. Non scaramucce, ma guerre con centinaia di morti durate anni con ricadute devastanti su un territorio già colpito da problemi di povertà, disoccupazione, esclusione sociale. Un composito strato di emarginazione nel quale Cosa Nostra, con il suo potere di attrazione identitario, ha attinto per reclutare i propri soldati.

Nel 1962 una truffa su una partita di eroina scatenò quella che viene definita la prima guerra all’interno di Cosa Nostra. È febbraio quando i fratelli Angelo e Salvatore la Barbera, capo-mandamento di mafia delle famiglie di Borgo Vecchio, Porta Nuova e Palermo Centro, insieme alla famiglia Greco decidono di acquistare un cospicuo quantitativo di eroina da inviare ai cugini oltreoceano per saturare il mercato statunitense. Inviato a New York a controllare l’operazione è Calcedonio Di Pisa, che imbarcata l’eroina sul transatlantico Saturnia, dopo alcune settimane consegna il carico ai mafiosi di Brooklyn. Ma subito dopo lo sbarco negli Usa emerge un problema. Un grosso problema. Il quantitativo giunto oltreoceano non è quello pattuito. Di Pisa viene accusato di aver sottratto parte del carico e viene immediatamente convocata in Sicilia “la Commissione” per indagare sulla questione spinosa che rischia di mettere a repentaglio le relazioni con i “cugini” di New York. Il “processo” è breve ma accurato e la Commissione alla fine “scagiona” l’accusato. I Barbera, principali finanziatori del “business” non andato in porto, non accettano la decisione del vertice di Cosa Nostra, a cui comunque appartengono, e il 26 dicembre del 1962 Di Pisa viene assassinato su loro ordine in piazza Principe di Camporeale, a Palermo. È l’inizio della guerra.

Salvatore La Barbera, mandante dell’omicidio, è uomo di peso nel sodalizio mafioso che controlla Palermo città ed anche la persona che introduce, su raccomandazione di Vito Ciancimino, la famiglia dei corleonesi ai “piani alti” della gerarchia di Cosa Nostra. Si sente in diritto di far pesare il proprio potere e rifiuta la decisione della Commissione, nata solo nel 1958 come processo di modernizzazione e potenziamento del potere mafioso in Sicilia, e da lì a pochi anni anche in altre zone del Paese. Ma non basta, lo sgarro alla cupola mafiosa è stato troppo eclatante e la Commissione decide di punire chi ha disubbidito, mettendo in discussione il potere di controllo di quella struttura che poi, successivamente, sarà conosciuta soprattutto con il nome di “cupola”. Salvatore La Barbera sparisce con un altro mafioso, Primo Vinti. Lupara bianca per ordine dei Greco che rappresentano in quel momento il vertice della struttura di coordinamento e comando di Cosa Nostra. Dopo la morte del fratello, certa anche se non verrà mai ritrovato il corpo, Angelo La Barbera decide di rispondere e Il 13 febbraio un’Alfa Romeo Giulietta imbottita di esplosivo rade al suolo la casa di Salvatore "Ciaschiteddu" Greco a Ciaculli. Greco è all’epoca capo della "Commissione" della mafia, e certo non può accettare che si metta in discussione direttamente il suo potere in maniera così evidente e infatti risponde il 19 aprile, mandando due killer in pieno giorno a riempire di colpi di mitra la pescheria Impero in via Empedocle Restivo appartenente ai clan rivali. Poi tocca al boss di Cinisi Cesare Manzella, alleato dei Greco, ucciso con un’autobomba davanti al cancello di ferro della sua piantagione di limoni. E il 30 giugno dello stesso anno un’altra autobomba esplode a Ciaculli, uccidendo sette uomini delle forze dell’ordine. La repressione causata da questa strage è un colpo al traffico di eroina con gli Stati Uniti. Lo Stato, sembra, alzare la testa. Molti mafiosi vengono arrestati e il controllo del traffico rimane nelle mani di pochi latitanti fra cui i cugini Greco, Pietro Davì, Tommaso Buscetta e Gaetano Badalamenti. La guerra si conclude soltanto il 10 dicembre 1969 con la morte del boss Michele Cavataio, uno dei protagonisti di questo conflitto, ucciso all’interno di un ufficio di Palermo da alcuni killer camuffati da agenti della guardia di finanza (conflitto a fuoco conosciuto come “la strage di viale Lazio”). La pace mafiosa ha un nome e un capo: il mercato dell’eroina e Salvatore Greco. E un clan emergente, quello dei corleonesi di Totò Riina alleato con Liggio, è ormai riconosciuto da tutta Cosa Nostra come quello con la migliore capacità militare.

Salvatore Greco, per inquadrare il personaggio al vertice della mafia negli anni Sessanta, secondo il pentito Tommaso Buscetta sarebbe coinvolto perfino nella morte di Enrico Mattei e avrebbe partecipato alla decisione di uccidere anche il giornalista Mauro De Mauro mentre era in Venezuela. Nel 1968 in primo grado viene condannato in contumacia a quattro anni di carcere al processo di Catanzaro sulla strage di Ciaculli. Ma in seguito viene assolto per gli stessi fatti. Tornato dal Venezuela, cerca di contrastare Totò Riina e i corleonesi, che hanno aprofittato prima della guerra e poi del forzato espatrio in America latina del capo delle Commissione per ritagliarsi una fetta importante di potere, alleandosi con Gaetano Badalamenti, Giuseppe Di Cristina e Salvatore Inzerillo. Ma la scalata di Riina continua inesorabile. E dopo la morte di Greco nel 1978 in Venezuela per cirrosi epatica, i corleonesi si sentono pronti al salto. E non aspettano molto a mettere in atto una scalata violenta e efficace.



Il posto di Salvatore Greco al vertice della Commissione viene preso dal cugino, Michele detto “il papa”, che si allea con Riina. Dopo dieci anni di tregua armata riesplode la guerra fra i clan. Anzi, “la mattanza”.

La tregua aveva già iniziato a traballare nel 1971 quando i corleonesi decisero di rapire Antonino Caruso, figlio di un noto aristocratico palermitano amico di Vito Ciancimino. Ma bisogna aspettare il 1978, e la morte di Salvatore Greco, per vedere esplodere la tensione rimasta, grazie al business, sotto controllo. E l’occasione per aprire le ostilità viene offerta, a quanto risulta dagli atti processuali e dalle testimonianze di numerosi pentiti, da un tentativo di tradimento. Probabilmente esasperato dalla scalata ossessiva di Riina, il boss di Riesi, Giuseppe Di Cristina, iniziò a prendere contatto con i Carabinieri per tentare di fare arrestare i esponenti dei clan di Corleone. La risposta di Riina è immediata e si delineano immediatamente due schieramenti: da una parte i Corleonesi spalleggiati da Michele Greco e dall’altra don Tano Badalamenti (mandante lo stesso anno dell’omicidio del giornalista di Radio Aut Peppino Impasto a Cinisi), appoggiato da Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo, Giuseppe Di Cristina, Tommaso Buscetta e dalle famiglie catanesi guidate da Pippo Calderone. Totò Riina, grazie all’allenza con Greco, riesce a far espellere da Cosa Nostra Badalamenti e ordina l’uccisione di Di Cristina e del catanese Calderone, il quale sarà prontamente sostituito da Benedetto “Nitto” Santapaola alleato dello stesso boss di Corleone.

Tommaso Buscetta scappa precipitosamente in Brasile alla vigilia della “mattanza”, che ha inizio ufficialmente il 23 aprile 1981 quando Stefano Bontate viene assassinato dai corleonesi a colpi di mitra. Anche Badalamenti, ormai espulso da Cosa Nostra, è costretto a fuggire negli Stati Uniti. E l’11 maggio 1981 Salvatore Inzerillo, boss di Passo di Rigano, viene assassinato davanti la casa della sua amante. È l’inizio di un massacro: nel periodo successivo alla morte di Inzerillo vengono assassinati più di quattrocento uomini appartenenti alle famiglie Bontate, Badalamenti, Inzerillo. Ma questo bagno di sangue non basta a Riina che vuole ottenere il controllo assoluto. Per colpire i superstiti fuggiti all’estero o in altre zone del Paese, vengono messe in atto “vendette trasversali”. A Buscetta, vengono ammazzati tutti i figli, i fratelli e altri parenti rimasti a Palermo dopo la sua fuga. E ancora: per convincerlo a consegnarsi nelle mani dei corleonesi, a Salvatore Contorno, uomo di spicco del clan Bontate, vengono uccisi trentaquattro parenti. Nello stesso periodo i corleonesi, con l’aiuto dei catanesi di Santapaola, aprono un conflitto diretto con lo Stato, prima con l’omicidio di Pio La Torre, segretario del Pci in Sicilia, e poi con l’assassinio dell’ex generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, nominato da poche settimane Prefetto di Palermo, ucciso il 3 settembre 1982 in via Carini a Palermo. Totò Riina ha dimostrato, con un bagno di sangue, di avere il potere militare e il pieno controllo di Cosa Nostra. Ma con l’attacco allo Stato e in particolare con l’omicidio Dalla Chiesa ha aperto un fronte che cambierà profondamente la reazione civile alla mafia. Con l’assassinio di Dalla Chiesa Riina sdogana l’antimafia. Da quel momento si apre una nuova stagione che si concluderà solo con l’arresto di Totò Riina avvenuto dopo la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e l’attuazione della strategia “stragista” dei primi anni Novanta.

Scriveva Giovanni Falcone pochi giorni prima della strage di Capaci in cui perse la vita: «Esplode così nel 1978 una violenta contesa culminata negli anni 1981-1982. Due opposte fazioni si affrontano in uno scontro di una ferocia senza precedenti che investiva tutte le strutture di Cosa Nostra, causando centinaia di morti. I gruppi avversari aggregavano uomini d’onore delle più varie famiglie spinti dall’interesse personale - a differenza di quanto accadeva nella prima guerra di mafia caratterizzata dallo scontro tra le famiglie - e ciò a dimostrazione del superamento della compartimentazione in famiglie. La sanguinaria contesa non ha determinato - come ingenuamente si prevedeva - un indebolimento complessivo di Cosa Nostra ma, al contrario, un rafforzamento ed un rinsaldamento delle strutture mafiose, che, depurate degli elementi più deboli (eliminati nel conflitto), si ricompattavano sotto il dominio di un gruppo egemone accentuando al massimo la segretezza ed il verticismo. Il nuovo gruppo dirigente a dimostrazione della sua potenza, a cominciare dall’aprile 1982, ha iniziato ad eliminare chiunque potesse costituire un ostacolo. Gli omicidi di Pio La Torre, di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Rocco Chinnici, di Giangiacomo Ciaccio Montalto, di Beppe Montana, di Ninni Cassarà, al di là delle specifiche ragioni della eliminazione di ciascuno di essi, testimoniano una drammatica realtà. E tutto ciò mentre il traffico di stupefacenti e le altre attività illecite andavano a gonfie vele nonostante l’impegno delle forze dell’ordine». Una storia che potrebbe ripetersi, e che già, in piccola parte, si sta ripetendo.
 
(segue...)

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.72) 21 ottobre 2009 20:36

    Innanzitutto si deve precisare che Salvatore Greco "cicchiteddu" , pur rispettato e tenuto in grande considerazione da Bontate e Badalamenti, non aveva più alcun potere a Palermo negli anni 70 ed il suo sostituto al vertice del mandamento di Ciaculli, il cugino Michele Greco, non aveva assolutamente il carattere per affrontare e gestire una situazione come quella che si era venuta a creare a causa dei fortissimi contrasti tra Bontate e Riina. Contrasti generati da eventi come il sequestro Cassina e da vari omicidi: Damiano Caruso, Angelo Graziano e Filippo Giacalone, per citarne solo alcuni. Ma l’evento che ha portato all’insanabile spaccatura tra le due fazioni è stato, senza dubbio, l’omicidio del Colonnello dei Carabinieri Giuseppe Russo, avvenuto il 20 agosto del 77. Tra le conseguenze di questo delitto, anche se non dirette, vi furono gli omicidi di Ciccino Madonia, Giuseppe Di Cristina, Pippo Calderone e l’espulsione di Badalamenti dalla Commissione. Nel 79 e nell’80 vi furono altri motivi di attrito che sarebbe troppo lungo ricordare e che portarono Stefano Bontate, ormai esasperato, a decidere di far uccidere Riina. Ma i traditori all’interno della famiglia di Santa Maria del Gesù riferivano al Corleonese le iniziative di Bontate e così Riina, oltre a salvare la pelle, potè, con il loro aiuto, organizzare l’agguato del 23 aprile 1981 in cui il "principe di Villagrazia" venne massacrato. L’11 maggio dello stesso anno, sempre grazie ai traditori, fu ucciso il più importante alleato di Bontate, Salvatore Inzerillo, boss di prima grandezza, e dal quel momento ebbe inizio la cosiddetta "mattanza": centinaia di mafiosi furono uccisi per ordine di Riina che divenne il DITTATORE di Cosa Nostra.

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