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Colombia, sparizioni e violenza sessuale: così il governo stronca le proteste

Nonostante le crescenti condanne a livello nazionale e internazionale, le autorità della Colombia continuano a reprimere, con una forza del tutto sproporzionata e indiscriminata, le proteste per lo più pacifiche in corso in varie città del paese.

Secondo dati diffusi il 6 maggio dall’organizzazione non governativa Temblores, i casi di uso illegale della forza erano stati fino ad allora 1708 tra cui 37 uccisioni, 26 ferimenti agli occhi, 234 aggressioni fisiche, 11 violenze sessuali e 934 arresti arbitrari.

L’Ufficio del difensore civico della Colombia ha lanciato l’allarme su 87 persone di cui si sono perse le tracce dopo che avevano preso parte alle manifestazioni. Il 4 maggio il Gruppo di lavoro sulle sparizioni forzate, un organismo composto da gruppi di vittime di violazioni dei diritti umani, aveva denunciato la scomparsa di 135 persone, solo 28 delle quali poi ritrovate.

Tra le denunce di violenza sessuale, si segnala quella raccontata sui social network da una donna di Cali. Il 30 aprile gli agenti dell’Esmad hanno lanciato lacrimogeni per disperdere i manifestanti. La donna, sebbene avesse le braccia alzate, è stata circondata, separata dagli uomini e violentata da un agente mentre i suoi colleghi stavano a guardare.

Amnesty International ha condannato le dichiarazioni diffuse dal governo che ha parlato di “intenti terroristici” delle proteste per giustificare l’uso della forza contro i manifestanti. Alcune autorità locali hanno poi invitato la popolazione a prendere le armi, di fatto un appello al para-militarismo.

Amnesty International e altre 650 organizzazioni della società civile hanno sottoscritto un appello globale che chiede indagini sulla repressione e sollecita la Commissione interamericana dei diritti umani a farsi autorizzare dalle autorità colombiane a visitare il paese per contribuire alle indagini e assicurare giustizia alle vittime.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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