I contraddittori approcci al cibo e al suo Universo, cercando di coniugare la qualità con il garantire l’alimentazione, la biodiversità e l’eco solidarietà, incoraggiare i Gruppi di Acquisto Solidali per i “menù a chilometro zero” e riscoprire il cibo locale e salvaguardare i prodotti delle piccole comunità, lontane mille miglia, sparse per il Mondo. Un grande affare per il Capitale e la galassia alternativa.
In un Pianeta afflitto dalle diseguaglianze sociali e alimentari, dove milioni di persone muoiono di fame, può apparire contraddittorio che una parte della popolazione, minoritaria e appartenente all’Occidente ricco e “illuminato”, si occupi di alimentazione elitaria, attraverso la salvaguardia delle biodiversità e dell’equo solidarietà.
SlowFood che si contrappone al Fast Food, il Saloni del Gusto e del Sapore al cibo dozzinale dei supermercati.
Una contrapposizione strana dai fattori variabili. Lo Slow Food esalta il prodotto dei piccoli agricoltori e commercializzandoli a prezzi non certo modesti, per il piacere dei ricchi, mentre il Fast Food offre cibo a buon mercato per arricchire i facoltosi.
Anche l’acquisto equo solidale non è a buon mercato, pure se il rapporto tra prezzo e qualità è buono, ma resiste alla crisi, aiutando la conoscenza delle culture e attenua i sensi di colpa verso i meno fortunati.
Da una parte i paladini dell’agricoltura delle piccole comunità, intervengono alle inaugurazioni di ristoranti alla moda, dall’altra i frequentatori di locali esclusivi presenziano serate e summit sulla fame nel Mondo.
Da una parte si aiuta e dall’altra si soddisfano le curiosità dei benestanti benpensanti, accedendo al miele di api nere dell’Amazzonia o al sale di canna del Kenya.
È strana l’esaltazione dei prodotti equosolidali che provengono dall’altra parte del Mondo, quando si cerca di educare all’acquisto dei prodotti a zero chilometri.
Scritto in questo modo appare orribile quasi quanto assegnare il Premio Nobel per la Pace a chi firma una tregua, dopo aver fomentato l’escalation in un conflitto, ma lascia perplessi vedere i virtuosismi tentativi nel coniugare l’impegno nello sconfiggere la fame e soddisfare le sollecitazioni del palato.
Si lanciano a pioggia aiuti all’Umanità in una Terra che scarseggia d’acqua e non permette la sopravvivenza, mentre ci si ingegna nel proporre libidinose esecuzioni gastronomiche con rarità.
Dieta mediterranea o piatti etnici, gusti globalizzati o riscoperta dei sapori locali, la storia del cibo che arriva sulla nostra come su altre tavole, attraversa la cultura e le tradizioni dei territori d’origine.
Il Salone del Gusto e la rassegna della Madre Terra può apparire difficile immaginarli come un tentativo per coniugare la lotta alla fame nel Mondo con l’appagamento delle papille gustative delle minoranze benestanti e ricche, con ricercate leccornie provenienti dalle zone povere del Pianeta.
Due ambiti da soddisfare che potrebbe essere l’occasione per riflettere sulle scelte dei singoli Governi che difficilmente si collegano tra di loro per una strategia comune che non si limiti ai formali proclami di aiuti, lanciati dai palchi dei summit dell’Onu e della Fao. Dichiarazioni più che appelli, per mostrare la “bontà” individuale, incapaci di affrontare i problemi dell’agricoltura del proprio paese e impreparati a risolvere quegli degli altri. Esempi lapalissiani sono quelli dell’India e della Cina che preferiscono andare a coltivare la terra in Etiopia e in Sudan, evitando di migliorare le condizioni dei contadini, decimati da numerosi suicidi non solo nel subcontinente indiano.
Insufficiente, se pur folcloristica, è l’iniziative lanciata dalla Fao per promuovere l’agricoltura urbana. Orti urbani che possano fornire prodotti freschi, creano posti di lavoro e riciclano i rifiuti, utilizzando gli spazi verdi delle città, per affrontare la carenza alimentare anche nell’Occidente minacciato dall’incremento demografico.
È sicuramente un’occasione educativa promuovere gli orti urbani all’interno dei condomini e delle scuole, oltre all’utilizzo di aree verdi da affidare a singoli e a gruppi.
Eccentrica è la posizione di Michael Pollan, autore del recente Food rules, ma anche del tradotto Il dilemma dell’onnivoro (Adelphi 2008), nella critica all’industria agroalimentare e in difesa del cibo, dettando le regole di una corretta alimentazione agli americani che contemplano il consumare prodotti sani per essere mangiati con lentezza e aborrendo ogni articolo industriale.
Il 2011 si arricchirà di una nuova iniziativa avendo il cibo come fulcro ispiratore per la realizzazione di video. Doc Eat, Rassegna Internazionale di documentari sull'Universo mondo del cibo, nasce dall’esigenza di aprire un nuovo ambito di visibilità alla tradizione italiana nel mangiare, confrontandosi con la produzione audiovisiva internazionale.
Doc Eat è una manifestazione divisa in tre categorie: Cibo e tradizioni culturali enogastronomiche, Cibo e modernità e Cibo tv e new media, in una “pantagruelica abbuffata” e “gargatuesca bevuta” internazionale di immagini, colori, suoni, suggestioni. La 1° edizione del Doc Eat avrà la durata di 5 giorni e si svolgerà a Roma nella primavera 2011, ma per partecipare è necessario inviare i materiali entro il 28 febbraio 2011.
Commenti all'articolo
Di Renzo Riva(---.---.---.167)25 novembre 2010 00:56
Mancasse il petrolio l’umanità ritornerebbe a meno di 3 miliardi di uomini nel giro di un decennio. Si morirebbe peggio che le mosche.