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Cesame e Sirti. Gli operai siciliani sul piede di guerra

I lavoratori dell’azienda catanese occupano il palazzo ESA, oggi ufficio di rappresentanza della Regione Siciliana, colpevole di trascurare i progetti di rilancio che potrebbero dare una boccata d’ossigeno all’economia dell’isola. E gli operai Sirti si incatenano ai cancelli dell’azienda contro la cassa integrazione.

E’ ancora la protesta l’argomento preferito dalle veline d’agenzia. E’ancora la Sicilia la regione da cui parte la riscossa degli italiani maltrattati da una classe politica inguardabile. Dopo la mobilitazione di Ragusa, con i Forconi in piazza per gridare alle istituzioni il loro malcontento, è la volta di Catania e Palermo, con due aziende simbolo della lotta alla difesa del posto di lavoro.

La Cesame, azienda catanese ricca di una esperienza pluriennale nella produzione di ceramiche da bagno e sanitari, non merita di essere salvata: questo deve essere stato il pensiero dei 77 lavoratori che hanno occupato ieri a Catania il palazzo di rappresentanza della Regione Siciliana.

Manca, secondo i sindacati, la volontà politica per rilanciare la cooperativa etnea e le prospettive occupazionali che ne derivano. Il governatore Lombardo è probabilmente più impegnato a difendersi nelle aule dei tribunali che ad esprimere un indirizzo politico che possa tracciare una via di soluzione per la controversia, discussa nei giorni scorsi anche al Ministero. L’incontro, disertato dalla Presidenza della Regione, ha suscitato non pochi scontenti tra gli ex lavoratori, che hanno investito il loro TFR nella ristrutturazione dell’azienda, in un’ottica di rilancio che avrebbe dovuto coinvolgere le istituzioni. Ma le istituzioni sono abitate dall’ "homo politicantem ac farabuttum": la peggior razza di governanti cui una comunità umana possa ambire.

Sempre le sigle sindacali esprimono il loro malumore, di natura essenzialmente politica, sottolineando l’incapacità della Regione di pervenire ad un valido accordo con il Ministero per permettere alla Cesame di ripartire con la produzione: servono fondi, finanziamenti che le banche non sono disposte a concedere e che Invitalia (l’agenzia che ha il compito di attirare gli investimenti e gestire i fondi del MISE) non può erogare, poiché il progetto imprenditoriale non supera i 30 milioni di euro. Un’assurdità tipicamente italiana. 

Un’ altra azienda fa i conti con la crisi ed il malgoverno, e con le scelte di una classe dirigente che cavalca l’onda della crisi per schiavizzare i lavoratori. Gli operai palermitani di “Sirti” decidono platealmente di incatenarsi dinnanzi alla sede dell’azienda: protestano contro l’assurda decisione di mettere in cassa integrazione a zero ore ben 30 dipendenti, nonostante il settore aziendale non risenta della crisi e diverse commesse vengono assegnate in subappalto.

E’ l’ennesima mancanza di rispetto nei confronti della forza lavoro del paese e dei siciliani in genere. Anni di malgoverno e clientele ci hanno messi nella condizione di bramare lavori malpagati e rigorosamente in nero, turni assurdi e diritti ridotti all’osso: in tempo di elezioni, persino la prospettiva di un trimestre in uno delle decine di centri commerciali delle nostre province (sorti all’uopo, grazie alla compiacenza della nostra classe politica, c’è da giurarci) può sembrare una “sistemazione”. Delle aziende che hanno portato lustro alla nostra terra possiamo anche farne a meno.

Invece, tra l’immobilismo della giunta Lombardo ed il disinteresse del governo centrale, è ancora oggi indispensabile ricorrere a gesti drammatici volti a catalizzare un interesse di ampio respiro da parte dell’opinione pubblica.

 

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