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Cassazione: imprenditore condannato per la sicurezza sul lavoro

Una sentenza della Corte di Cassazione che ha rigettato il ricorso di un imprenditore trentino condannato per lesioni colpose gravi.

Un'altra importante sentenza della Suprema Corte di Cassazione, quarta sezione penale, riafferma che i lavoratori non sono autolesionisti. Il 24 aprile 2009, la Corte d'Appello di Trento, condannava un imprenditore edile (R.G.) e il suo preposto (S.M.) per il reato di lesioni personali colpose, cui agli artt. 113 e 590 del codice penale, perché, durante i lavori di costruzione di tre palazzine in località Spini di Gardolo, in cooperazione tra loro, per colpa di negligenza, imprudenza e/o imperizia, nonché violazione dell'art. 2087 c.c. ed inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 24 e 10 del D.P.R. n. 164/56), avevano causato lesioni personali gravi e permanenti (indebolimento dell'organo della deambulazione), a uno dei lavoratori (C.G.) in seguito a un infortunio verificatosi secondo la seguente dinamica, come descritta nel capo d'imputazione: "Il C., unitamente ad alcuni colleghi, era intento a fissare un parapetto (costituito da un prefabbricato in cemento armato) al poggiolo del secondo piano di una delle palazzine erigende; il C. si trovava sul piano di calpestio del ponteggio allestito all'esterno del poggiolo mentre gli altri operai lavoravano su quest'ultimo; al fine di consentire il passaggio e la posa in opera del parapetto, su indicazione di S.M., i lavoratori stavano provvedendo a rimuovere tutte le protezioni prima ivi installate (parapetti, tavole fermapiede, correnti intermedi e cavalletti); nell'eseguire le operazioni di fissaggio, il parapetto del balcone si era improvvisamente spostato verso l'esterno, così spingendo anche il C.; non essendovi più alcuna protezione laterale, il C. stesso, il quale non indossava nemmeno un'idonea cintura di sicurezza, era caduto dal ponteggio precipitando al suolo da un'altezza di circa sei metri riportando lesioni gravissime."  

Nel ricorso per Cassazione il R.G., sostiene che la caduta del C.G. dall'alto sarebbe stata conseguenza esclusiva del comportamento degli operai, compreso il proprio, che non hanno osservato le regole di comune esperienza, rimuovendo le strutture utili alla propria sicurezza per eseguire un'operazione di montaggio: non sarebbe stato possibile prevedere un rischio derivante dallo smontaggio di una struttura posta a tutela della propria sicurezza, ad opera dello stesso operaio infortunato. Sostiene, ancora, il R.G., che al momento dell'infortunio era il S.M. a impartire gli ordini, con l’incarico di preposto (art. 3 del D.P.R. n. 164/56) , e che questi aveva agito autonomamente nell’ordinare di rimuovere parte del ponteggio, eliminando le strutture di sicurezza. Il R.G., sostiene anche che il Tribunale che l’ha condannato in prima istanza, non ha provato la sua mancata attività di formazione e informazione dei lavoratori e che non spetta a lui l'onere di prova contraria. Infine il R.G. respinge ogni responsabilità, affermando che avendo nominato un Responsabile della sicurezza in fase di esecuzione e un vero e proprio Responsabile della sicurezza, non può essergli addebitata alcuna colpa. La Suprema Corte ha rigettato il riscorso del R.G. (Cassazione Penale, sez. 4, 11 agosto 2010, n. 31679), rilevando che il Piano di Sicurezza di Cantiere, finalizzato all’individuazione dei rischi riguardanti le attività lavorative da svolgere, rientra fra gli oneri prioritari del datore di lavoro. Il PSC, non prevedeva l'installazione di un parapetto prefabbricato in cemento armato. Non era stato, dunque, valutato il rischio di caduta dall'alto, poi effettivamente concretizzatosi, a causa della rimozione di parte del ponteggio, reso in tal modo inidoneo a salvaguardare l'incolumità dei lavoratori. Afferma la Suprema Corte, che il montaggio del parapetto prefabbricato metteva in crisi il sistema di sicurezza realizzato con la predisposizione del solito ponteggio fisso. L’omessa prescrizione delle misure di prevenzione del rischio di caduta dall'alto costituiva evidenti profili di colpa per il R.G. (L'uso di una cesta applicata al braccio di una macchina operatrice, sarebbe stato sufficiente a evitare l'infortunio).

L'ordine del S.M., di smantellare parte del ponteggio, non era stato dato per autonoma iniziativa, ma era la conseguenza dell'iniziale omissione del R.G., datore di lavoro. Il R.G., aveva anche eluso l'obbligo di formare e informare, oltre al preposto S.M., anche i singoli lavoratori sui rischi specifici cui erano, di fatto, esposti: il parapetto prefabbricato poteva essere montato in sicurezza utilizzando un ponte sviluppabile e non era stata predisposta alcuna misura di sicurezza alternativa, come l'uso di cinture di sicurezza. Nelle motivazioni della sentenza, la Suprema Corte, scrive: "Il datore di lavoro deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore, e non deve perciò limitarsi ad informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro (cfr., Sez. IV, 3 marzo 1995, Grassi)." Su questo punto, hanno avuto modo di intervenire le Sezioni Unite della Corte, enunciando il principio secondo cui: "al fine di escludere la responsabilità per reati colposi dei soggetti obbligati ex art. 4 del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 a garantire la sicurezza dello svolgimento del lavoro, non è sufficiente che tali soggetti impartiscano le direttive da seguire a tale scopo, ma è necessario che ne controllino con prudente e continua diligenza la puntuale osservanza". 

Le norme antinfortunistiche impongono al datore di lavoro una continua sorveglianza dei lavoratori allo scopo di prevenire gli infortuni e di evitare che si verifichino imprudenze da parte dei lavoratori dipendenti. Quanto alla condotta del lavoratore, per il consolidato orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme: deve definirsi imprudente il comportamento del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - oppure rientri nelle mansioni che gli sono proprie, ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro. In definitiva, in base ai principi enunciati, il comportamento del C.G., non può certo definirsi abnorme. Il Datore di lavoro deve tutelare il lavoratore dai rischi per l'incolumità fisica: "anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione degli operai subordinati".

Se è vero, infine, che destinatari delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro, sono oltre ai datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, anche gli stessi operai, giova ricordare, che l'inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza. In sostanza la Corte di Cassazione, rigettando il ricorso e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio liquidate in complessivi euro 2.500,00, oltre accessori come per legge, afferma il principio che i lavoratori non sono autolesionisti e punisce il comportamento irresponsabile del Datore di Lavoro che cerca di scaricare le proprie esclusive responsabilità sui lavoratori subordinati. Vale la pena rammentare che anche l'attuale normativa di tutela e prevenzione non prevede la possibilità per i lavoratori di rifiutarsi dall'eseguire il lavoro e per i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza di fermare il lavoro in presenza di rischi gravi. Sarebbe certamente motivo di riduzione di infortuni e sofferenze l'assegnazione della prerogativa di fermare il lavoro, ai lavoratori e ai loro rappresentanti.

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