Caso Regeni | La pazienza è finita: "Dichiarare l’Egitto come paese non sicuro e richiamare l’ambasciatore italiano"
Da Fiumicello, alla Sicilia, a più parti nel mostro mondo, alle 19.41 del 25 gennaio, le fiaccole si sono sollevate verso il cielo. Tre anni che Giulio è stato portato via. Nei peggiori dei modi, tra l'altro. Tre anni, passano in fretta, soprattutto quando hai a che fare con un paese, come quello egiziano, che ha visto tradite le sue rivoluzioni, che dovevano portare libertà e democrazia, quella del 2011 e quella del 2013, per passare da Mubarak alla dittatura di Al Sisi.

Tre governi italiani si sono succeduti, che hanno fatto poco e niente. Anche se probabilmente l'apice del disastro si è raggiunto in questo 2018 quando Al Sisi è stato ricevuto a Palermo nel fallimentare summit sulla Libia.
Da quel momento tutto ha preso una piega diversa. E ciò è stato possibile grazie al ritorno dell'ambasciatore italiano in Egitto. Ritorno avvenuto perché, si diceva, per la fruttuosa collaborazione giudiziaria tra i due Paesi per il caso di Giulio. Questa collaborazione non c'è mai stata.
A Fiumicello, le parole di Alessandra Ballerini, avvocato italiano della famiglia Regeni, sono state di una fermezza e chiarezza inequivocabile. E hanno fatto il giro del mondo. Come riporta anche la stampa estera come il The guardian: "Di Maio aveva detto che se non avessimo ricevuto risposte dall'Egitto entro il dicembre 2018, ci sarebbero state conseguenze. Vogliamo queste conseguenze. Chiediamo che l'Italia stabilisca che l'Egitto non è un posto sicuro. Chiediamo al governo di richiamare l'ambasciatore italiano perché la sua missione è fallita".
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