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Caro Partito Democratico, io non gioco più

In ottemperanza alle vigenti leggi sulla “par condicio” – norma che sarebbe totalmente inutile se il caso mi avesse provvidenzialmente permesso di vivere in un paese vero – gradirei esprimere in tempi utili la mia oramai irrecuperabile delusione verso un partito postribolo.

Correvano gli anni novanta, anni velocissimi, talmente veloci che persino la ventennale sodomia della politica nei confronti degli elettori italiani è sembrata un soffio sulle sue tenere terga.

L’Italia si spacca ufficialmente in due correnti – le cronache dell’ufficioso sono ben altra storia – il berlusconismo e l’antiberlusconismo. Il primo è un topos composto da gente ben definita e selezionata, la cui unica dote è di vivere e sperperare a spese dello stato sotto l’opulenta e pacchiana protezione di Berlusconi, e il suo unico impegno – germinato dalla suddetta ed elementare dote – consiste nel coalizzarsi per realizzare – a remunerativo cottimo s’intende – tutto il possibile per consegnare il paese nelle mani del Cavaliere. 

La seconda forza è più tetragona e confusionaria; il comunismo è boccheggiante e tutta la sinistra d’occidente tenta di dar vita ad un rinnovamento dell’ideale socialista, ad una modernizzazione che prenda congedo definitivamente dalla deriva assolutista senza però tralasciare le istanze sociali e politiche tipiche del progressismo (a Renzi questa la spiegheremo a parte e lentamente).

Ma in Italia questo non è accaduto; nelle forze di sinistra, emerse dalla dissoluzione del Partito Comunista – già in sé e per sé in drammatico e colpevole declino –, iniziarono a migrare i soggetti più disparati ed eterogenei: mammasantissima della sinistra democristiana, ancora oggi subiamo gli effetti di nefaste e coriacee appendici: se ottuagenari del calibro di De Mita hanno tutt’ora il barbaro coraggio di candidarsi a sindaco di Nusco, vuol dire che le vecchie guardie non mollano neanche con il proverbiale e sempiterno piede nella fossa.

A questi si aggiunsero socialisti sopravvissuti alla mattanza mozzicata di Mani Pulite, militanti – sempre sospettosamente incliti – di Comunione e Liberazione e officianti pseudoneocalvinisteggianti dell’Opus Dei, liberali in diaspora, ecologisti in crisi di identità, repubblicani orfani ed industriali troppo snob, quanto assetati di soldi pubblici a causa della loro inettitudine, per stringere affari e alleanze alla luce del sole col parvenu Berlusconi, cosa universalmente nota che gli affari migliori si stringono sempre sotto i tavolini dei boudoir.

Infine non dobbiamo dimenticare che a questa vergognosa, ma plurale e per questo indice di democrazia interna, lista di peripatetiche senza protettori, va aggiunta una fonte di pervicaci materie grigie sottratte ingiustamente alla ricerca scientifica, geni che pian pianino hanno foraggiato e rafforzato il tutto.

Un humus molteplice e variegato di personaggini secondari, vivaci colonie di elminti transumate dalle antiche ma sempreverdi cooperative, dalle varie giunte regionali, provinciali o comunali e dalle innumerevoli aziende partecipate fantasma, istituite al solo scopo di intercettare e intascare denaro pubblico.

Figure glauche, anche queste raccolte dalle tradizioni più disparate e deleterie. Ex, ma sempre fiammeggianti, fascistucoli portaborse al servizio di questo o quel sindaco o governatore, convinti patrioti e nostalgici scopertisi d’improvviso leccaculo progressisti in carriera, Sauli dell’opportunismo trafitti dalla lancinante conversione sulla trafficatissima via del voto di scambio, paraculi balzati con la vitale energia della convenienza sul carretto del vincitore di questo o quell’amministrazione locale, voltagabbana del midollo profondo e grandi sostenitori del partito della pagnotta – la vera e sola forza politica della stragrande maggioranza degli italiani.

Non parliamo dei rimasugli controrivoluzionari di Ordine Nuovo, né dei grattacheccari neofuturisti di Casa Pound, ma dei destrorsi latenti, dei similcattolici dalle idee chiare solo fino a quando non fiutano da dove arriva il vento buono, i calcolati difensori della famiglia e dei sani principi: uomini e donne pronti a dichiarare al mondo che l’omosessualità non è una malattia finché non germoglia in casa, convinti sostenitori dell’eguaglianza tra i popoli, anche se gli ebrei suscitano fondati sospetti, inequivocabili almeno dal punto di vista storico (non ho mai capito cosa volesse dire), e che sostengono che la democrazia vada difesa arginando l’invasione extracomunitaria, ma non per razzismo, non sia mai! Ma solo perché se non c’è pane per gli italiani non può certo esserci anche per gli altri, e per questi motivi è più giusto che restino nelle loro martoriate nazioni per farle rifiorire. La vera libertà è farli crepare in patria fino a quando non realizzeranno una vera democrazia con le loro forze.

Questo è stato il fertile terreno dei nuovi democratici, la formazione delle nuove leve, questi sono gli ideali della gioventù tanto decantata negli ultimi tempi. I grandi innovatori, i portatori di idee rivoluzionarie che apriranno le porte al nuovo e luminoso millennio.

Così ben messo e con tali e incoraggianti premesse, dopo un’infinità di sigle e nomignoli, il carrozzone che di giorno millanta progressismo mentre di notte si concede lascivamente al berlusconismo giunge al suo acme, si “battezza” – non senza peccare di presunzione – Partito Democratico.

Un salto di qualità, una responsabilità notevole poi rivelatasi come l’ennesima coccarda al petto soddisfatto della casta, l’ultimo e più estenuante baluardo in difesa del vecchio, anche se opportunamente ringiovanito con una lucidata appena radente di ridicolo renzismo.

Pessima generazione la nostra, senza idee e dalla fantasia compromessa, dalla coscienza sorda, affetta da malcelata intolleranza spacciata per puerile garantismo, ubriacata dal facile carrierismo dell’inettitudine e derubata da sempre di un futuro che troppo presto è divenuto drammatico presente.

Tanti passi senza orme, troppe ombre e nessuna luce, troppe parole e nessuno che si prende la briga di invocare un doveroso silenzio nei confronti di un fallimento senza precedenti, la cui ostinata e costante negazione è divenuta di un ridicolo drammatico e patologico.

Questo è il partito che ci chiede il voto alle prossime elezioni europee, un partito che è al governo con il suo “apparente” nemico storico, guidato da un soggetto tanto incapace quanto ciarliero, per giunta non eletto da nessuno e messo lì per far da vetrina continentale (in effetti Letta era davvero improponibile) e che mette un vestito due taglie più stretto per recitare la parte del pinguino obeso della Vodafone al Maggio Fiorentino.

Questo è il Partito democratico, una forza politica talmente incisiva da indurti nella tragicomica – ma per fortuna passeggera – tentazione di votare Grillo solo per non disperdere un voto e mandare in Europa qualcuno che si incazza davvero. 

Questo è il nuovo Partito democratico, una compagine che per prender voti ha rielaborato e applicato la trasversale ed efficacissima “Strategia Patonza” delle elezioni universitarie. Un classico, a molti sarà capitato: mentre si studiava tranquilli e sereni in qualche aula vuota, di venir adescati da una procace ragazzotta che in modo ammiccante chiedeva di seguirla per votare questo o quel candidato, una portavoce dell’ormone, una trascinatrice di lombi che obnubilava le menti per fini politici, tutto per una X (l’incognita più amata dai candidati) su questo o quel nome, anche se con la Bonafè Matteo ha toppato di brutto! In questo l’allievo non ha superato il maestro, Berlusconi era il non plus ultra!

Ebbene, questo partito non è il mio partito, una rappresentanza non eletta non è una rappresentanza, è un’imposizione. Alla guida del paese c’è un vuoto spacciato per sostanza, e la vacuità non ha, per sua definizione, la possibilità di riempire nulla e né, tantomeno, può rappresentare qualcosa.

In definitiva il troppo stroppia, e se si oltrepassasse anche questa soglia ci si gioca la dignità.

Lo so, il peso di una singola presa di coscienza è insignificante, una singolarità senza valore, la proverbiale goccia nel mare, di cui certo non si sentirà la mancanza in giro, se mai si sia notata in precedenza, né preoccuperà le puerili quanto sciagurate mire del segretario imbonitore nonché presidente del consiglio, sicuro di un plebiscito senza precedenti pagato 80 euro, ma di certo avrà il potere di elargire sonni tranquilli.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.241) 19 maggio 2014 13:13

    Una via d’uscita >

    In barba all’Italicum è l’occasione giusta di far valere le preferenze. E’ un po’ più "laborioso" che mettere solo la X sul simbolo del partito, ma ne vale la pena.

    Se si mette solo la X i candidati vengono "scelti" in base all’ordine attribuito nelle liste. E’ ovvio che i capolista sono i più vicini e "fedeli" al Segretario. Dare la preferenza al 3°, al 6°, al 9°, al .. può contribuire a premiare soggetti che non sono pura "emanazione" del Segretario e, magari, hanno spiccate qualità personali e idee "meritorie". Soggetti del tutto capaci di farsi valere in Europa.

    In ogni caso sarebbe un chiaro "segnale" di distinguo dalle facili promesse elettorali. Usare le preferenze è una presa di distanza dal Consenso Surrogato frutto di slogan, spot ... 

  • Di (---.---.---.212) 19 maggio 2014 15:39

    Grazie sig. Giordano, ho apprezzato il suo articolo.

    Cordiali saluti,
    Gottardo

  • Di Il Gufo (---.---.---.115) 20 maggio 2014 00:38

    Complimenti per l’articolo.
    E’ addirittura "troppa roba" in confronto a quel che si legge in giro.
    Marco

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