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Caro Epifani, quando è in gioco la civiltà, non bastano le parole di condanna

La paura ha accompagnato il Pd in questi anni, la paura di una proposta chiara, la paura di un‘iniziativa di lotta, la paura di un’opposizione degna di questo nome, la paura di chiamare le cose con il loro nome, di chiamare razzista il razzista, mafioso il mafioso, insomma la paura della propria identità.

Ma questo è un lusso che oggi il partito democratico non può permettersi, non per il partito, ma per l’Italia. Se manca il coraggio di contestare le ingiustizie, l'inciviltà, altri cercheranno di contestarle, e forse nella maniera più sbagliata. D’altra parte posizioni timide e inadeguate su ingiustizia e inciviltà rischiano di legittimarle. E allora la responsabilità verso il Paese non è solo partecipare a malincuore al governo con il PDL, ma anche l’affermazione dei principi e dei valori di civiltà e di giustizia in cui il PD crede.

Non c’è solo l’emergenza economica, ma anche l’emergenza istituzionale, civile e culturale.

Ora il partito vuole cambiare rotta. Per questo è stato eletto Epifani, per portare il partito al congresso, ma anche e soprattutto per cambiare.

E allora l’appoggio a Kyenge non può tradursi in qualche frase di solidarietà rispetto a qualche farneticazione razzista, ma in azioni di denuncia, democratiche e pacifiche, ma comunque inequivocabili. La nomina di Kyenge a ministro dell’integrazione è stata una di queste azioni, ma rischia di diventare un boomerang, se non si traduce in un sostegno comportamentale alle sue iniziative.

La posizione del Pd rispetto a chi provoca un contrasto tra le istituzioni, esecutivo e magistratura ad esempio, non può essere una semplice condanna della gravità del fatto, ma si deve tradurre in un posizione politica ben precisa. Il PD non tollera azioni e comportamenti che vanno in questa direzione, e se dovessero ripetersi, minaccia di lasciare il Governo.

Cinque persone sono state aggredite a Milano da un uomo con un piccone. Sono morte tre persone. È stato fermato un ghanese in stato confusionale.

“I clandestini della Kyenge ammazzano la gente a picconate”. Chi dice che il reato di clandestinità non esiste, spinge alla violenza. Questo il commento del signor Salvini al gravissimo episodio di Niguarda.

Epifani ha invitato il partito ad appoggiare Kyenge, non solo per una questione partito, ma di rispetto della civiltà. Ma se di rispetto della civiltà si tratta, allora questo appoggio deve essere proporzionale.

L'integrazione razziale è una delle fondamenta della nostra civiltà.

Se qualcuno infanga le fondamenta della nostra civiltà deve avere una risposta adeguata.

Pacifica, democratica, ma adeguata.

E allora rispetto a questi episodi non basta il sostegno a Kyenge. Non si tratta di sostenere un ministro, una compagna di partito, ma di difendere la civiltà del nostro Paese da una minaccia.

E allora non bastano le parole, ci vuole l’azione politica.

Epifani doveva sostenere le iniziative del ministro, e quindi rispondere all’invito da essa formulato per un dibattito sullo ius soli, sul diritto di cittadinanza, e, in quest’ambito, una riflessione sul razzismo anche per individuare le differenze ed i limiti tra razzismo e contrasto all’integrazione razziale.

Doveva dire chiaramente che il partito democratico non tollera queste posizioni che mettono a rischio le relazioni tra i due partiti.

Doveva invitare i dirigenti della Lega a prendere le distanze da Borghezio, Salvini e Zaia, che esplicitamente e meno esplicitamente hanno attaccato Kyenge con parole che chiaramente denunciavano posizioni xenofobe, e comunque in contrastato con l’integrazione razziale.

Doveva invitare i dirigenti del PD prendere le distanze dai leghisti, qualora l’invito non fosse stato accolto. "Non si dialoga con chi contrasta le fondamenta della nostra civiltà".

La partecipazione dei ministri del PDL alla manifestazione contro la magistratura è stato un fatto che merita ben altro, che non la semplice constatazione della sua gravità o il felpato invito di Letta ai suoi ministri di evitare la partecipazione a comizi o manifestazioni elettorali.

Queste posizioni del partito o del presidente del consiglio non colgono l’essenza del problema.

Non si tratta di richiamare gli alleati alla lealtà verso il governo e verso le istituzioni, ma di difendere la separazione dei poteri, un principio di civiltà.

Epifani doveva dire chiaramente che il partito democratico non tollera queste posizioni e che esse mettono a rischio le relazioni tra i due partiti e la sua permanenza al governo.

Non si può stare al governo con chi contrasta le fondamenta della nostra civiltà.

La gravita è inaudita, non solo perché fomenta uno scontro tra le istituzioni ma perché mina alla radice il rapporto di fiducia tra poliziotti e magistrati.

Immaginate la confusione di questi servitori dello Stato quando il loro capo, il ministro degli interni, gli dice che i giudici con cui lavorano, con cui condividono la gioia per le operazioni riuscite e il dolore per quelle fallite, non meritano fiducia, sono toghe rosse che fanno il loro lavoro contro una parte politica.

Tutto ciò è esagerato, fuori luogo oppure rientra nella normalità della lotta pacifica e democratica? Ma forse questo giudizio serve a mascherare la paura di lottare per le proprie idee, specie quando esse coincidono con i principi e i valori della nostra costituzione e della civiltà dell’occidente. 

 

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