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COVID-19: come i decreti hanno modificato la mobilità italiana

Spostamenti tra province dimezzati e potenziali incontri tra persone diminuiti del 19%

di Marco Boscolo

 

Il 23 febbraio scorso il Governo Conte ha posto limitazioni agli spostamenti nei comuni lombardi e veneti dove si sono registrati i focolai di COVID-19. Dopo un weekend un po’ incerto, con la chiusura della Lombardia e alcune provincie, dal 9 marzo le misure sono state estese all’Italia intera. Quanto saranno efficaci sul piano della diffusione di nuovi contagi lo scopriremo solamente col tempo. Oggi è però già possibile capire quanto meno si stanno spostando gli italiani.

Lo spiega il primo report, pubblicato venerdì 13 marzo, sui cambiamenti degli spostamenti degli italiani realizzato da un gruppo di ricercatori della Fondazione ISI. Nella settimana successiva al lockdown, per esempio, la mobilità tra le province italiane è scesa del 50%. «Le nostre analisi,» racconta al telefono Michele Tizzoni, uno degli autori del report, «mostrano anche una diminuzione consistente, fino al 50% circa, delle distanze medie percorse dai singoli cittadini nell’arco di una settimana».

La base di dati

Il gruppo in cui lavora Tizzoni ha lavorato sui dati raccolti da Cuebiq, un’azienda specializzata in location intelligence, che raccoglie informazioni sulla localizzazione attraverso gli smartphone. Non c’è un’app apposita: Cuebiq produce un software di tracking anonimo che viene incluso nelle app di alcuni partner. Gli utenti possono decidere volontariamente di fornire questa informazione e di smettere di condividerla quando vogliono, in accordo con il GDPR europeo. Ogni qual volta una di queste app è aperta, il dato sulla localizzazione viene registrato. Il risultato è che Tizzoni e colleghi hanno potuto lavorare sui dati di 170 mila utenti italiani con una scansione temporale di circa 5 minuti. «In realtà,» precisa Tizzoni, «non è che di tutti conosciamo la localizzazione ogni 5 minuti, perché dipende da quanto vengono aperte le app».

Cubiq, che fornisce gratuitamente a chi fa ricerca questi dati attraverso un programma chiamato Data for Good, non è certo l’unica realtà che possiede questo tipo di informazioni. «Anche le telefoniche ce li hanno e, anzi, sono registrati assieme anche alle anagrafiche, cosa che invece non è il caso per il dataset che abbiamo utilizzato noi».

Meno spostamenti tra province…

L’analisi mostra che nella prime due settimane prese in considerazione, quelle tra il 22 febbraio e il 6 marzo, le restrizioni alla mobilità che hanno interessato la Lombardia, il Veneto e l’Emilia-Romagna hanno portato a riduzioni del traffico tra le province tra il 10 e il 30%. Nella settimana successiva, la terza analizzata dai ricercatori, quella in cui è entrato in vigore il blocco nazionale, la mobilità si è dimezzata tra tutte le province del Paese.

Variazione degli spostamenti tra province nelle tre settimane analizzate dai ricercatori (Immagini: COVID-19 Mobility Monitoring project – First Report)

…e una riduzione degli spostamenti personali…

Il secondo aspetti principale analizzato è il cosiddetto radius of gyration, una «metrica introdotta una decina di anni fa dal gruppo di ricerca di Albert-László Barabási,» spiega Tizzoni riferendosi al lavoro di uno dei più importanti scienziati che si sono occupati di reti negli ultimi anni. «In italiano si dice ‘raggio di inerzia’ e permette di capire quanto un singolo utente, in questo caso, si sposta mediamente: è come se individuassimo una specie di centro di massa, un luogo dove tende a stare di più, e poi misurassimo quanta distanza percorre andando e tornando da quel centro». I risultati? Nell’arco di tre settimane, il raggio d’inerzia medio dei 170 mila utenti tracciati si è dimezzato, passando da 13 km a circa 7 km settimanali.

…e meno potenziali incontri

Per provare a capire se sono diminuiti anche i potenziali incontri tra persone, i ricercatori hanno congelato la situazione dei 170 mila smartphone in un determinato momento e disegnato un cerchio di raggio 50 metri attorno a ogni punto. Sono, quindi, andati a vedere quante volte i singoli puntini del sistema si incontravano tra di loro, per cercare di capire quanto è diminuita la probabilità di incontri. «Visto il raggio di 50 metri,» sottolinea Tizzoni, «non si tratta di potenziali contagi, ma di potenziali incontri, che ci permettono di capire quanto è densa o meno la rete di contatti sociali tra le persone». Questa densità sarà altissima in una situazione come il derby di Milano: migliaia di persone che si trovano nello stesso momento in un spazio molto piccolo.

Ebbene, la densità è diminuita. Nell’arco delle tre settimana analizzate, le misure di restrizione della mobilità, le raccomandazioni di mantenere le distanze e la chiusura di molti spazi pubblici ha decretato una riduzione dei potenziali incontri. Nella settimana dal 29 febbraio al 6 marzo si trattava di un -8%, che è passato a -19% durante la prima settimana di lockdown.

Sono dati che confermano l’efficacia delle misure fin qui introdotte in Italia: se lo scopo era quello che nelle sue apparizioni televisive Massimo Galli, primario di infettivologia all’ospedale Sacco di Milano, ha definito “distanziamento sociale”, lo scopo è raggiunto. Ora Tizzoni e i suoi colleghi alla Fondazione ISI continueranno a monitorare l’andamento della mobilità degli italiani. A bocce forme, sarà anche interessante confrontare il caso italiano con quello di altri paesi che ora stanno introducendo misure simili. «Sappiamo che ci sono altri gruppi che si stanno attivando, utilizzando tecniche di analisi simile alle nostre o diverse», conclude Tizzoni. Potrà essere un riferimento per capire se in futuro ha senso o meno introdurre certe misure? Tizzoni non si sbilancia, perché è cosciente della difficoltà di prevedere il comportamento umano: «non è detto che in condizioni simili gli esseri umani si comportino allo stesso modo».

 

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