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C’è ancora da fare per combattere la stigmatizzazione del paziente psichiatrico

Nell’ambito dell’approccio organizzativo e scientifico gli anni recenti hanno probabilmente risentito dei cambiamenti economici e politici facendo perdere visibilità alla questione della psichiatria che sembra essersi rinchiusa su sé stessa. Le preoccupazioni sembrano concentrarsi essenzialmente sugli aspetti tecnici ed amministrativi, si discute degli equilibri fra pubblico e privato, del fabbisogno di posti letto, della dotazione di personale, ma gli aspetti concettuali di fondo non suscitano alcun dibattito.

C'è ancora da fare per combattere la stigmatizzazione del paziente psichiatrico

Sembra quasi che la copertura legislativa diventi un comodo paravento per l’inattività concettuale, mentre la psichiatria non dovrebbe mai trovare soluzioni definitive, ma rivedere continuamente i suoi presupposti, i suoi rapporti con il mondo sociale, il suo concreto modo di operare.
In questo contesto riveste particolare interesse l’esperienza realizzata dal Club ’74 in Ticino nell’ambito della collaborazione con l’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale.
 
Il Club 74 è stato organizzato seguendo i concetti dei Club terapeutici ispirati dall’esperienza del movimento della Psicoterapia istituzionale francese: l’Assemblea dei pazienti viene riconosciuta quale istanza socioterapeutica da uno statuto che prevede pure un Comitato e un Segretariato. Il Segretariato rappresenta l’organo operativo i cui compiti sono di coordinare le attività socioculturali, di redigere il giornale, di organizzare l’accoglienza dei nuovi ospiti, di gestire un proprio budget e di sovvenzionare le attività che mensilmente ogni unità terapeutica-riabilitativa (UTR) organizza.
 
Nell’ambito dell’organizzazione della Clinica e, più in generale, di quella Sociopsichiatrica Cantonale, il Club ed il suo Segretariato godono di una relativa autonomia decisionale. Tra le varie attività vengono infatti amministrati dei fondi destinati ad attività di animazione e culturali la cui gestione viene effettuata con la collaborazione e la supervisione dei terapeuti del Servizio di Socioterapia, collaborando all’inserimento socio/riabilitativo degli utenti nelle varie attività.
 
Dal punto di vista teorico il Club è uno strumento di lavoro che fa riferimento all’Altro sociale, un luogo di incontro, un’istanza reale che tramite uno statuto pubblico permette di proporre, organizzare e realizzare diversi momenti e attività inserite nel circuito della parola, di soggettivazione dell’altro, troppo spesso considerato solo “oggetto bisognoso di cure”.
 
Il collettivo curante viene infatti considerato come grande Altro attraverso la presa di coscienza dell’articolazione dell’inconscio al significante del collettivo.
In un territorio come quello delle Istituzioni psichiatriche, anche delle più recenti, in cui il pensiero è stato storicamente inaridito il Club terapeutico, nella sua funzione di “centro operativo” della relazione, assume quindi la reale connotazione di istanza socioculturale riabilitativa dell’ambiente.
 
Il tutto può essere considerato un insieme di metodi di riadattamento e uno spazio privilegiato per il reinserimento sociale con caratteristica la possibilità concreta per ogni utente di organizzare il suo tempo.
 
Tramite l’oggetto mediatore rappresentato via via dalle riunioni, dalle attività, dai manufatti, ecc. ecc., si cerca quotidianamente di ripristinare un circuito relazionale che permetta di attuare una riabilitazione per il reinserimento socioculturale dell’utente.
 
Tra le varie possibilità di utilizzo degli oggetti mediatori quelli rappresentati dalle attività espressive hanno senza dubbio un’importanza centrale tanto che da più parti viene sottolineato come lo sviluppo della creatività, nelle sue varie espressioni, stimola la relazione, crea un clima positivo, favorisce la ricerca personale.
 
Attraverso il processo di mediazione rappresentato dall’attività espressiva si definisce infatti uno spazio personale per l’espressione di contenuti emotivi. Questo itinerario, unito alla riacquisizione di abilità che rappresentano un contatto con la realtà, all’inserimento nella realtà sociale e all’importante momento di risocializzazione tramite il gruppo, fa sì che l’uso di tecniche espressive in ambito psichiatrico rappresenti oggi un’insostituibile supporto per la presa a carico della relativa utenza.
 
Riconoscere le differenze, riproporre una ridistribuzione delle opportunità, circoscrivere le cause dei disturbi, riequilibrare gli effetti del disagio, sono compiti che la psichiatria deve affrontare tenendo presente che le risposte univoche e pragmatiche allargano spesso il fossato tra il "normale" e il "diverso" producendo effetti di alienazione e separazione.
 
Imperativo diventa occuparsi allora anche dall’adattamento reciproco fra la società "produttiva normale" e le vecchie e nuove patologie sociali con cui siamo confrontati.
Per meglio comprendere quanto, ancora oggi, il disagio psichico sia stigmatizzato e gli utenti vivano drammatiche condizioni di esclusione dalla società, ripercorriamo alcuni momenti fondamentali della storia della follia con Michel Foucault:
 
"Alla fine del Rinascimento... Per l’essenziale, la follia è vissuta allo stato libero; circola, fa parte dello scenario e del linguaggio comuni, è per ciascuno un’esperienza quotidiana che si vorrebbe non tanto dominare, quanto amplificare. ... A metà del XVII secolo, brusco cambiamento; il mondo della follia sta per diventare il mondo dell’esclusione. ... Nel mondo borghese che si sta configurando, si profila un vizio decisivo, il peccato per eccellenza del mondo del commercio; non più l’orgoglio o l’avidità come nel Medioevo, ma l’inoperosità. La categoria comune che raggruppa tutti coloro che risiedono nelle case di internamento è l’incapacità di prendere parte alla produzione, alla circolazione o all’accumulo delle ricchezze. ... Questo spazio di esclusione che, insieme ai folli, raggruppava le persone affette da malattie veneree, i libertini e molti criminali grandi e piccoli, ha provocato una sorta di assimilazione oscura; e la follia si è imparentata con le colpe morali e sociali, dando vita a un legame che forse non è ancora sul punto di venire meno. ... Per risolvere questo problema, nel periodo della Rivoluzione e dell’Impero le vecchie case di internamento furono a poco a poco destinate ai folli, ma stavolta soltanto ai folli. La filantropia dell’epoca ha dunque liberato tutti, salvo i folli; i quali saranno dunque gli eredi naturali dell’internamento e, per così dire, gli unici beneficiari delle vecchie misure di esclusione".

Una delle sfide più importanti a cui la psichiatria si troverà confrontata nei prossimi anni sarà probabilmente l’emergere di nuovi bisogni e quindi appare fondamentale la necessità di ri-orientare le linee di tendenza in atto, attraverso meccanismi di partecipazione che recuperino ad una migliore qualità di vita il nuovo soggetto sociale e annullino ogni ghettizzazione senza far capo a risposte precostituite.
 
In questo senso le attività inserite nel contesto sociale contribuiscono a responsabilizzare ogni utente quale "attore" della propria esperienza, a trasmettere un messaggio di recupero dell’etica della solidarietà, a restituire il disagio psichico alla società del quotidiano.

Andrea Mazzoleni, socioterapeuta 

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