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Blair e Gheddafi: Business Freedom Agenda

Il Financial Times da qualche tempo sta dedicandosi al ruolo svolto da Tony Blair nella riabilitazione di Muammar Gheddafi. In un articolo comparso ieri, viene rievocata la lunghissima (cinque secondi) stretta di mano tra l’allora premier britannico ed il Colonnello, il 24 marzo 2004, sotto l’immancabile tenda beduina di Tripoli. Quella operazione, definita da Blair “la mano dell’amicizia”, aprì la via alla riabilitazione internazionale dell’uomo che Ronald Reagan definì “cane pazzo”. In cambio della rinuncia alle armi di distruzione di massa, Gheddafi ottenne ampia assistenza da parte di multinazionali occidentali nell’estrazione delle enormi riserve petrolifere libiche.

La disputa che si sta sviluppando in Gran Bretagna è relativa alla gestione del personaggio-Gheddafi nella “distensione”, e sono molti quelli che pensano che i leader occidentali non solo non abbiano mosso un muscolo per promuovere il regime change, ma abbiano addirittura fatto il contrario. Secondo Sir Menzies Campbell, ex leader dei Liberal Democratici, gli interessi delle aziende britanniche sono stati dominanti da subito, ed i temi dei diritti umani e dello stato di diritto sono stati completamente ignorati. Basti pensare che BP nel 2007 investì 900 milioni di dollari in attività di esplorazione in Libia. Il Ceo di BP, Tony Hayward, poi spazzato via dal disastro del Golfo del Messico, dichiarò in quell’anno che le attività di libiche rappresentavano il maggior impegno mondiale di esplorazione della società.

Il ruolo di Blair come piazzista del Big business britannico è proseguito senza sosta, anche dopo la sua uscita dal 10 di Downing Street. Spiega il Financial Times:

«Blair ha ripetutamente affermato di non aver mai avuto nessuna relazione commerciale né alcun ruolo di consulenza nei confronti di membri della famiglia di Gheddafi o di aziende libiche. Ma l’ex primo ministro, che oggi gestisce una società di consulenza chiamata Tony Blair Associates, da quando ha lasciato il proprio incarico pubblico ha fatto viaggi d’affari a Tripoli per conto di JPMorgan Chase, la banca statunitense, e si è incontrato fino alla scorsa estate col colonnello Gheddafi. Saif al-Islam, uno dei figli del leader libico, è una figura regolare del circuito sociale e degli affari di Londra»

Parole e musica del Financial Times, l’ariete della plutocrazia britannica, quella che vuole spolpare il nostro paese e per raggiungere l’obiettivo non esita a criticare il nostro prestigioso premier, ricordate? Forse avranno il dente avvelenato perché, da circa un anno, il fondo sovrano libico possiede una partecipazione del 3 per cento in Pearson, che edita il quotidiano della City. Diciamola tutta: Blair è una pedina del grande business, così come lo sono gli altri suoi colleghi occidentali. La cosa non ci sconvolge, forse perché siamo degli inguaribili cinici. Meglio farebbero però i nostri necon alle vongole a tarare le loro solenni inferenze su questa disarmante realtà. Ma non accadrà, statene certi. Perché Blair ha capito che “valori etici, principi morali e interessi nazionali coincidono“. Soprattutto con quelli delle quotazioni azionarie del Big Business.

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