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Blackout Italia, gli All Whites bloccano gli azzurri sul pareggio

 
Il Mbombela Stadium è di sicuro lo stadio più interessante di questo Mondiale. Circondato dal Kruger National Park, la grande struttura rettangolare si staglia delicatamente contro la vegetazione africana, senza maltrattarla e offenderla con le sue tonnellate di cemento.
 
Qui le grandi costruzioni non s’impongono prepotenti, con la forza della modernità, qui il ferro e l’acciaio devono scendere a patti con la tradizione. Qui si respira davvero l’Africa.
 
Le foreste che lo avvolgono sono il regno dei Big Fives, ovvero i cinque grandi animali del continente (il leone, l’elefante africano, il Bufalo, il Leopardo e il Rinoceronte Nero), l’omaggio, dunque, non poteva che essere agli animali, in un angolo di mondo ancora libero dall’industria nemica della natura.
 
Il tetto, che corre tutto intorno a coprire gli spalti, è sorretto da diciotto alti pilastri, innalzati in modo tale da rappresentare le giraffe, vere regine della savana. La rampa per raggiungere i posti a sedere è un enorme serpente che fagocita e sputa fuori gli spettatori dalle sue spire. Sui seggiolini si alterna il bianco e il nero, a rivestire gli spalti di un unico, lungo manto zebrato.
 
Lo stadio è, in sostanza, magnifico paradigma di quest’Africa, della quale sintetizza il legame con la tradizione e la natura, basi imprescindibili non solo per il passato, ma soprattutto per il futuro sviluppo del continente. Il complesso non è ancora terminato e, come l’Africa, ha l’aspetto di un cantiere ancora in corso.
 
E l’aspetto di un cantiere in corso ce l’ha anche l’Italia di questo Mondiale, che nel Mbombela Stadium ha affrontato gli All Whites della Nuova Zelanda. E’ come se Lippi avesse seguito, nel costruire la sua “nuova” nazionale, i principi su cui si poggia il Mbombela.
 
Il perno centrale della squadra è ancora il nucleo degli ex-campioni del mondo, la tradizione, a cui ha affiancato però forza fresche come Chiellini, Criscito, Pazzini, Marchisio e Montolivo. Quest’ultimo punto avrebbe dovuto rappresentare lo sviluppo che non danneggia la solida base, l’innovazione che va d’accordo con le colonne portanti.
 
 
Mbombela docet.
Se non fosse bastata la prima partita contro il Paraguay, l’1-1 con i neozelandesi dissipa ogni dubbio: c’è davvero qualcosa che non funziona. Non è questione di fortuna, di occasioni fallite, e non è nemmeno il destino avverso che concede troppo ad avversari immeritevoli.
 
Questo secondo pareggio stride come unghie sulla lavagna, e a questo punto ci si dovrebbe svegliare dal sogno dorato che aveva avvolto l’Italia, proteggendola da qualunque risultato negativo grazie al titolo di campioni del mondo, divenuto ormai l’unico motivatore a dispetto di tutte le brutte prestazioni. La coppa ormai è solo il talismano di mille incertezze.
 
Quella che sarebbe dovuta essere una partita decisiva si è rivelata una serata decisamente “no” per i giocatori azzurri. Si sprecano i passaggi falliti, la manovra è come al solito macchinosa e mai incisiva. L’Italia ha fatto “tanto rumore per nulla”. Poche sono state le vere occasioni, molti i cross in area puntualmente intercettati dagli spilungoni neozelandesi.
 
Non è una follia basare la propria strategia offensiva sui cross, quindi sulla stazza e sullo stacco dei colpitori di testa, contro una squadra la cui altezza media è pari a 185 centimetri tondi tondi? Probabilmente sì. E i fatti lo hanno dimostrato. Anche contro il Paraguay la strategia italiana si era limitata a una “palla in mezzo e poi si vede”, e anche questa volta ha avuto zero risultati.
 
Parliamo poi dei calci piazzati? Era chiaro fin dall’inizio che le uniche preoccupazioni, per i difensori italiani, sarebbero potuti venire solo da calci piazzati, su cui gli All Whites realizzano la stragrande maggioranza delle loro realizzazioni. Nonostante ciò, il gol è arrivato proprio dal primo calcio di punizone della partita. Un gol in fuorigioco, certo, (peraltro quasi impossibile da vedere per il guardalinee) ma che mette impietosamente in luce le carenze non solo difensive ma di concentrazione dei giocatori italiani.
 
Cannavaro (per il resto esemplare), in entrambe le partite, si è fatto però sfuggire il suo diretto interessato su cross da palla ferma. Il risultato? Due gol subiti, uno contro il Paraguay e uno contro la Nuova Zelanda. A questo punto nessuno si aspettava di dover fare calcoli e scongiuri anche solo per passare il girone. Scordiamoci il primo posto, ora si lotta per il secondo. La vittoria contro la Slovacchia è fondamentale, anche se persino il pareggio potrebbe permettere all’Italia di passare agli ottavi, ma occhio alla sfida fra Paraguay e Nuova Zelanda.

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