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Bielorussia, il paese dove il boia non riconsegna le salme

Un anno fa, in Bielorussia, nel cuore dell’Europa, Uladzslau Kavalyou e Dzmitry Kanavalau vennero uccisi con un colpo di pistola alla nuca dopo essere stati giudicati colpevoli di un attentato alla metropolitana della capitale Minsk, che l’11 aprile 2011 aveva causato 15 morti e oltre 300 feriti.

Erano veramente loro i colpevoli? Il processo, terminato il 30 novembre 2011, fu contestato da più parti per non aver rispettato gli standard internazionali. I due imputati vennero giudicati direttamente dalla Corte suprema e non ebbero così la possibilità di ricorrere in appello a un tribunale di grado superiore. Il presidente Lukashenko, che già all’indomani dell’arresto ne aveva pubblicamente stabilito la colpevolezza, negò loro la grazia il 14 marzo 2012.

Il 17 marzo Lubou Kavalyoua, madre di Uladzlau, ricevette una lettera dalla Corte suprema, recante la data del giorno precedente: suo figlio, c’era scritto, era stato messo a morte.

Da allora, insieme alla madre di Dzmitry Kanavalau, Lubou Kavalyoua aspetta di riavere indietro la salma di suo figlio, per dargli sepoltura, o per lo meno di essere sapere su quale tomba, di quale cimitero, potrà deporre un fiore.

A dare legalità a questa macabra crudeltà post-mortem è l’articolo 175 del codice penale bielorusso, che dà facoltà al governo di non comunicare ai parenti dei prigionieri messi a morte il luogo dove sono stati sepolti.

La Bielorussia è l‘unico paese dell’Europa e dell’ex area sovietica a eseguire condanne a morte.

I prigionieri non vengono informati in anticipo dell’esecuzione, che ha luogo a distanza di pochi minuti dalla notifica del rigetto dell’appello, quando è previsto. Vengono fatti inginocchiare e uccisi con un colpo di pistola alla nuca.

Per quanto altro tempo ancora l’Europa abolizionista, protagonista delle campagne per la moratoria sulle esecuzioni alle Nazioni Unite, accetterà tutto questo?

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.247) 19 marzo 2013 15:08

    Come si chiamava quel politico italiano che, da Capo del Governo, nel 2009 andava in visita a Minsk col suo bravo codazzo di imprenditori amici e se ne tornava dicendo: Lukaschenko è un grande amico !

    Non riesco a ricordarlo. O meglio, ho il sospetto che incosciamente mi rifiuto di ricordarlo. 


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