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Bianca… sul sentiero aperto dal Nunca Más

Con il suo ultimo romanzo, intitolato I passi di Bianca (Emersioni, settembre 2019), Nicola Viceconti torna su un tema centrale della sua attività letteraria: il dramma dei desaparecidos argentini durante gli anni della dittatura civico militare degli anni ’70. Nelle sue ultime opere, nel 2018, l’autore appassionato di America latina infatti ha volto lo sguardo su altri paesi portando la narrazione in Messico, con Vieni Via (Ensemble), ambientato in tre nazioni. Dello stesso anno, nella raccolta di poesie Torneranno i cavalli al galoppo (Ensemble), il lettore osserva il continente centro e sudamericano attraverso un caledioscopio di immagini e suggestioni tali da proporsi quasi come una summa dell’interesse storico-sociologico e dell’impegno civile dell’intimo legame che lo scrittore Viceconti ha consolidato con questi popoli e con le culture ancestrali. Scopriamo qualcosa di più nell’intervista che segue.

La tua produzione è piuttosto eterogenea, riesci a spaziare in diversi generi, dal racconto breve, alla novella fino alla poesia. I tuoi romanzi sfuggono a una classificazione netta, oscillando tra il thriller e il genere del romanzo ad ambientazione storica nel quale la finzione narrativa si innesta su contesti storico-sociali reali. Perché l’identità rappresenta il fine e il veicolo delle narrazioni che Nicola Viceconti offre ai propri lettori?

I passi di Bianca è un romanzo che, in linea con i precedenti, invita a riflettere sulla nostra società, su quello viviamo, a collegare la memoria con l’identità, a riflettere sulla valenza “civile” della memoria. L’ambientazione storica e geografica è curata non solo come mera rievocazione del passato personale e collettivo, ma come strumento per sintetizzare i fatti con una lente che permetta la compenetrazione della storia presente con il futuro. L’opera rientra in “Novelas por la identidad”, si tratta di un progetto letterario, incentrato sul delicato tema della memoria, della verità, della tutela dei diritti umani e dell’identità, tanto “personale” come affiora dalle singole “storie di vita” dei personaggi, quanto “collettiva”, come si sviluppa in seno a intere comunità. La denominazione richiama allusivamente l’iniziativa argentina “Teatro por la identidad”, basata sull’attività di attori, drammaturghi e coreografi teatrali che collaborano attivamente con le Abuelas de Plaza de Mayo, a sensibilizzare la società nella ricerca dei figli dei desaparecidos, circa cinquecento nipoti (nietos), di cui ne sono stati recuperati a oggi 130. Si tratta di bambini che durante la dittatura argentina sono stati strappati alle loro madri detenute e privati della propria identità.

Sulla sottrazione dei minori come disumano “bottino di guerra” in Argentina, hai dedicato più di un’opera. Perché?

I passi di Bianca racconta le vicissitudini e le scelte coraggiose di una trentenne italiana che sarà costretta a intraprendere un percorso doloroso per scoprire la propria vera identità. La prospettiva che ho scelto di adottare ne I passi di Bianca è quella del narratore in terza persona, un espediente che mi ha consentito di seguire i personaggi come se li osservassi costantemente da una macchina da presa, lasciandoli liberi di agire, senza interferire. In quest’opera, nata come soggetto cinematografico insieme a Francesco Lopez e Walter Calamita, ho scelto di porre l’attenzione sul legame che esisteva tra l’Italia e il paese sudamericano negli anni Settanta.

Puoi anticiparci qualcosa di Bianca?

Bianca Venturi vive con la sua famiglia nella provincia di Parma. Entrambi i genitori hanno riposto in lei, figlia unica, ambiziose aspettative. Fin da piccola coltiva una passione per l’architettura osteggiata dalla madre, con la quale è in perenne conflitto. Riuscirà a trasformarla in professione grazie all’incontro fortuito con Giulio, architetto bolognese di cui si innamora. Bianca, affasciante trentenne, viene fatalmente a conoscenza di vicende che le impongono di colpo l’abbandono di tutte quelle false certezze su cui ha poggiato la sua esistenza. Scopre, così, di essere vittima di uno sciagurato inganno. Per appurare la verità sul suo passato, decide di partire per l’Argentina dove sarà costretta a immergersi dolorosamente nei fatti storici di un paese imprevedibilmente vicino.

Dopo Due volte Ombra (Rapsodia) e Nora Lopez –Detenuta 84 (Rapsodia), tradotti e pubblicati rispettivamente con i titoli Dos veces Sombras (Acercandonos Ed.) e Nora Lopez detenita 84 ((Acercandonos Ed.), anche I passi di bianca sta per uscire nelle librerie argentine. Le tue opere poggiano su una solida conoscenza storica e su fonti documentali puntuali. La responsabilità e il rispetto con cui hai saputo toccare temi così delicati e ancora scottanti, ti hanno valso il prestigioso titolo, conferito nel 2015 dalla camera dei deputati di Buenos Aires di “Visitante Ilustre” per la capacità di mantenere viva la memoria del popolo argentino attraverso i suoi romanzi che rappresentano differenti realtà e momenti storici centrali della cultura contemporanea e politica”. Perché ti sta così a cuore questo paese, questo momento storico?

L’interesse per la storia recente dell’Argentina è scaturito tanti anni fa da uno studio del fenomeno della desapariciòn forzata messa in atto dai regimi dittatoriali in tutto il Cono Sur, dal contatto con alcuni esiliati in Italia, dall’incontro con le Madres e le Abuelas de Plaza de Mayo, come Estela Carlotto, Vera Vigevani, Tati Almeyda, e dalla visita in alcuni Centri clandestini di detenzione come l’ESMA, il Club Atletico, l’Olimpo. Ho seguito personalmente alcune udienze dei processi che si sono tenuti in Italia contro i militari argentini per la desapariciòn di cittadini di origine italiana fino all’ultimo, tuttora in corso, del famigerato “Plan Condor”. Tra le fonti alle quali ho attinto, il Nunca más è certamente uno dei documenti più importante. Nunca Más (Mai più) è il titolo significativo del rapporto sulle indagini relative ai sequestri, torture e sparizioni forzate pubblicato nel 1984 dalla Commissione Nazionale sulla Scomparsa di Persone (CONADEP) in Argentina. Ha una portata storico-sociale eccezionale. Rappresenta il coraggio, la determinazione e lo sforzo di un intero paese di portare alla luce gli orrendi crimini perpetrati negli anni di dittatura di Videla. Giuridicamente, le migliaia di testimonianze dettagliate su ciò che accadeva nei diversi centri clandestini di detenzione, ha costituito il corpus probatorio per eccellenza nei processi penali contro i membri della Junta militar, responsabili delle violazioni perpetuate. Il Rapporto ha, pertanto, contribuito a fornire una rappresentazione inopinabile dei desaparecidos quali vittime innocenti del terrorismo di Stato. È diventato un simbolo di speranza e di temerarietà per urlare il rifiuto e la condanna di ogni violazione dei diritti umani nel mondo. Nunca Más è un imperativo categorico alla luce delle sofferenze inflitte dalle dittature. L'espressione fu suggerita da un rabbino e fu usata dai sopravvissuti del ghetto di Varsavia dopo le atrocità commesse dal nazismo. Affinché si raggiunga l’obiettivo del Nunca Más, affinché le nefandezze non si ripetano, ognuno di noi, a livello individuale e collettivo, è chiamato a percorrere un sentiero non privo di ostacoli. Proprio come ha scelto di fare Bianca. 

«Le motivazioni che mi hanno portato fino a qui partono da ragioni personali, ma ti assicuro che da anni il mio impegno è per la difesa della verità, qualunque essa sia. Stai tranquilla, non mi sono mai tirato indietro».

(I Passi di Bianca, pag. 50)

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