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Benedetta primavera: confronto tra la rivoluzione araba e quella italiana. Una proposta di dibattito

Potrebbe sembrare banale, ma forse è utile. L’idea sta serpeggiando in rete ma ancora non vedo paralleli strutturati. Lungi dal permettermi di articolarlo io, propongo di far partire il dibattito: quello sul parallelo tra le rivoluzioni nel Mediterraneo e quanto accade in questi giorni in Italia. Un paragone tra la primavera araba e quella italiana, insomma. Affinità e divergenze, ma anche legittimità del dibattito. Le due situazioni sono accostabili?

Andiamo per spunti. Innanzitutto, la rete. Il web. Fattore decisivo per le rivoluzioni arabe, per informazione e contatti. Tra chi santificava Facebook e i vari “social”, o che ricorreva a giornali clandestini online per attingere nozioni sull’andamento della rivolta utili a chi combatteva o protestava. In Italia, sulla rete da almeno un anno e mezzo si discute dei referendum sull’acqua e nucleare, sulla rete ci si è formati un’opinione o si è saputo di cosa si parlava, più semplicemente. E dalla rete sono nati i comitati sostenitori di Pisapia e De Magistris, con un florilegio di modelli di comunicazione innovativi che hanno coinvolto categorie come la creatività, l’ironia, la mobilitazione virale. Nella clamorosa assenza dell’informazione istituzionale che, salvo benefiche eccezioni, oscurava, sminuiva e addirittura manipolava le notizie sulla data dei quesiti.

Poi, l’età dei protagonisti. Sulle coste del mediterraneo, prevalentemente giovani, specie i leader. In Italia, l’età è stata decisiva: secondo i dati disaggregati, il 70% degli affluenti al referendum non arrivava ai 45 anni, e i sostenitori dei due sindaci erano per lo più trentenni.

Come sfumatura, aggiungerei il ruolo di intellettuali ed artisti che, e mi riferisco soprattutto all’Italia, per una volta non sono stati a guardare: da noi è stata anche la primavera di comici, vignettisti e creativi. Mentre "oltremare" qualcuno ha pagato a caro prezzo la loro voce libera, vedi la tragedia del caricaturista libico Qais el Hileli.

Ancora, il rifiuto delle vecchie forme di politica. Che nel caso dei paesi del Maghreb, così come in Yemen e in Siria accade in queste ore, prendevano le vesti del rivolgimento contro dittatori e capi tribali; qui, invece, quelle meno sanguinose ma non per questo meno incisive dello smottamento dei partiti tradizionali che hanno fatto posto ad innovativi modi di partecipazione, troppo presto battezzati “antipolitica”, mentre sono più appropriatamente riconducibili alla società civile (più o meno libera). Sembrerebbe, questo, l’aspetto meno originale: in fondo, si obietterà, tutte le rivoluzioni vanno a contestare il vecchio potere, per poi sostituirlo. Ho la sensazione, invece, che stia avvenendo qualcosa in più. Perchè sia nel mondo arabo che in Italia si va a processare la stessa forma della cittadinanza attiva: con un allargamento delle basi decisionali.

Un aspetto ancora in comune è la rapidità del rovesciamento. Presuppone certo una lunga preparazione, come il mezzo secolo di dittature arabe o il nostro di partitocrazia, culminata con la fase autocratica berlusconiana, ma quando scoppia è un vento velocissimo. Se alimentato dalla rete, è capace di infiammare subito.

Qualche accenno alle differenze, su cui lascio ad altri adeguato approfondimento: l’esito delle varie rivoluzioni arabe è a vario fine. Lieto, o quasi, nel caso di Tunisia ed Egitto, tragico per Libia, Siria e Yemen. Da noi lo spettro di guerre civili o repressioni cruente non c’è. Questo ha informato anche la tipologia di comunicazione dei due modelli di rivolta: potente e terribilmente seria nei paesi arabi, ironica e dissacrante nel nostro. Perché comunque parliamo di un distacco, fondamentale, tra nazioni governate dalla dittatura ed uno in cui esiste una Costituzione democratica. Ma proprio per questo la sete di libertà è diversa. Il vero scarto sta in un semplice dettaglio: mentre qui si dibatteva, durante il referendum, sul raggiungimento del quorum, con suggerimenti autorevolissimi sul disertare le urne, dall’altra parte del mare oggi succede altro. Là la gente si uccide, pur di andare a votare.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.166) 15 giugno 2011 11:31

    confronto? perchè in italia c’è stata o è in atto una rivoluzione? la differenza è che nei paesi arabi sono passati ai fatti, e da noi ci poniamo queste domande, quindi siamo ancora alle chiacchiere


  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.93) 15 giugno 2011 11:42
    Damiano Mazzotti

    Gli italiani sono i più bravi a far finta di cambiare... il bello deve ancora venire.... In realtà Berlusconi è stato abbandonato come si abbandona un vestito usurato... la vera libertà mentale è ancora piuttosto lontana..... Quanti giovani e quanti esponenti della società civile avete visto entrare nelle giunte comunali? Troppo pochi.... I nostri burocrati sono ancora molto bravi a sfruttare l’attività e il voto dei giovani e a prendere per il culo i più giovani....

  • Di Virginia Visani (---.---.---.0) 15 giugno 2011 12:35
    Virginia Visani

    La proposta di confronto mi sembra interessante, però.... mancano ancora molti elementi che possano essere raffrontati.
    In primo luogo mancano notizie precise su quello che vogliono i giovani arabi al di fuori dell’abbattimento del dittatore, Hanno un progetto, un programma da proporre? Non mi pare e così corrono il rischio che la cosiddetta rivoluzione dei gelsomini venga usata dai soliti approfittatori, magari travestiti anche loro da rivoluzionari. La stessa cosa può accadere anche da noi: chi mette o ha già messo il cappello sul movimento giovanile di questi ultimi mesi? Il PD? Di Pietro? o forse pure Santoro?
    Attenzione: le rivolte sono sacrosante, ma un conto è ribellarsi al sanguinario dittatore e un conto è invece ribellarsi al vecchiume, alla politica politicante fatta di luoghi comuni, promesse non mantenute e bla bla bla.

  • Di pint74 (---.---.---.139) 15 giugno 2011 19:29
    pint74

    Articolo ricco di interessanti riflessioni...
    Purtroppo ritengo che da noi la primavera sia ben lontana...Al contrario dei paesi del medio oriente,qui vige ancora,nel popolo,l’illusione di poter uscire da questa crisi,l’illusione che i partiti lavorino per loro,l’illusione che il mondo sia solo calcio e reality.Il popolo inzia ad aprire gli occhi ma siamo ben lontani dall’arrivare all’esasperazione come in egitto.Solo l’esasperazione può accendere la miccia della rivolta e ,forse,del cambiamento.Per ora ,le poche proteste che ci sono in Italia,sonoignorate o saffocate a suon di manganello.Quando arriveremo al dunque,come nei paesi arabi,si spera che polizia ed esercito aiutino la popolazione o sarà anche qui un bagno di sangue come in Siria.
    L’illusione della democrazia regge solo fino a che il popolo non si accorge che il suo lavoro,o meglio,la sua schiavitù ,permette vite da nababbo a pochi e vite a malapena vivibili per molti.
    Quando l’illusione si rompe ,il governo,inizia,come succederebbe quasi ovunque,ad inculcarci "democrazia " con manganelli ed arresti.
    Se poi la popolazione non ci stà e continua a non voler rimanere schiava,c’è il sensibile rischio che il governo tolga la maschera e si riveli per quello che per me è.Un sistema che serve a fornire soldi a poche lobby e taciti ed illusi schiavi che lavorino per questo scopo.Qui è l’intera ottica che abbiamo della democrazia che deve cambiare e con essa i rappresentanti che ci scegliamo .

  • Di yepbo (---.---.---.224) 16 giugno 2011 01:29

    Tempo al tempo e, sarà evidente che non esiste nessuna rivoluzione araba.

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