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Bauman: consumo, dunque sono

“Consumo, dunque sono” è il bel titolo dell’interessante libro di Zygmunt Bauman (Laterza, 2008), che finalmente è uscito con un’opera originale dopo l’overdose dei suoi concetti di “liquidità” che ci ha “intossicati” per molti anni. Poi, di questi tempi l’unica liquidità utile è quella rappresentata dal denaro, ma purtroppo è proprio quella più rara (esiste solo denaro virtuale mummificato in derivati senza valore reale).

Attraverso una lunga serie di aneddoti e di accadimenti molto rappresentativi si descrive il passaggio dalla società capitalistica dei produttori, che spingeva al consumo materiale, alla società capitalistica dei consumatori, che vuole anche il consumo immateriale e di status, e ricerca la felicità infinita. Così facendo, gli uomini diventano esseri viventi prosciugati da vite frenetiche e vuote, costretti a prendere parte a una competizione grottesca per la visibilità e lo status. E la condizione umana diventa sempre più simile a un tipo di prodotto: “Nella società dei consumatori nessuno può diventare soggetto senza prima trasformarsi in merce, e nessuno può tenere al sicuro la propria soggettività senza riportare in vita, risuscitare e reintegrare costantemente le capacità che vengono attribuite e richieste a una merce vendibile” (Bauman).

L’illusione e la confusione creata dal “feticismo della merce” (Karl Marx) ha corroso i rapporti umani. La capacità lavorativa viene venduta come merce, ma non è e non può essere considerata una merce come tutte le altre: chi l’acquista non può portarsela a casa (Karl Polanyi). Per questo i compratori di lavoro del 2008 (i vecchi ed estinti datori di lavoro) preferiscono i più produttivi Robot (o i sistemi informatizzati di gestione del personale), che non chiedono l’aumento, non fanno sciopero, lavorano 24 ore su 24 e possono essere spenti con un bottone o rivenduti in caso di mancanza di occasioni di produzione. E si creano così possibilità incredibili di produzione per una società fatta di troppe persone che non avendo un lavoro o avendo un lavoro sottopagato possono permettersi solo i beni necessari alla sopravvivenza: cioè guadagnano poco più dei soldi che servono per continuare a lavorare e far arricchire chi campa di rendita. L’unica soluzione è investire nella fascia giovanile (come avviene in molti paesi del Nord Europa), che deve avere un reddito di cittadinanza in grado di consentire la formazione, l’apprendimento e l’addestramento fino ai 24-26 anni (e si liberano così molti posti di lavoro) e portare l’orario di lavoro a livello internazionale alle 30 o 32 ore settimanali, come accade in molti lavori amministrativi e statali (100 anni fa si lavorava dall’alba al tramonto, poi 12 ore, poi 10, poi si è passati a 8: la direzione è chiara).

Per capire invece la diffusione del sogno della celebrità riporto il seguente passaggio: “La mia mamma insegna in una scuola elementare e quando chiede a un bambino che cosa vuole fare da grande, le risponde: “Diventare famoso”. Allora lei chiede perché, e lui risponde: “Boh, voglio solo diventare famoso” (tratto da un’intervista alla cantante Corinne Bailey Rae).

Comunque questa “Rivoluzione Consumistica” trasforma le capacità di consumo e i desideri della maggior parte delle persone nell’ esperienza centrale della vita della gente, e il fare esperienze ripetute di consumo e di desiderio diventa l’effettivo fondamento dell’economia della condizione umana (Colin Campbell). Inoltre “Lo spazio di ipocrisia che si estende tra le convinzioni diffuse e le realtà della vita dei consumatori è condizione necessaria di una società dei consumatori correttamente funzionante. Se si vuole che la ricerca di appagamento prosegua e che le nuove promesse siano seducenti e allettanti, è necessario che le promesse già fatte siano puntualmente disattese e le speranze di appagamento vanificate”(Bauman, p. 60). Infatti il sentimento di felicità riportato dalla popolazione cresce insieme al reddito solo fino al soddisfacimento dei bisogni di sopravvivenza: la “Ruota Edonistica” non riesce a produrre quantità crescenti di felicità quando si scontra coi bisogni di autorealizzazione (Richard Layard, Felicità. La nuova scienza del benessere comune, 2005).

Però è quasi scomparsa la civiltà delle coercizioni e “la contrapposizione tra il principio di piacere e quello di realtà… è stata in qualche modo cancellata: arrendersi alle dure esigenze del principio di realtà si traduce nell’adempiere all’obbligo di ricercare il piacere e la felicità” (Bauman, p. 94). La profezia tanto criticata di Jean-Jacques Rousseau si è avverata, anche se in un modo non previsto: gli uomini sono stati costretti ad essere liberi. Questo ha comportato la nascita della generazione che vive a credito: una ricerca inglese ha riportato che il 25% dei giovani dai 18 ai 40 anni ha il conto scoperto in banca e che il 42% non mette da parte nulla per il futuro a lungo termine e che solo il 30% riesce a mettere da parte qualcosa per gli acquisti più importanti (questi fatti dipendono naturalmente anche dal tipo di occupazione molto precaria).

Giunti a questo punto, a chi avesse grosse problematiche debitorie da risolvere, consiglierei di ricercare le eventuali soluzioni sul sito www.liberidaidebiti.it.

Fatto sta che anche gli Stati Uniti d’America vivono abbondantemente al sopra dei propri mezzi, proprio perché il Paese si è enormemente indebitato col Giappone, la Cina e i paesi mediorientali produttori di petrolio (Paul Krugman). Denaro importato che dovrà essere restituito e che finora ha finanziato solo i consumi invece di essere investito in opere e progetti di ricerca e investimento produttivi e redditizi.

Anche i rapporti umani vengono investiti da questa ondata di consumismo e protagonismo: le persone si considerano dei prodotti che devono essere in grado di attirare l’attenzione e la domanda degli interlocutori. Sia nel social networking che nei siti specializzati nella ricerca di un partner la smaterializzazione delle relazioni rende più facili, sicure e controllate le interazioni ed evita l’imprevedibilità e il rischio degli incontri faccia a faccia. Ma tutto questo ha un costo: si vive un “senso strisciante di disagio e di abuso che, per quanto si cerchi di evitarlo, ossessione chi passa da un sito all’altro, come se sfogliasse le pagine di un catalogo, alla ricerca del partner ideale” (Jonathan Keane). L’incontrollata “Sovranità del Consumatore” infetta anche i rapporti d’amore e la ricerca della “Relazione Pura” fa aumentare a livello esponenziale il numero delle persone single (soprattutto donne) che inseguono per tutta la vita il partner perfetto che forse non troveranno mai (Anthony Giddens, La trasformazione dell’intimità). E poi la relazione pura si basa troppo sull’utilità e sulla gratificazione e meno sull’amicizia, la devozione e sull’amore vero. E così “ogni uomo sta solo sul cuor della terra” (Giuseppe Ungaretti).

Per quanto riguarda le influenze di questa società sulla politica riporto l’analisi impietosa di George Orwell, un grande artista anticipatore dei tempi: “Di questi tempi, i discorsi e gli scritti politici sono in gran parte la difesa dell’indifendibile… Il linguaggio politico – e con varie differenze questo è vero di tutti i partiti politici, dai Conservatori agli Anarchici – è concepito per far apparire attendibili le menzogne e rispettabile l’assassinio, e per dare una parvenza di solidità al vento puro” (Politica e lingua inglese, 1954, in Denise Milizia, B.A. Graphis, Bari, 2003). Ma forse la politica finora è sempre stata così… In Svezia però hanno già un altro approccio. Queste sono alcune parole tratte dal programma del Partito Socialdemocratico: “Ognuno di noi, in qualche momento, è fragile. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. Viviamo la nostra vita qui e ora, insieme agli altri, intrappolati nel bel mezzo di un cambiamento (io aggiungerei epocale…). Saremo tutti più ricchi se a ciascuno di noi sarà consentito partecipare a se nessuno verrà escluso. Saremo tutti più forti se ci sarà sicurezza per tutti e non soltanto per pochi”.

La cosa forse più assurda è che “i poveri si trovano giocoforza in una situazione in cui sono costretti a spendere lo scarso denaro o risorse per procurarsi oggetti di consumo privi di senso, anziché sopperire a bisogni fondamentali, al fine di allontanare da sé una totale umiliazione sociale e la prospettiva di essere molestati e derisi” (Nanda R. Shrestha, p. 174). La mancanza di “accettazione” rappresenta quindi la peggiore privazione possibile anche in questa società dell’immagine e dei consumi (Pierre Bourdieu).

Chiudo infine con le parole pessimiste dell’autore: “Consumiamo ogni giorno senza pensare, senza accorgerci che il consumo sta consumando noi e la sostanza del nostro desiderio. E’ una guerra silenziosa e la stiamo perdendo”. Il sociologo, che ha 83 anni, può permettersi di essere pessimista: noi al massimo possiamo concederci “il pessimismo della ragione che è l’ottimismo della realtà” e dell’azione (Antonio Gramsci). Ricordando che gli aerei decollano contro vento e che “quando smetti di cambiare sei finito” (Benjamin Franklin).

P.S. Nell’odierna società delle troppe informazioni e consumazioni, c’è una cosa che rimane sempre più tremendamente vera: “Il rinvio è un serial killer delle possibilità” (Bauman). Consiglio poi, a chi vuole esplorare i nuovi fenomeni comunicativi e consumistici, di visitare il sito: www.futureconceptlab.com.

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