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Assolto Genchi, ma non per Bossio e Rinaldi

Vi ricordate il più grande scandalo della storia della Repubblica? Il famigerato Archivio di Gioacchino Genchi, il superconsulente di Procure di mezza Italia? Ecco, non c’è più. Assolto con la formula piena “perché il fatto non su sussiste”. “Ha intercettato 350 mila persone”, sentenziò Silvio Berlusconi. E di lì a ruota la macchina del fango. Ma c’è qualcuno, ancora, a cui piace lo scandalo. Ci è affezionato, per così dire. Forse un modo per esorcizzare gli scheletri che prendono forma negli attimi immediatamente prima di abbandonarsi tra le braccia di Orfeo. Forse. Vincenza Bruno Bossio, imprenditrice calabrese e membro della direzionale nazionale del Pd, per esempio, la sera se non posta sul suo blog un pezzo di Peppe Rinaldi, di Libero, proprio non riesce a dormire. Lo scandalo c’è ancora per questi due. Ahi voglia che ci sbattono il muso.
 
La sparata più grossa la dice lui e lei subito la condivide sul suo blog. E si tratta del “riversamento” degli atti di Poseidone in Why Not, le celebri inchieste per le quali Gioacchino Genchi è stato recentemente assolto per non aver eseguito i numerosi accessi abusivi al sistema informatico Siatel, l'anagrafe dei tributi locali dell'agenzia delle Entrate, paventati dal Ros. Lo stesso pubblico ministero di Roma che aveva formulato l’accusa ne ha richiesta l’assoluzione con la più ampia delle formule “perché l fatto non sussiste”. No i fatto c’è, ma non costituisce reato. Nemmeno il reato c’è ma Genchi non l’ha commesso. Il fatto non sussiste, nel senso che non vi è mai stata alcuna condotta antigiuridica e Genchi non è mai venuto meno a nessuno dei suoi doveri nell’esercizio delle funzioni di consulente tecnico dell’Autorità Giudiziaria. Al difensore di Genchi, l’avv. Fabio Repici, non è rimasto che associarsi alle articolate conclusioni del P.M.. Dopo oltre tre anni di indagini, di clamori e di processi, al giudice per l’udienza preliminare sono bastati poco più di tre minuti di camera di Consiglio per pronunciare la sentenza: Genchi è assolto perché il fatto non sussiste. La stessa indagine riguarda un altro processo, ancora in corso, con l’accusa dei Pubblici Ministeri di Roma - già formulata a carico di Genchi e de Magistris dal famigerato procuratore aggiunto Achille Toro - di aver violato le guarentigie costituzionali che tutelano i parlamentari dall’acquisizione dei tabulati telefonici senza la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza. Dunque, decreta il Rinaldi che il “riversamento” dei tabulati di Poseidone nell’indagine WhY Not, eseguito da Genchi, “non si può fare, se non dietro specifica autorizzazione” . È anche quello di cui lo accusa il Ros. Si dà il caso, però, che l’autorizzazione a Genchi e a Pietro Sagona, entrambi Ctu dell’allora pm Luigi de Magistris, gliela diede proprio il titolare delle indagini oggetto della presunta violazione. Il 2 aprile 2007 il pm così dispose: “rilevato che atti del procedimento penale originariamente trattati nel procedimento penale nr 1217/2005 debbono confluire nel fascicolo sopra indicato (numero 2057 del 2006, ndb) in quanto si sta delineando la configurabilità dell’associazione per delinquere oggetto di investigazione (…) dispone che i predetti consulenti tecnici trasmettano, nell’immediatezza in copia informatica, e successivamente in copia cartacea, gli elaborati da loro espletati nell’ambito del procedimento 1217/2005”. Bene.
 
La ferve investigativa della coppia inedita non finisce qui. Beppe Pisanu fa delle dichiarazioni in merito al procedimento che lo vede parte lesa, secondo il Ros, insieme ad altri sette parlamentari, presunte vittime dell’orecchio troppo curioso del perito informatico. Il Fatto titola Pisanu scagiona Genchi, ma per il redattore di Libero è solo un incartamento del giornale.
 
L’ex ministro dell’Interno dice: “Quelle utenze telefoniche non sono mie. Riconosco esclusivamente quella contraddistinta dal n° 335 (…), in uso esclusivo a mia moglie Anna Maria. Delle altre (…) è certo che non si tratta di utenze in uso a me, né come utenze personali, né come utenze di servizio”. Dunque, un’assoluzione prima ancora che si pronunci il giudice. Ecco, per Rinaldi e la Bossio non va bene. C’è qualcosa che al Fatto, che ha dato la notizia, è sfuggita. E cosa sarebbe? L’utenza della moglie di Pisanu. Leggiamo la ferve investigativa della coppia inedita. “Se il numero era intestato a Pisanu - come dice la consorte - e se di quel numero si discute, significa o no che il trattamento dei dati è stato fatto su quell’utenza? Parrebbe di si, rileva poco che l’uso era di persone non coperte dalle guarentigie. A quel numero, in pratica, corrispondeva un’anagrafica difficile da ignorare: resta poi un mistero (che dovrà accertare la procura di Roma) perché, pur essendoci quell’intestazione, accanto al tabulato veniva riportata quello della signora Ilari. Insomma, sarebbe bastata una richiesta di autorizzazione e tutto si sarebbe risolto, almeno in uno degli 8 casi contestati. 
A meno che non si voleva scoprire cosa facesse la moglie del ministro, che pure parlava al telefono con il “feroce Saladino”, come tanti”.
 
Andiamo con ordine. Il trattamento dei dati. Prima di trattarli bisogna individuarli, è logico. La semantica viene dopo. Una volta individuata l’utenza chi se ne occupa valuta il da farsi. Se proseguire o meno, a seconda dell’interesse investigativo che via via il “dato” trasmette e salvo prescrizioni in itinere. Nel caso di parlamentari si chiede l’opportuna autorizzazione e lo fa il pm. Al di là del fatto che sarà il giudice a stabilire se vi è stato o meno un accesso abusivo è di dominio pubblico la circostanza che le garanzie costituzionali si riferiscono solo ai parlamentari e non anche ai loro congiunti, e solo all’effettivo usuario della scheda telefonica. Se così fosse Emilio Fede, Lele Mora e Gabriel Minetti sarebbero stati scriminati sotto il grande ombrellone dell’immunità parlamentare di Berlusconi. Ma non è così. Però, per Rinaldi e Bossio basta l’identificazione per far vivo lo scandalo, così magari grazie a Genchi anche Berlusconi si riesce a difendere meglio dalle accuse dei Pubblici di Ministeri di Milano che, mutatis mutandis - ora ci vuole - non hanno fatto null’altro di quello che Genchi aveva fatto a Catanzaro. Peccato però per la nuova inedita coppia Rinaldi-Bossio che lo scandalo, tanto enfatizzato dal gennaio del 2009, si è via via sciolto come neve al sole, ma non per tutti, evidentemente. Ecco, allora che la moglie di Pisanu ha avuto un contatto con il “feroce Saladino”. Nulla dice di più, se ne guarda bene il Rinaldi. Per esempio, non dice che l’ex presidente delle Compagnie delle Opere voleva accattivarsi le grazie della moglie dell’ex ministro dell’Interno con un pensiero natalizio a febbraio del 2006. Forse. Pensiero tardivo, ma aveva le sue buone ragioni. C’era l’affare sul voto elettronico e Saladino non se lo voleva far scappare. Forse. Manda un sms al prefetto Vincenzo Corrias, caposegreteria di Pisanu, e poi pensa seriamente a un panettone, anche se è carnevale ormai. Per una signora d’eccezione. La signora non vuole riceverlo. Ma questo Rinaldi non lo dice. Come non dice nemmeno del fatto che nell’inchiesta Why Not l’interesse investigativo verteva sul deus ex machina, Antonio Saladino. E sul fatto che “chiedeva di entrare in associazione temporanea di impresa nel progetto di voto elettronico che sarebbe poi stato al centro della nota polemica scatenata dal settimanale Diario. Poi, Saladino e Corrias si sarebbero sentiti ancora. Ma la cosa non andò in porto perché, come da sempre sostiene Genchi, il ministro Pisanu non ha mai e in nulla concretamente favorito Saladino. In qualsiasi caso, a parte il singolare tentativo di Saladino di rifilare a carnevale un presunto regalo natalizio alla signora Pisanu, stavamo già lavorando a quanto verificatosi in quell’appalto. Quello gestito poi da Accenture, Telecom ed Eds, con la vicenda delle falle nel sistema apparse solo in un articolo di Repubblica”, (da “Il caso Genchi, storia di un uomo in balia dello Stato” di Edoardo Montolli, pag. 844). Può darsi che Rinaldi, premuroso nell’evidenziare l’incartamento del Fatto, per fare mente locale abbia deciso di liberarsi lui di qualche carta. Giusto per fare ordine. Forse perché spalleggerebbe la tutela dello stesso ministro da tentativi subdoli di corteggiamento? Forse, ma soprattutto non va bene se si vuole alimentare la morbosità dello scandalo della moglie di Pisanu in contatto con il feroce Saladino.
 
Parte terza. All’udienza davanti al gup di Roma ci sta anche l’avvocato di Romano Prodi, la professoressa Paola Severino di Benedetto. Secondo l’accusa Prodi sarebbe pure lui presunta vittima di Genchi che, senza la preventiva autorizzazione al Parlamento, avrebbe acquisito i tabulati di un cellulare intestato alla Delta. Il paradosso è che il suo avvocato ha ricostruito le varie fasi dell’inchiesta e ha sottolineato la correttezza dell’operato proprio di Genchi che si è, per giunta, sempre rifiutato di stilare una relazione ai fini della richiesta sollecitata dall’ex pm, Luigi de Magistris. A proposito il superconsulente spiega: “Se faccio qualcosa c'è sempre un motivo (per questo ho utilizzato le acquisizioni di Poseidone) e se non la faccio ce ne sono almeno due (per questo non ho ritenuto di redigere alcuna relazione a carico di Prodi, perché non c'era alcun elemento indiziario a suo carico, che io potevo rilevare dai tabulati)”.
 
Meno due. Meno Pisanu e Prodi. Rimangono gli altri sei.
 
Dati e trattamento. Sempre che la Bossio o il Rinaldi non se ne escano poi con il teorema che acquisire i tabulati dell’usciere di Villa Certosa sia la stessa cosa del presidente del Consiglio. Magari potrebbe ricordarsi meglio di Berlusconi tutte le Ruby che sono passate da lì.
 
Potrebbe darsi. Il fatto è un altro. Sono in molti che a Roma, per le stesse condotte di Genchi e de Magistris, vorrebbero vedere alla sbarra i Pubblici Ministeri di Milano. E per questo che si soffia sul fuoco.


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