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Arresto di Venezia: lotta al terrorismo o fanfaronate all’italiana?

Le cronache venete e nazionali riservavano ieri un posto di rilievo all'arresto di Unal Erdel, medico di 45 anni di cittadinanza turca, residente in Austria e in vacanza con la famiglia del nostro Paese. Mentre testate giornalistiche entusiasticamente evocavano addirittura un contributo italiano all'espandersi della minaccia del Daesh, il Ministro degli Interni Alfano coglieva personalmente l'occasione per riaffermare un deciso impegno nel contrasto del terrorismo, ricollegando il soggetto preso in custodia all'organizzazione marxista turca DHKP/C, recedentemente coinvolta nel sequestro terminato con la morte del giudice Mehmet Selim Kiraz.

Eppure, a uno sguardo appena più attento, emergono diversi elementi di perplessità in quella che le autorità e - con una certa confusione - i mezzi di informazione hanno presentato come un'importante operazione di contrasto internazionale del terrorismo. Intanto, accuse come l'affissione abusiva di manifesti e lancio di molotov a metà degli anni '90 - peraltro in una fase di gravi tensioni sociali in Turchia - non sembrano giustificare un così elevato allarme sociale, a maggior ragione in un Paese dalla solida tradizione garantista, in cui il presunto coinvolgimento di Gianni Alemanno in un attacco incendiario contro la rappresentanza diplomatica sovietica non ne ha ostacolato l'elezione a primo cittadino della Capitale.

In effetti, il soggetto in questione non si nascondeva in qualche covo segreto, non complottava in clandestinità, bensì viveva tranquillamente in Austria alla luce del sole e, trovandosi in Italia in villeggiatura con la famiglia, all'atto dell'arresto reagiva, come riportano le cronache giornalistiche, semplicemente con stupore alla reviviscenza delle vecchie accuse per opera delle forze di sicurezza italiane. Si dà il caso poi che il gruppo politico-militare chiamato in causa, che come si è visto una certa stampa italiana getta volontieri nello stesso calderone di ISIL e jihadismo, si distingua proprio nel contrasto anche armato del Daesh, in Turchia e Siria.

Inoltre, in una giornata in cui la censura dei social network e delle testate giornalistiche in Turchia occupa le cronache internazionali, sorge spontanea la domanda di quale livello di tutela dei diritti fondamentali possa essere garantito in caso di estradizione in un Paese su cui rapporti recenti di Amnesty international parlano di "violazioni dei diritti umani di massa". Il Ministro Alfano dovrebbe poi ben sapere dell'esistenza di un recente precedente che ricorda molto da vicino la vicenda attuale e per cui si erano anche spesi esponenti politici come Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista: in tale occasione si era proprio evidenziata l'inconsistenza dell'impianto accusatorio della magistratura turca e i pericoli in caso di consegna alle autorità anatoliche, per cui non si era proceduto all'estradizione del giornalista Bahar Kimyongür.

Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Ancora, nel giorno in cui l'Italia viene condannata dalla Corte Europea dei diritti Umani per le torture seguite all'irruzione nella scuola Diaz a Genova, il Ministro Alfano - a cui le recenti dimissioni da Ministro del collega di partito Lupi a seguito dello scandalo "Grandi opere" sembrano non aver fatto perdere il gusto per le dichiarazioni sensazionalistiche - farebbe bene a rammentare anche il caso Shalabayeva, quando le critiche per una presunta compiacenza verso un Paese autoritario avevano attirato su di lui persino le parole severe di Matteo Renzi. Infine, lo stesso farebbe bene a rammentare la stampa nostrana, talvolta più incline a fare da cassa di risonanza delle dichiarazioni degli esponenti di Governo che a una verifica obiettiva delle fonti.

Foto: Wikimedia.

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