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Appunti in preparazione delle elezioni politiche

In Italia è tempo di celebrazioni: si festeggia l'anniversario del governo Monti e nella coreografia si ritrovano i giovani, che manifestano cocciutamente il loro disagio, e l'uscita ufficiale del circolo montezemoliano, che candida Monti alla guida del governo post elezioni politiche.

Monti si compiace dei risultati raggiunti dal suo governo e rincalza le sue scelte, concertate nel direttorio europeo, esponendole e giustificandole in un'opera scritta in collaborazione con Sylvie Goulard (La democrazia in Europa), in cui argomenta la dottrina della "tecnocrazia europea". Nell'estratto, che fin qui è circolato, si può leggere l'enunciazione di una "democrazia vigilata", consigliata al fine di sfuggire al pressapochismo dei politici e alle pulsioni distruttive del populismo, facendo propria la guida illuminata dei tecnici, unici competenti nelle regole dell'economia, nei meccanismi delle grandi banche, nel " Verbo della Globalizzazione".

Questo gruppo di tecnici, perfettamente integrato nella dirigenza europea, emanazione della Commissione europea, impegnato a respingere l'attacco portato all'euro, si autoconsidera élite consapevole della matrice dell'Europa, "tutore" del suo destino.

Inutile sottolineare che l'Europa, con la guida di questi criteri, assunto il colore di tecnocrazia finanziaria, ha perso il suo afflato ideale e si sbilancia pericolosamente in direzione economico-monetaristica, perdendo l'asse d'equilibrio tra politica ed economia e mettendo a rischio la sostanza del mandato democratico.

Bisogna aggiungere che la dottrina - ormai è demodè dire l'ideologia - che ispira questa tecnocrazia è il liberismo alla von Hayek, non quello artefatto, passato sotto il nome di neoliberismo, meglio denominato reaganismo (selvaggio, senza freni, prono agli speculatori). E' sempre una dottrina pura, astratta, che immagina di governare l'economia con i canoni, prescindendo dal concreto, dal "fieri". In nome di questa dottrina si è dichiarata guerra al Welfare, una "protezione sociale" che ha rivestito la società occidentale dagli anni trenta in avanti, aiutandola ad uscire dalle due crisi, quella economica (1929) e quella bellica, facendo tutt'uno con la cittadinanza democratica.

La tecnocrazia rientra nel novero delle dottrine politiche e, come tale, ha una lunga tradizione, dentro la quale vado a compulsare il "sainsimonianesimo", esperito dagli anni trenta agli settanta dell'Ottocento in Francia.

In quei tempi maturava in Francia una società borghese, interessata alla nuova impresa, soprattutto tessile, determinata a chiedere un ruolo attivo nel governo politico (verso la monarchia borghese prima, e, dopo la crisi rivoluzionaria, approdata alla Francia imperiale di Napoleone III). Furono gli anni di una ingegneria sociale impregnata dello spirito scientifico che si andava diffondendo, testimoniato dalla Scuola Politecnica, riversata in un programma di opere pubbliche avveniristiche (anche se non scevre da doppi fini ), tra cui l'ammodernamento di Parigi, il concepimento del taglio del canale di Suez e la famosa tour Eiffel.

La filosofia sociale che trionfava, teorizzava un governo della società secondo leggi "positive", oggettivamente intonate con il progresso, in modo da concentrare con successo tutte le forze. Il decorso ci mostra chiaramente una parabola confluente nella "democrazia autoritaria" di Napoleone III. Personaggio che in Italia amiamo ricordare per l'aiuto datoci nella seconda guerra d'indipendenza, ma che, nell'insieme, della guerra sarà costretto ad alimentarsi e di essa perirà infine (guerra franco-prussiana del 1870).

Una riflessione, a questo punto, è necessaria: la "finta imparzialità" di chi, per virtù della competenza, si dichiara investito per "grazia di scienza" del ruolo di legittimo potere, elargendosi dall'alto alla investitura popolare (democrazia autoritaria), non può non inclinare fatalmente in un paranoico senso d'onnipotenza. Nel caso specifico, non sono di certo legittime le associazioni Napoleone III-Mussolini-Monti; è ben chiara ed incontrovertibile la tempra liberale del nostro presidente del consiglio, come lo è la natura aristocratica del suo liberalismo, che egli stesso conferma richiamandosi a Tocqueville.

Si può, per altro, dire che l'uscita da un certo tipo di crisi, prolungata e di sistema, (1929 e 2008), sperimentata negli anni trenta con i regimi del nazifascismo, oggi viene tentata costringendo la democrazia a "mettere la museruola", a sottostare ad una serie di vincoli, che ne compromettono la sostanza. Un fuoco concentrico si è, alla fine, scatenato contro questo progetto di tutela dall'alto della democrazia, dopo che, in questi ultimi anni, economisti di diversa formazione Fitoussi, Krugman, Roubini, Stiglitz) hanno suggerito di abbandonare la pericolosa ricetta dell'austerità.

Barbara Spinelli rispolvera il fattore "P" come Politica; lettera maiuscola per il carattere virtuoso ineccepibile della politica, sulle tracce di una tradizione che risale agli antichi Greci. Di contro riutilizza l'espressione marxiana di "comitato d'affari": "Marx diceva che i governi moderni sono semplici comitati d'affari delle forze di mercato. Oggi il caso pare aggravarsi. Per lungo tempo, l'eurocrazia fu un servizio tecnico degli Stati. Ora anche i governi nazionali sono servizi tecnici. Comitati d'affari nazionali di un Comitato d'affari europeo in un circolo vizioso, che solo il ritorno alla politica, dunque alla speranza, può spezzare" (La Repubblica,17/11/12).

Nella nostra Costituzione, l'articolo 1 ci ricorda la base su cui si erige la nostra repubblica: il lavoro. Così facendo, indica un'interazione necessaria, ineludibile, del diritto al lavoro e dei diritti che ne discendono con la cittadinanza democratica. Ciò implica il riconoscimento di una somma dignità al lavoro, inconciliabile con i "maneggi" interessati, che in questi ultimi anni hanno portato ad una precarizzazione del lavoro, indisgiungibile dalla considerazione di esso come merce intercambiabile. Neppure nella recente riforma Fornero troviamo smentita di questa deleteria inclinazione.

In questo caso è opportuno richiamare il duro editoriale di Ezio Mauro, in cui, di recente, ha bocciato questa predisposizione alla "beneficienza" che declassa il diritto al lavoro (e connessi) a "diritti nani". La conclusione che trae non lascia margini e richiede con urgenza la legittimazione democratica, oggi mancante, a politiche d'austerità, che potremmo chiamare di "presunta salute pubblica". "Per il momento, questo deficit di legittimazione produce un deficit di politica, e tutto diventa meccanico: anche il rigore, non temperato dall'equità, dalla valutazione del consenso, dal principio di giustizia sociale, è un paradigma obbligato e non obbligatorio, non una politica" (E. Mauro).

Lascio per ultimo un commento sull' "infelice sorte" della democrazia in Italia. Sorta con grandi stenti e sottoposta al freno di un suffragio censitario, passata sotto il rullo compressore ed il "megafono dittatoriale" del regime fascista, con la ricostruzione postbellica si è trovata succube della "conventio ad excludendum" che, di certo, ne inficiava la qualità. Quest'ultima, a detta di molti storici, la predisponeva all'insidia della partitocrazia, che dagli anni ottanta doveva prendere il sopravvento. Mani pulite, che doveva liberarla dal "cancro" ha partorito un azzeramento, che ha agevolato la nascita del "novismo illusionista" berlusconiano, precipitato con l'aggravamento della crisi.

 La domanda finale: ci sarà libertà da nuovi vincoli, da altre forzature, da nuovi demiurghi, per la democrazia italiana?

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