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Appello Dell’Utri /Quinta puntata

Seconda parte della vicenda delle calunnie contro i pentiti commissionate da Marcello Dell’Utri.

Leggi la precedente puntata con la prima parte della storia.

Il 1998 è agli sgoccioli. I fratelli Francesco e Carmelo Sparta Leonardi si stanno preparando a trascorrere l’ennesimo Natale in carcere. Il 23 Dicembre, verso l’ora di pranzo, ricevono un telegramma. Ad inviarlo è Rade Cukic, detenuto nel carcere di Paliano.


FATE NOMINA AD AVVOCATO INVIATEGLI TELEGRAMMA COMUNICANDOGLI CHE GLI AVETE FATTO NOMINA SALUTI ATTENDO VOSTRE NOTIZIE. RADE è PINO.
 
Rade è Pino. Cioè Pino Chiofalo. È lui il vero mittente del messaggio. Pino Chiofalo, per gli amici u’ seccu, è un veterano e spietato sanguinario di Cosa Nostra. Un cane sciolto, fuori controllo. Ai magistrati racconterà di essere stato venduto alla polizia dal suo avversario, Nitto Santapaola, dopo aver ammazzato un fiume di persone in pochi mesi durante una guerra di mafia. Per lui il Natale del ’98 sarà difficile da dimenticare per due ragioni: intanto perché sua moglie sta per partorire, poi perché sta per incontrarsi con un Senatore della Repubblica. E mica uno qualsiasi: proprio il fondare di Forza Italia. Il solito Dell’Utri che, anche questa volta, non mancherà di stupirci.
 
Naturalmente anche Pino Chiofalo è detenuto a Paliano, insieme a Rade Cukic. L’avvocato del telegramma è l’avvocato Naso. È arrivato il momento che i fratelli Sparta Leonardi lo nominino loro difensore. Prima che Francesco e Carmelo venissero trasferiti ad Ivrea, infatti, Pino Chiofalo aveva tentato di comprarli per farli testimoniare contro gli altri pentiti che accusavano Dell’Utri, in cambio di soldi, <<appoggi>> e facilitazioni. Mancava solo il segnale per l’avvocato. Il guaio è che il 18 dicembre i fratelli Sparta Leonardi avevano denunciato di essere stati minacciati di morte da Cosimo Cirfeta e avevano anche preannunciato il telegramma, che appena arriva, finisce subito nelle mani dei magistrati. Rimane solo da verificare se Chiofalo ha davvero quei contatti importanti di cui spesso si vanta. Detto, fatto. I magistrati incaricano la Dia di osservare e pedinare costantemente Pino Chiofalo che proprio quel giorno esce dal carcere in vista del parto della moglie. Gli mettono anche il cellulare sotto controllo. Così, la sera stessa, scoprono chi è il contatto importante di Chiofalo. Naturalmente è Dell’Utri che, neanche a dirlo, riceve una telefonata da Chiofalo che, non appena mette piede in casa, fa subito il numero del senatore. Le telefonate che si succedono in questi giorni sono enigmatiche, misteriose. Sembra che i due parlino quasi in codice. Chiofalo chiama Dell’Utri prima solo dottore, poi addirittura con un nome in codice, il signor Delfino.
 
<<L’ho incontrato oggi, abbiamo parlato a lungo di tutto>>, <<stiamo facendo qualcosa>>, <<Non è più in quel posto?>>, <<ho bisogno che ci sia qualche intervento>>, <<ho messo in moto un certo discorso>>, <<mi ha raccontato in linea di massima>>, <<ritengo che ci sono cose positive>>, <<ho bisogno di parlare con lei per un insieme di cose>>, <<abbiamo qualcosa da dirci questa volta>>.
 
Questo è il linguaggio in codice che i due hanno usato in questa telefonata. Senza specificare altro, salvo che Chiofalo ha inviato un telegramma a Dell’Utri per parlargli di un avvocato e che i due si dovranno incontrare: <<buon anno ce lo facciamo di persona>>. Infatti si risentono il 30 dicembre. Si mettono d’accordo per vedersi, stabiliscono l’ora ed il luogo dell’incontro. Alla fine, l’accordo è di risentirsi per mettersi d’accordo direttamente l’indomani perché <<qui siamo in un posto più diverso da là perché qui è un po’ più ritirato>>. <<Eh, benissimo>>, risponde Dell’Utri che capisce al volo.
 
Il 31 si risentono. Dell’Utri sta partendo con un po’ di ritardo e Chiofalo gli propone di pranzare a casa sua. <<Ah, io… sono a sua disposizione>> gli risponde Dell’Utri, sempre pronto a mettersi a disposizione dei mafiosi. <<Lei decida quello che vuole, per me va bene>>. Parlano un po’ dei loro figli, poi Dell’Utri si mette in viaggio.
I due si incontrano alle 13.55, sotto l’occhio vigile della DIA. Dopo nemmeno cinque minuti ciascuno torna alla sua auto. Dell’Utri chiama Chiofalo. Si è accorto del pedinamento.
 
DELL’UTRI
Ecco, non so se hai visto che siamo seguiti… da una Rover… che ci ha fatto delle foto […]
CHIOFALO
Hanno fatto una foto insieme?
DELL’UTRI
Sì, sì, quei due là. […]
CHIOFALO
Adesso scompariamo comunque […] Faccia… lei ci spiego io. Scompariamo del tutto, venga, venga, venga.

I due arrivano davanti alla casa di Chiofalo e vanno a parlare nel box. Salgono da Chiofalo, ma solo per dieci minuti: Dell’Utri rimarrà digiuno. Alle 14.55 sale in macchina e torna a casa.
 
Una nuova telefonata viene intercettata alle 15.18. Da questa telefonata i due cambiano registro. Ormai i magistrati hanno scoperto tutto e possono parlare chiaro. Anzi, devono. Per mettere in piedi una versione di comodo. Si chiamano per nome, parlano di avvocati, del Servizio Centrale di Protezione, di bisogno di trasparenza. C’è anche una frase, irresistibile, di Chiofalo, che spiega tutto da sé: <<Quindi lei sia gentile. La prossima colta che viene, se pensa di venire […] informi anche il Servizio perché io queste cose non so se posso farle o no>>. L’unica cosa che non cambia è che Dell’Utri dà sempre ragione a Chiofalo, che <<ha bisogno di rispettare le regole>> perché, per la sua <<posizione>> non può <<non essere trasparente agli occhi di chi guarda>>. Peccato che se ne sia reso conto solo dopo aver scoperto di essere guardato. Se l’incontro fra i due fosse stato un errore lo sarebbe stato da prima. Ormai può dire quello che vuole, non vale più. Non potremo mai sapere con certezza cosa i due si siano detti in quel garage. Per ora accontentiamoci della versione che Chiofalo testimonierà al processo.
 
Nel garage, dove ci ho le macchine […] mi disse queste testuali parole, dice: <<Ti sei reso conto della situazione che è successa, io ho pochissimo tempo e devo subito rientrare, io sono venuto per dirle questo, lei è dentro fino al collo in questa situazione, confermi le dichiarazioni [contro i pentiti, nda] e io la farò ricco>>. Poi ha detto che avrei avuto la riconoscenza sua, io gli spiegai che questo non potevo dirlo, così come gli avevo spiegato altre volte, lui mi disse di non rispondergli, che avrebbe mandato l’avvocato Naso, la risposta di dargliela all’avvocato Naso quando sarei tornato in carcere.



da l’Unità del 9 gennaio 2008
Il processo nascosto
Da mesi a Palermo è in corso un processo esplosivo di cui nessuno parla. Uno degli imputati è il generale Mori, ex capo del Ros, oggi responsabile della sicurezza a Roma, accusato di aver favorito la fuga di Provenzano. Ma sullo sfondo c’è la morte del pentito che parlò di Dell’Utri e Cosa Nostra.

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