Appello Dell’Utri - 18a puntata
Dell'Utri e le stragi di mafia. Fra sentenze e indagini, l'annuncio sospetto di una commissione parlamentare.
<<Non si può star qui a sentir parlare dell’accordo fra Stato e mafia come se fosse l’accordo con Confindustria con i sindacati. Indaghiamo sul serio e non tralasciamo alcunché>>. Detta così, sembrerebbe un appello condivisibile di qualche illuso cultore della giustizia e della verità. Eppure queste parole, testuali, sono uscite di bocca a Marcello Dell’Utri, uno dei politici più chiacchierati - e incriminati - per presunte collusioni mafiose. <<Questi sospetti aleggiano soltanto nella mente di alcuni seminatori di odio>>, precisa. Oggi, da autentico antimafioso convinto che i problemi <<più grandi>> e <<più gravi del sud>> siano <<il lavoro, l’occupazione e le infrastrutture>>, annuncia di volere proporre al parlamento una commissione di inchiesta sulle stragi del ’92-’93. Mentre Salvatore Borsellino trattiene a stento un conato di vomito, lui riesce a rimanere serio. <<È assurdo che non ci sia stato ancora un verdetto di verità acclarata, accettata da tutti … Che si approfondisca, che si indaghi ancora su quel periodo e su quanto è successo>>. Quel che Dell’Utri, impudente, finge di non ricordare è che di quelle stragi dovrebbe saperne molto più di noi. Potrebbe risolvere la curiosità con un giro di telefonate, se volesse. O forse non ne avrebbe nemmeno bisogno.
Dell’Utri è stato indagato due volte per concorso in strage con l’accusa di essere stato, insieme a Berlusconi, uno dei mandanti occulti delle stragi nella stagione del “biennio horribilis” ’92-‘93. Il primo procedimento a carico dei due è stato aperto dalla procura di Firenze, competente sulle stragi mafiose del ’93 a Milano, Firenze e Roma. L’indagine si è conclusa nel novembre del 1998 con un decreto di archiviazione. Nell’ordinanza si legge che <<le indagini svolte hanno consentito l’acquisizione di risultati significativi solo in ordine all’avere Cosa Nostra agito a seguito di input esterni>> e <<all’avere i soggetti di cui si tratta [Berlusconi e Dell’Utri, nda] intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il progetto stragista realizzato, all’essere tali rapporti compatibili con il fine perseguito dal progetto>>. Tuttavia, nonostante <<l’ipotesi iniziale abbia mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità>> gli inquirenti non hanno trovato le prove necessarie a <<formulare in termini attendibili la proposizione secondo cui il soggetto politico in via di formazione [Forza Italia, nda] avrebbe preventivamente divisato l’utilizzazione dei risultati del progetto stragista>>.
Mentre il G.I.P di Firenze arrivava a queste conclusioni agghiaccianti, a Caltanissetta i magistrati stavano indagando sui mandanti occulti delle stragi di Capaci e Via D’Amelio. Incrociando le dichiarazioni di pentiti del calibro di Brusca, Cancemi, Siino, Cucuzza e Cannella con quelle di Ezio Cartotto e Francesco Cossiga, i magistrati arrivano a ritenere dimostrata <<la sussistenza di varie possibilità di contatto fra uomini appartenenti a Cosa nostra ed esponenti di gruppi societari controllati in vario modo dagli odierni indagati. Ciò di per se legittima l’ipotesi che, in considerazione del prestigio di Berlusconi e Dell’Utri, essi possano essere stati individuati dagli uomini dell’organizzazione come eventuali interlocutori>>. Anche quest’indagine è stata archiviata.
Gli atti di queste due inchieste sono poi confluiti nel processo, tutt’oggi in corso d’appello a Palermo, a carico di Marcello Dell’Utri, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. Nonostante il processo non riguardi le stragi, nella sentenza di condanna di primo grado i giudici non hanno risparmiato rimproveri spietati alla condotta del Senatore. <<Per quanto attiene a Marcello Dell’Utri, la pena deve essere ancora più severa e deve essere determinata in anni nove di reclusione, dovendosi negativamente apprezzare la circostanza che l’imputato ha voluto mantenere vivo per circa trent’anni il suo rapporto con l’organizzazione mafiosa, sopravvissuto anche alle stragi del 1992 e 1993, quando i tradizionali referenti, non più affidabili, venivano raggiunti dalla “vendetta” di Cosa nostra>>.
Tutte illazioni da verificare con sentenza definitiva? Non proprio. Uno dei documenti più significativi riguardo al ruolo di Dell’Utri e Berlusconi nella strage di Via D’Amelio è la sentenza d’Appello del processo Borsellino Bis, confermata nel merito dalla Cassazione. Nella sentenza si legge che <<dopo la strage di Capaci, Cosa nostra era in condizione di sapere che Paolo Borsellino aveva rilasciato una clamorosa intervista televisiva a dei giornalisti stranieri>>. È la ormai famosa “ultima intervista” a Borsellino, in cui il giudice parla degli interessi della mafia verso l’imprenditoria del nord, dei riferimenti di Dell’Utri ai cavalli <<che vogliono dire droga>>, dei rapporti fra Berlusconi, Dell’Utri e Mangano. <<Rapporti - si legge nella sentenza - che avrebbero potuto nuocere fortemente sul piano dell’immagine, sul piano giudiziario e sul piano politico a quelle forze imprenditoriali sulle quali i capi di Cosa Nostra puntavano per ottenere quelle riforme che conducessero ad un alleggerimento della pressione dello Stato sulla mafia>>. <<Con quell’intervista Borsellino mostrava di conoscere determinate vicende; mostrava soprattutto di non avere alcuna ritrosia a parlare dei rapporti tra mafia e grande imprenditoria del nord, a considerare normale che le indagini dovessero volgere in quella direzione; non manifestava alcuna sudditanza psicologica, ma anzi una chiara propensione ad agire con gli strumenti dell’investigazione penale senza rispetto per alcun santuario e senza timore del livello al quale potessero attingere le sue indagini>>. Totò Riina temeva che Borsellino avrebbe potuto <<rovesciare i suoi progetti di lungo periodo, ai quali stava lavorando dal momento in cui aveva chiesto a Mangano di mettersi da parte perché intendeva gestire personalmente i rapporti con il gruppo milanese>>. <<È questo il primo argomento che spiega la fretta, l’urgenza e l’apparente intempestività della strage. Agire prima che in base agli enunciati e ai propositi impliciti di quell’intervista potesse prodursi un qualche irreversibile intervento di tipo giudiziario>> nei confronti di Berlusconi e Dell’Utri.
Oggi che a Caltanissetta si stanno scuotendo non poco le acque ed è stata riaperta l’inchiesta sulla trattativa, Dell’Utri vuole <<fare di tutto per scoprire cosa è successo nel ‘92>>. E vuole una commissione d’inchiesta sulle stragi. <<La proporrò personalmente, se non lo farà prima il mio partito>>. Anche perché se non lo farà lui, arriveranno prima i giudici.
Commenti all'articolo
Lasciare un commento
Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina
Se non sei registrato puoi farlo qui
Sostieni la Fondazione AgoraVox