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Antagonismo e tifo sportivo: dove sta il conflitto sociale

La scrittura come atto politico è un processo dinamico che mescola forme di inclusione e forme di selezione. La parte inclusiva è la cernita, è la ricerca, è il ricorso alle fonti e all’esperienza.

 La parte selettiva è la cornice di senso, il modo in cui è rivolto lo sguardo, l’analisi del tempo. Giuseppe Ranieri e Matthias Moretti, con il recente “Curve pericolose. Antagonisti, sovversivi, antifa: quando le gradinate minacciano il potere”, per i tipi de il Galeone (Roma, 2021), realizzano esattamente questa articolata combinazione. 

La realizzano sin dal loro percorso biografico: sono due ricercatori anomali, anime libere e spiriti inquieti nella selva del precariato cognitivo all’italiana. Redattori e docenti, giornalisti e attivisti, tifosi di calcio e ultras militanti: un patchwork che sicuramente ha segnato una generazione e che, nonostante le sue contraddizioni e sconfitte, è un peccato non sia passato attraverso una nuova leva che con la stessa consistenza numerica abbia saputo ripercorrere quei sentieri di antagonismo, resistenza e anche quotidiana esistenza. 

Il volume, la cui tesi di fondo è la politicità radicale del conflitto che ancora non trova canale di rappresentanza politica, tratta in ottica globale delle esperienze di tifo organizzato che hanno combattuto regimi, politiche scellerate, sperequazioni economiche, forme di razzismo, legalismo e autoritarismo. 

È uno studio più tecnico del previsto, attrezzato di letture sociologiche, antropologiche e giornalistiche sovente ignote ai cultori istituzionali delle stesse discipline. Il lavoro è poi impreziosito da una nota di Nicolò Rondinelli, esperto della realtà tedesca e in particolar modo dei laboratori autonomi della Amburgo portuale, e da una postfazione dello scrittore, poeta e musicista Domenico Mungo, che racconta in modo molto ritmico l’esperienze di antagonismo e tifo sportivo dal G8 di Genova del 2001 alle tremende conseguenze dei vent’anni dopo sull’ordine planetario del controllo e dello scambio. 

I nostri due ricercatori realizzano un volume prontuario che non sfigurerebbe nella biblioteca di Limes o di Jacobin, anzi forse superandole in sistematicità, raccolta e prospettiva. Il viaggio parte dal Mediterraneo arabo in rivolta. Ci racconta del tifo tunisino e con sorpresa per gli stessi cultori del mondo ultras il modello francese (così forte nel costituzionalismo tunisino) qui è meno marcato, anche perché ibridato dai fronti di lotta di una gioventù secolare di nuovo conio.

Situazione ben più drammatica in Egitto, come raccontano gli Autori, con gli ultras in prima linea negli scontri di piazza avverso il regime militare: forgiati da anni di conflitto e sobborgo, quei gruppi hanno dovuto faticosamente negoziare la propria resa alla torsione militare oggi in atto. E fa buon collegamento questo capitolo al successivo sul caso turco, laddove in tutta evidenza, come se fosse un libro della Klein o di Hardt, scopriamo come il dissenso debba sempre mimetizzare la propria sopravvivenza per resistere ai fondamentalismi, ai poteri di polizia, alla sproporzione quantitativa tra l’atto di trasformazione radicale e le strategie che lo inglobano, sorvegliano, minacciano. 

Molto belli anche gli squarci su Israele e Stati Uniti: nel primo caso, ci vengono raccontate le peripezie del tifo nelle grandi città costiere, che combattono una battaglia impari con nemici di scala (il fondamentalismo dell’ortodossia rabbinica e i servizi di sicurezza del governo centrale), non temendo di sostenere la causa palestinese così impopolare fuori dal mondo antagonista e laburista israeliano; nel secondo caso, ci si parla di un fenomeno ultras locale stroncato sul nascere, anche perché connotato in senso fortemente anticapitalistico e redistributivo (due vizi imperdonabili per l’ordine egemonico statunitense). 
Non poteva mancare la Grecia, laboratorio antagonista solo perché già laboratorio dei due grandi mali dell’Europa politica degli ultimi decenni: una lunga fase di indebitamento pubblico che ha prodotto un benessere illusorio nei piccolo consumatori e una apparentemente oggi perenne transizione a un regime fondamentalmente oligarchico, che abbatte critica, espressione di libertà civile e prestazioni sociali. 

Lo confessiamo apertamente: non è tanto la spontanea simpatia per gli Original 21 di Atene o per i militanti comunisti ciprioti a renderci questo libro importante. Lo è la compattezza espositiva delle sue ragioni, lo è lo squarcio che apre alle soglie del possibile: un divenire che ancor prima di cristallizzarsi in una norma propone a se stesso il protagonismo del proprio destino. 

 

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