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Anno 2008-primavera 2010: ma è proprio primavera?

A parte il facile confronto con una stagione che si è presentata come climaticamente difficile i 20 mesi vissuti pericolosamente dall’economia italiana hanno riportato la produzione del settore manifatturiero indietro di 100 trimestri (più della media UE) ovvero a livello del 1984! 

La gravità della situazione italiana è un semplice raffronto con Francia e Germania che hanno perso rispettivamente solo 12 e 13 trimestri.

Per quanto riguarda l’indicatore reale del ricorso alla cassa integrazione, dai dati comunicati dall’INPS emerge che la gestione di cassa per il 2009 chiude sostanzialmente sugli stessi valori del 2008 (una riduzione di -0,7%), ma da gennaio a novembre l’effettivo utilizzo è del 61% del richiesto contro circa il 70% dello stesso periodo dell’anno precedente.

Anno 2008-primavera 2010: ma è proprio primavera?

 
A dicembre i disoccupati erano 2.130.000 con un tasso dell’8,5% ma il dato perché il peggioramento (nell’ottobre 2008 la disoccupazione era al 7%) va proprio a danno dei giovani che hanno un tasso superiore di tre volte a quello complessivo! Sono proprio i giovani a pagare il prezzo più alto: uno su quattro è senza prospettive per il domani e non è in grado di emanciparsi dai genitori. I numeri dicono che a pagare la recessione sono stati: i contratti a termine (-229 mila solo nel 2009) con una contrazione del 9,4%, le collaborazioni a progetto 12,1% e quelle occasionali -9,9%, viceversa il popolo delle partite IVA ha ingrossato le proprie fila con un + 132mila pari ad un + 16,8%.
 
La chiave di lettura di questo ultimo dato è che, per contenere i costi del lavoro, si è verificata la sostituzione dei contratti flessibili con formule ancora più a basso costo.
 
Per il Direttore del CENSIS Giuseppe De Rita “i giovani di oggi, che sono più formati, più tecnologizzati, molto più aperti ad esperienze internazionali e che dovrebbero costituire il punto di forza per la ripresa” sono stati viceversa sottooccupati in una situazione strisciante di precariato che non dà prospettive. Appena avvertita la crisi , sono stati i primi ad essere espulsi dal mercato del lavoro e la stagnazione del nostro paese – sempre secondo il CENSIS – è anche in questa mancanza di prospettive per le sue generazioni più giovani. Nel 2008 l’Italia si è confermata al 13mo posto nella classifica Eurostat sul PIL procapite come potere d’acquisto e mantiene di fatto le posizioni 2006 e 2007 nonostante la crisi. Tuttavia le altre economie europee, Germania, Francia, Inghilterra e Olanda, sono sempre davanti al nostro paese esclusa la Spagna che non ci precede più. 
 
In apnea
 
Il rapporto CENSIS usa questo termine che si addice molto bene alla nostra realtà. Secondo il CsC (Centro studi Confindustria) vi è stata una secca flessione del PIL che nel 2009 è sceso a – 4,7% mentre nel 2010 è atteso un aumento di +1,1% e nel 2011 un +1,3%, un recupero troppo modesto rispetto ai nostri competitor: Saranno necessari ben 8 anni perchè le imprese ritrovino i livelli perduti della produzione e 4 anni perché il paese torni ad incrementare il volume del PIL ai livelli antecedenti la crisi.
 
Sempre secondo CsC la Germania impiegherà 2 anni e mezzo, mentre la Francia già nella seconda metà del 2011 avrà compensato le perdite subite. A bruciare le tappe saranno invece gli USA che nel giro di un solo anno torneranno con il PIL a livelli pre-crisi. “La ripresa c’è, ma c’è anche la crisi” sono le parole del Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia a conclusione del seminario di dicembre del CsC per l’apertura dei lavori dello Studio “Italia 2015”.
 
Le imprese sono in affanno e sempre meno ricche, ma anche le famiglie sono più povere, in quanto il loro potere d’acquisto nel periodo ottobre 2008 settembre 2009 è diminuito dall’1,6%, come risulta dal 43° Rapporto ISTAT.
 
Il terziario nella morsa della crisi. Il grande e variegato arcipelago del terziario non è più quella massa gelatinosa capace di assorbire i contraccolpi più violenti del rovescio economico anzi il vasto invaso dei servizi, intermediazioni, commercio sta diventando il terreno più soggetto alla morsa della recessione che colpisce lavoratori, mestieri e professioni senza alcun sistema di tutela affondando imprese e attività varie, talvolta improvvisate, a bassa produttività ed efficacia.

Di fronte alla vastità della crisi non ci si può rifugiare nell’espediente di inventare servizi industriali a bassa produttività ed efficacia che il CENSIS definisce “qualcosisti” per rimarcarne l’inadeguatezza e la precarietà.

Occorrerebbe intervenire per migliorarne la produttività, la qualità professionale e, soprattutto, le forme di impresa. Il paese si ritrova sempre più diviso, parcellizzato e cresce la possibilità che quando si uscirà dalla crisi ci si troverà con un sistema paese più debole, senza un progetto che sappia coniugare rigore e riforme, innovazione e sviluppo e la necessaria coesione sociale che possa supportare il tutto.
 
Non è accettabile ad esempio, che, a differenza degli altri paesi UE, la rendita finanziaria con prevalente finalità speculative continui ad essere tassata meno degli investimenti produttivi e dei redditi da lavoro (e da pensioni) con gravi distorsioni in termini di equità per l’economia: troppe tasse pagate da chi non può sottrarsi (lavoratori dipendenti) e poche da tutti gli altri.
 
Una persona che dichiari redditi di lavoro per 150.000 Euro è tassato con un’aliquota media dl 38,45% mentre chi consegue 150.000 Euro per una rendita finanziaria è tassato al 12,5%.
 
Dai dati IRPEF dell’anno 2008 emerge che, rispetto agli oltre 783miliardi di gettito dato da 41milioni di contribuenti, poco meno della metà, 48,3% percepisce un reddito sino a 15.000 Euro l’anno, mentre il 36,4% è posizionato nella fascia 15 29.000 Euro.

Infine meno dell’1% percepisce un reddito superiore ai 100.000 Euro e solo due contribuenti su 1000 raggiungono un reddito di 200.000 Euro l’anno. Lo scandalo dell’evasione fiscale è ormai riconosciuto da tutti: secondo l’Agenzia delle Entrate risulta una base imponibile non dichiarata tra i 210 – 250 miliardi equivalenti a circa 100 miliardi di minori entrate e a tante finanziarie.
 
Produttività avanti adagio
 
L’Italia è in coda all’OCSE: dal 1992 ad oggi ha registrato la più bassa crescita della produttività (tra il 2004 e il 2008 crescita pari allo 0,2% annuo).
 
Due considerazioni sui valori di produttività:
 
a) negli ultimi 12 anni in Italia è però aumentato il tasso di occupazione: infatti la quota di occupati sul resto della popolazione è passata da 52% del 1997 a 58% del 2009;

b) quando le imprese si ristrutturano, oltre agli investimenti in tecnologia si fanno anche quelli in beni capitali intangibili: ricerca e sviluppo, investimenti nel marchio, riorganizzazione del management che sono considerati consumi intermedi e non appaiono quindi nel prodotto.
 
Le prossime riforme della contabilità nazionale dovrebbero portare queste spese fra i beni finali per cui avremo una produttività che oggi non appare nelle statistiche.
 
Sulla deludente classifica pesano gli antichi nodi ribaditi anche dal Governatore della Banca d’Italia.

Vi è ampio consenso sulla necessità, richiamata da Mario Draghi di “attuare quelle riforme che, da lungo tempo attese, consentano al nostro sistema produttivo di essere parte attiva della ripresa economica” attraverso la riduzione strutturale della spesa pubblica corrente, l’adeguatezza delle infrastrutture, la liberalizzazione dei servizi (anche quelli pubblici locali) e la riforma del welfare costoso e poco selettivo.
 
Secondo molti esperti, tra gli ostacoli alla crescita vi sono: la burocrazia (per le imprese è inderogabile la semplificazione amministrativa); la mancata semplificazione normativa per ridurre il numero di leggi e regolamenti; la scarsa produttività del sistema giudiziario civilista; l’elevata pressione fiscale sulle imprese (con una tassazione di circa 20 punti superiore a quella del Giappone) con un differenziale di 27 punti percentuali rispetto alla UE per non parlare del 30% rispetto agli USA.
 
Vorrei sottolineare che abbiamo smarrito il codice del buon senso: nel nostro sistema giudiziario si attendono anni per un diritto negato, un risarcimento, per la perdita del posto di lavoro.

Labirinti giudiziari che si concludono dopo quindici/vent’anni, a volte con assoluzioni, ma per l’interessato una vita personale distrutta. Il turismo è una delle poche armi in mano all’Italia per reagire alla crisi: abbiamo storia, arte e natura che si intrecciano con un clima favorevole ed una buona cucina ma non tutti sembrano essersene accorti.
 
Lo confermano: l’indice di balneabilità delle nostre spiagge con il primato della Campania dove un chilometro su sei è inquinato; i servizi offerti, molto costosi rispetto al loro livello, con il contorno dei conti truffa presentati ai turisti stranieri.
 
Se il diluvio è passato dov’è l’arcobaleno?
 
Dall’inizio del 2008 nell’export di beni è cambiata la tipologia delle aziende interessate: non più il gigantismo ma i micro-settori. Ma questo export molecolare, "nicchie” che rappresentano il 47% del valore del mercato, conferma che il nostro paese, in termini assoluti, subito dopo la Germania, è primo esportatore mondiale di 288 prodotti, secondo per altri 382 e terzo per 352 con un valore esportato di (100+ 79+ 56) miliardi con 1022 “nicchie” di eccellenza.

A parecchi economisti questa Italia delle "nicchie" non piace, ma imprese come Montedison e Olivetti le abbiamo perse per strada: l’importante sarebbe il consolidamento dimensionale e patrimoniale di queste aziende per continuare ad eccellere. La forza del Made in Italy sta proprio in queste "nicchie" che denotano l’elevata diversificazione delle specializzazioni (alimentari, abbigliamento-moda, arredo casa, automazione meccanica, gomma -plastica e anche metallurgia, carta e chimica farmaceutica).
 
Migliaia di imprese medio-piccole sono protagoniste di questo successo perchè hanno la capacità di essere flessibili, di fare prodotti "quasi sartoriali" ovvero su "misura" per il cliente, di coniugare attività e innovazione, design e qualità, di avere la forza delle idee. Idee originali da legare anche alla qualità del vivere, allo stile di vita, al modo di vestirsi: non fare solo salotti, ma offrire anche stili di vita che gli utilizzatori siano disposti a riconoscere come valore aggiunto e, soprattutto, ad acquistare.
 
La ripresa si accende di verde
 
Le fonti di energia pulita e alternative (idroelettriche, eoliche, fotovoltaiche, biomasse, ecc.) rispetto alle tradizionali, rappresentano delle opportunità di ricerca, innovazione, sviluppo e si calcolano in 40-50 mila i nuovi posti di lavoro nel prossimo triennio, oltre, ovviamente, al miglioramento ambientale. Gse (Gestore servizi elettrici) a consuntivo 2008 informa che tutta l’energia da fonti rinnovabili è stata pari a 23859 MW con un aumento di + 21% rispetto all’anno precedente (gran parte del merito va all’energia idroelettrica).
 
Per quanto riguarda l’eolico, la crescita nel 2008 è stata deludente e, con 3500 MW di capacità installata cumulata a tutto il 2008, siamo ancora sul podio europeo per un soffio davanti alla Francia (3404 MW) e all’Inghilterra (3241 MW), ma lontanissimi dalla Spagna (16740 MW) e dalla Germania (23903 MW). Il rallentamento della crescita è da ricercarsi nei tempi troppo lunghi per ottenere le autorizzazioni, ma, soprattutto, sembra che alcune regioni non vogliano i parchi eolici: la sindrome nimby (not in my backyard), perchè a fronte degli 861,7 MW della Puglia si ha un valore zero per Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Piemonte e Valle d’Aosta.
 
Gse ha calcolato che, per quanto riguarda il fotovoltaico, a fine 2008 sono stati installati 431 megawatt prodotti da 31.875 impianti in funzione mentre per il 2009 si stimano 900 megawatt con 70.000 impianti e le previsioni per il 2010 indicano in 1500 megawatt l’energia che si produrrà con 100.000 impianti. A solo titolo di raffronto la capacità installata nel 2008 in Germania è di 5340 Megawatt, in Spagna di 3354, in Giappone di 2144,2.

In Piemonte, nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo saranno realizzati impianti per una potenza installata massima di 31 megawatt. Grid parity significa che le energie pulite potranno competere con le fonti tradizionali sul piano dei costi e della qualità senza le sovvenzioni pubbliche: nel 2011 l’Italia sarà il primo paese a raggiungere la Grid Parity dopo di che le energie pulite costeranno meno anche se diminuiranno gli eco-incentivi.

L’obiettivo per il 2020 è di produrre il 14% ovvero 3 volte quello di oggi di energia pulita complessiva con i biocarburanti che saranno 10 volte tanto quelli odierni. La Germania è oggi quello che il nostro paese sarà (o dovrebbe essere) nel 2020.
 
Conclusioni
 
Occorrono pertanto misure concrete per: creare infrastrutture che siano degne di un paese moderno, avere una istruzione incentrata sul merito per tutti (docenti e studenti), una burocrazia che non sia di ostacolo al cambiamento, ma al servizio della collettività, dei mercati senza posizioni di rendita e ammortizzatori sociali che incentivino anche la ricerca di un lavoro. Prima di concludere, vorrei ricordare che, a distanza di un anno, il sogno dell’ Arcivescovo di Milano Tettamanzi di creare un fondo per le famiglie che perdono il lavoro è diventato una realtà con la creazione di un Fondo che ha raccolto nel 2009, complessivamente la somma di 6.588.503,89 Euro di cui oltre 5.000.000 distribuiti a 2.333 famiglie.
 
L’altra cosa che ci piace sottolineare è una proposta di legge fatta congiuntamente da G. Cassola (PDL) e P. Ichino (PD) per cercare di aumentare il tasso di occupazione per la fascia di età fra i 60 e 70 anni: un patrimonio di conoscenza, di sapere e di esperienze che va in gran parte sprecato. Si tratterebbe di un provvedimento di grande e positivo impatto sociale doveroso per tutti coloro che, con il loro lavoro, hanno permesso la crescita del nostro paese.
 
A conclusione del seminario del CsC di dicembre “Italia 2015” sui temi dell’innovazione, della ricerca, del capitale umano, dell’efficacia dello Stato, il Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia lancia la sfida: “bisogna riprogettare il futuro”, ma per far questo occorre che imprenditori, collaboratori, professionisti facciano bene la loro parte e, per quanto riguarda la dirigenza, è una sfida che ci piace e che raccoglieremo sicuramente, affinchè il paese torni a crescere.
 

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