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Anita B., di Roberto Faenza

Ho visto il film perché Faenza, perché la shoah ... Delusione.

E' una semplice storia d'amore, mancato da parte di Anita per Eli e viceversa, futuro per Anita con Davide, che dopo la guerra torna in Israele perché vuole costruire case e scuole. Sono ebrei e non amati o mal accolti ovunque, vanno verso la loro terra promessa. Con quel solo "bagaglio", il futuro, Anita si dirige a Gerusalemme, in fuga dal bello e maledetto Eli, che non le vuole far tenere il bambino concepito assieme. Ad Anita viene detto a inizio film, dalla zia che la accoglie malvolentieri come aiuto in casa e da Eli stesso, di lasciare fuori da quella casa Auschwitz, il passato e il campo di concentramento, da cui è stata liberata per l'arrivo dei russi in gennaio 1945 e dove ha perso i genitori. Ma in effetti quegli elementi Faenza li ha lasciati lui per primo fuori da una storiella d'amore quasi adolescente, Auschwitz sembra solo incidentale: Anita si meraviglia che nessuno voglia ricordare, che nessuno con lei comparta la memoria, "senza memoria noi non siamo nulla", ma sono solo parole, la ragazza liberata si è immersa subito nella vita ritrovata, insospettabile in una persona prostràta dal lager, le pulsioni erotiche sono molto forti e Eli coi suoi bei riccioli dorme con lei nella stessa stanza. Sono in casa della zia, nei Sudeti in Cecoslovacchia, e la casa è stata liberata dagli occupanti tedeschi rispediti in Germania. 

Assomiglia a un film in costume, perché ambientato in quegli anni; è ingentilito dalla passione di Anita per i bambini, per la musica, la pittura e per la scrittura, a cui vuole dedicarsi. E' tratto liberamente dal libro "Quanta stella c'è nel cielo" di Edith Bruck, ma il film, a parte un pochino di storia da conoscere, è deludente.

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