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Animalismo e psicolinguistica: le pubblicità ingannevoli

Il 10 e 11 ottobre scorso, si è tenuto l’Animal Activists Forum in Australia, quest’anno a Melbourne. Il programma, come si può vedere qui, era fitto: quattro aule – nella bellissima e interessante Town Hall della città – ospitavano differenti interventi riguardanti la questione animale.

Tra questi, Usare la psicolinguistica, creando messaggi efficaci per il cambiamento, presentato da Emma Hurst psicologa vegana con una laurea magistrale in Psicologia della Salute. Hurst inoltre, è la coordinatrice delle campagne di Animal Liberation del Nuovo Galles Del Sud, una organizzazione no profit per la difesa dei diritti degli Animali, la quale lavora per la fine delle sofferenze degli Animali da allevamento intensivo.

La maggiore parte della popolazione dichiara di essere contro il maltrattamento animale. Tuttavia, supporta anche gli abusi agli Animali sovvenzionando molte industrie, ogni volta che ci si siede a tavola per consumare un pasto. Con tale abbondanza di informazioni e alternative disponibili, come è possibile che la cultura del “mangiar carne” sia ancora ancora così dominante? L’industria casearia e della carne ha sviluppato dei messaggi efficaci fatti su misura, utilizzando la cultura e i suoi valori, quelli ovviamente di massa, per convincere la quasi totalità delle persone che il consumo di latticini e carne è essenziale, normale e “ nazional-patriottico” (Hurst ha usato il termine australiano).

Il dibattito si è concentrato sulla psicolinguistica, la psicologia del linguaggio, evidenziando come queste industrie creano i loro messaggi e slogan per aumentare il consumo dei loro prodotti, difendendosi e diffondendosi, e quali messaggi noi attivisti, secondo la psicologa, possiamo creare per ridurli o eliminarli. Lo sforzo consiste nel conoscere i termini linguistici utilizzati in modo da sovvertirli e controbatterli.

L’origine del messaggio-propaganda viene creato a tavolino, studiando il Paese e la sua storia. Hurst ha mostrato come esempio una pubblicità di una nota industria, in cui è rappresentato un signore di mezza età con coltello e forchetta con un bambino davanti a lui, come a sottolineare il grado di parentela stretto fra i due, e una bistecca sul tavolo. Dietro di loro, sventola la bandiera australiana. Lo slogan recita: un vero australiano mangia carne. Quindi, giocando sul senso di patria e di inclusione sociale, i loro esperti di comunicazione fanno pressione sull’individuo qualunque, il quale a sua volta giustifica le sue azioni come “normali”.

E’ un chiaro esempio di dissonanza cognitiva, sottolinea Hurst, continuando a mostrare varie immagini pubblicitarie. In un’altra ancora, si vede un bambino su un triciclo e la scritta ”sei quel che mangi e oggi mi sento fantastico. Stai meglio in [ una dieta a base di ]carne”.

I trucchi svelati dalla presentatrice rivelano quali parametri queste industrie utilizzano: l’isolamento (non vuoi essere diverso, vero?), la repressione (non mostrare mai cosa succede nelle loro fabbriche), l’humour (i vegani non sanno cosa si perdono!), la minimizzazione (i nostri Animali hanno solo un giorno pessimo nella loro vita, ma per il resto sono trattati benissimo!), il diniego (non è vero che la carne fa male”, non citando nessun dato da fonti indipendenti).

Come fronteggiare e smascherare queste frasi? Emma Hurst lo fa mostrando due esempi: Free Range Eggs (uova da Galline allevate a terra) e Tax Relief (sgravi fiscali).

Il primo, gioca con la parola free (libero), la quale nell’immaginario collettivo non può non essere un concetto bello e positivo. Qui entra in campo la tecnica del re-framing. Cancelliamo la parola Free, sostituendola con Caged (uova da Galline allevate in gabbia, riferendosi non a una classica gabbia, ma all’idea di essa).

Il secondo esempio, non è in contesto animalista, ma politico. La parola Relief, in inglese significa anche sollievo e chi non vorrebbe essere “sollevato” dal pagamento delle tasse? Pur sapendo che non si tratta esattamente di questo, ci si casca in pieno.

Naturalmente, sono solo alcuni esempi nel contesto australiano, i quali devono essere adattati al Paese e campagna specifica.

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