Ancora minacce a Giulio Cavalli. E il rischio del silenzio
Questa sera avrei voluto scrivere di Achille Toro e del sottosegretario Cosentino. Avevo già tutti i miei appunti pronti sulla scrivania. Poi m’è venuta voglia di fumare una sigaretta in balcone. E il bip del cellulare. E eccomi qui a scrivere delle minacce a Giulio. Ancora una volta. Mentre tiro giù queste righe mi rendo conto che a tutti gli effetti scrivendo dell’ennesima intimidazione ricevuta dal mio amico, sto scrivendo di questo Paese, di come è ridotto, di come è stato stuprato da decenni di conflitti di interesse talmente diffusi da essere passati da sistema a prassi. Una prassi che non può essere incrinata da persone come Giulio che ne svelano la vera grottesca natura.
E c’è di peggio. Ci stiamo facendo l’abitudine. Alle minacce a Giulio e agli affaristi, ai servitori infedeli dello Stato, ai politici collusi con le mafie, ai premier che oggi promulgano regolamenti elettorali che se applicati a tempo debito avrebbero reso impossibile la loro candidatura.
Io non ci voglio fare l’abitudine a questo schifo. Voglio vivere in un Paese che possa sentire mio. Che sento profondamente mio. Come lo sente suo Giulio. E quei tanti invisibili che stanotte andranno a letto senza sentire i “ma va… ma va.. ma va” di Ghedini e neppure le banalità del Festival in onda sulla rete ammiraglia di Raiset.
Non ci sia silenzio. Non ci sia abitudine. Non oggi, non ora.
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