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Amy Winehouse ha scelto

"Hanno tentato di portarmi in un centro di riabilitazione ma ho detto NO, NO, NO" sono le parole della cantante Amy Winehouse, trovata morta sabato pomeriggio a casa sua, a Londra, probabilmente per overdose. Una voce, ed un talento, fuori dal comune quelli di questa cantautrice britannica, spentasi a soli 27 anni come tanti altri artisti prima di lei.

Ma Amy ha scelto di morire, ha scelto la strada dell'autodistruzione tra alcol e droga, anche quando la società ha tentato di farle imboccare un percorso di riabilitazione, come scrive nel suo 'testamento musicale', la canzone Rehab.

I media ed i social network sono stati travolti dal fragore della notizia, alzando un'onda emotiva che si è allargata in ogni direzione.

"Era ricca e famosa, che bisogno aveva della droga?" è la sintesi di molti commenti che si leggono in rete. E bravi i miei filosofi da due soldi, che prima snocciolate perle come 'il denaro non dà la felicità' poi vi lanciate in questi ripugnanti materialismi.

Ma c'è anche chi la innalza come simbolo di libertà e di coraggio: "Un esempio da imitare per tutti i disperati" scrive Federico Mello sul Fatto Quotidiano. Un'opinione che non condivido, perché è vero che Amy ha vissuto liberamente i suoi 27 anni senza conformismi, ma si è anche visto dove l'ha portata la sua libertà, e non si può idolatrare una tossica alcolizzata che ha buttato - seppur consapevolmente - la sua vita nel cesso.

Arriva poi Forza Nuova, che a poche ore dal ritrovamento del corpo già mandava in stampa i manifesti con la foto della cantante e lo slogan "Se ti droghi non ti Amy". E qui s'è alzato il finimondo, tra accuse di 'mancanza di rispetto' e di 'strumentalizzazione'.

Il rispetto ai morti mi sembra uno dei più insensati stereotipi delle religioni: il rispetto si porta ai vivi, se se lo meritano; non come nel mio dialetto che accanto al nome di un defunto si mette sempre - per rispetto - l'aggettivo pour (povero, poveretto, ndr). Mia nonna fu sommersa di insultì quando arrivò a dire 'e pour Craxi'.

Non ritengo fondata neanche la colpa dell'uso strumentale, perchè non si distorce la realtà, non si dice o si sottende alcuna falsità. Lo vedo come un giusto messaggio di "sensibillazzione", veicolato forse in maniera un po' forte, ma diretto ed onesto.

E tutto questo, sia chiaro, lo dico da antiproibizionista, a favore della legalizzazione delle droghe leggere (anche se adesso va di moda la frase "non esistono droghe leggere!") e della regolarizzazione di quelle pesanti: creare canali di distribuzione più facili per strapparne il monopolio alla criminalità e aprire le 'sale del buco' dove assumere droghe senza rischi di nuocere alla propria o all'altrui incolumità.

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