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Alfano e Meloni: due facce di una stessa medaglia!

 

Si candidano un po’ tutti: si ritirano la Mussolini e Sgarbi. Alfano chiude agli inquisiti, gli fa eco la Meloni. Due duri, non tanto puri…

Se fossimo di centrodestra e volessimo far sentire il nostro sostegno ad uno dei candidati delle primarie-pantomima del PdL per chi garantiremmo il nostro impegno?

Le ironie si spandono per il web: sembra che per sostenere questo o quel pretendente successore di Mr. Bunga Bunga, sarà richiesto un contributo di 10-12 euro, in ossequio all’estrazione più borghese degli elettori pidiellini (la questione è controversa quasi quanto l’identità del Sarchiapone, pare che spetti soltanto ai minorenni). I più si domandano se, viste le abitudini del nuovo che avanza (particolarmente avvezzo a festini e comparsate in discoteca) siano comprese anche consumazioni ed ingressi omaggio.

Sembra un’immensa farsa: prima si fanno, poi si annullano, poi si riconvocano. Poi si candidano tutti, poi si candida solo qualcuno, si faranno coi gazebo, anzi no meglio via internet. E’ un caos che spiazza anche i più fedeli ed inquadrati seguaci dell’ex primo partito d’Italia.

Diciamolo chiaramente: il PdL è al defibrillatore, queste beghe da due soldi tra gli eredi di Berlusconi servono soltanto ad ottenere un pizzico di visibilità che vada oltre i Fiorito e gli scandali laziali. Il Cavaliere è indeciso: sa che l’esperienza del gazebo in piazza sarebbe impietosa, per questo preferirebbe una consultazione online.

Ma l’opinione pubblica si è già scatenata.

Alfano, “inesistente” per il ritirato Sgarbi a “la Zanzara” , prova a destare gli interessi di un popolo che si scontra con una realtà frammentata ed essenzialmente acefala. Privata del capo carismatico, la destra postberlusconiana è simile ad un saloon del far west, dove per emergere e farsi notare bisogna spaccare qualche bottiglia e fare a cazzotti. 

Il primo colpo lo muove il segretario, che per far fuori le minacce (!) rappresentate da Alessandro Proto (immobiliarista indagato per aggiotaggio) e Gianpiero Samorì (banchiere indagato per accesso a dati informatici riservati) dichiara che non potranno essere ammessi alla tornata elettorale delle primarie i candidati che risultassero indagati.

Gli fa eco la Meloni, (Sgarbi, che ne mette in seria discussione le capacità, dice che dovrebbe prima laurearsi, invece di aspirare a guidare un paese) che pretende altrettanta pulizia nelle liste: nessun candidato o condannato dovrà essere candidato. Praticamente il PdL rischia, per una volta, di candidare al massimo una dozzina di persone.

Satira a parte, sembra già che le scaramucce mediatiche siano iniziate tra Alfano e la Meloni, tanto distanti per formazione e provenienza, quanto simili nelle scelte e nelle destinazioni: entrambi ambiscono alla leadership di un centrodestra nella tempesta.

Il primo, segretario di quel che resta di un grande partito, potrebbe mettere nel palmares l’ennesima sconfitta ad una tornata elettorale. La seconda, ex AN, è proprio indigesta a La Russa e Gasparri, mentre Storace sembra nutrire simpatie nei confronti dell’ex ministra della gioventù, adesso che pure la pasionaria Santanché sembra non voler concorrere per le primarie.

Diversi ma in fondo simili, se non proprio uguali, Alfano e la Meloni: entrambi hanno votato la fiducia al governo Monti, entrambi hanno messo in ginocchio gli italiani votando la legge di conversione del decreto Salva Italia e persino la legge Fornero, quella riforma che ha massacrato i diritti dei lavoratori (quello istitutivo dell’IMU, per intenderci). Almeno,nelle due ultime occasioni, Crosetto ebbe il buongusto di astenersi. E che dire degli F-35? Anche in quella seduta del 28 marzo, i nostri beniamini non hanno proprio brillato di lungimiranza e di interesse nei confronti del paese, votando favorevolmente alle mozioni proposte al voto.

In pratica, Alfano e la Meloni chiedono ancora una volta la fiducia degli italiani, gli stessi italiani che vivono in recessione grazie alle scelte liberticide del governo impostoci dalla miopia amministrativa del Berlusconi-ter, esperienza di cui entrambi hanno fatto parte.

Il tentativo maldestro di ricostruirsi una verginità politica sta fallendo miseramente: adesso Alfano è il segretario di un partito di inquisiti e rinnega le proprie origini in nome del “partito degli onesti”, la Meloni una soldatessa che obbedisce ciecamente agli ordini di schieramento, anche se questi comportano l’annientamento dello stato sociale tanto sbandierato dalla leader del movimento giovanile.

È troppo facile gridare oggi la voglia di candidarsi per dire no al governo Monti: quando ha avuto la possibilità di farlo la Meloni ha risposto “presente”, perdendo l’occasione di creare un’autentica frattura tra il vecchio PdL (quello di Alfano) e quello abortito dalla scelta sconsiderata di sostenere un governo antidemocratico. Non ci si può ammantare di attributi altisonanti, sconfessandoli puntualmente ogniqualvolta si presenti l’astratta possibilità di farli rispettare: sociale è una bella parola, soprattutto accompagnata a stato. Si fa presto a definirsi “destra sociale”, salvo poi votare i provvedimenti del governo del professore.

A poco può valere il giustificarsi dietro la logica dell’appartenenza: anche dopo le elezioni costoro dovranno rendere conto ad una base frammentata, e adottare provvedimenti ancor più impopolari.

Alfano e la Meloni hanno fatto il loro tempo. Al primo rimproveriamo la palesata incapacità dirigenziale: persino i capelli trapiantati del Cavaliere hanno più carisma dell’Angelino sacrificale.

Alla Meloni rimproveriamo l’abuso del termine “giovane”, perché la giovinezza non è certo un dato anagrafico ma una predisposizione dell’essere. Vanta già due mandati da parlamentare, incarichi di partito e persino un ministero talmente strategico da essere stato tra i primi ad essere cancellato dai macellai sociali del governo Monti.

Che piaccia o no, è una politica di professione, una di quelle alla Rosy Bindi che fa la politica per mestiere. E’un peccato: una Meloni che vota la fiducia al governo Monti perché deve rispondere alle logiche di partito è una politica navigatache abusa della parola “giovane”, perché è già consapevole delle logiche di schieramento, pane per vecchi marpioni della politica.

Grillo direbbe che personaggi come la Meloni ed Alfano non andrebbero votati, perché non hanno un mestiere: continueranno a vivere di politica per tutta la vita, differentemente dal professionista che puòimpegnarsi per un quinquennio o più, salvo poi avere l’interesse di ritornare a svolgere il proprio lavoro.

In breve, se dovessimo votare per le primarie sceglieremmo tra Crosetto e Alessandro Cattaneo, il formattatore del PdL e sindaco di Pavia (che avrebbe già depositato le firme necessarie alla candidatura).

Il motivo è presto detto: votereste per chi ha votato favorevolmente all’introduzione dell’IMU, alla riforma Fornero e al diverse mozioni riguardanti l’acquisto dei cacciabombardieri F-35, mentre gli italiani muoiono di disoccupazione, malasanità e con una scuola ridotta a brandelli?

Noi, personalmente, no.

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