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Aldo Brancher, Napolitano e l’il-legittimo impedimento

Episodi come quello della nomina a ministro di Brancher sono la definitiva conferma di quale sia stato il vero scopo della legge sul legittimo impedimento: una norma dopo l’altra si sta costruendo una fortezza a difesa del privilegio della casta ? tale è anche la legge sulle intercettazioni -  che è ormai, anche legalmente, cosa diversa dai cittadini.

Aldo Brancher, Napolitano e l'il-legittimo impedimento

Una dopo l’altra le parole del dibattito politico ci vengono sottratte da un governo, e da tutta una classe politica, di lexocleptici. Se ormai il termine federalismo, da quando ha smesso di essere associato a Carlo Cattaneo o al Partito d’Azione per diventare proprietà di Borghezio & C., è impronunciabile davanti ai minori e il nome di “Destra”, alla fine del berlusconismo, sarà anatema per almeno un paio di generazioni d’italiani, da ieri anche la parola legittimo rientrerà tra quelle che, se udita, fanno correre la mano al portafoglio per verificare che ci sia ancora.

 

E’ una di quelle storie, talmente italiane e contemporanee che non sono davvero traducibili in nessun altro idioma o trasferibili ad alcuna altra epoca; il segno di un degrado civile, oltre che morale, dell’Italia che è arrivato ad un punto inimmaginabile fino a pochi decenni or sono.

Il protagonista è un  distinto signore, ex prete paolino e già dirigente Fininvest, che può vantare d’aver trascorso tre mesi a San Vittore durante Mani Pulite - fu scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare - e d’esser stato condannato, in primo grado ed in appello, per falso in bilancio e finanziamento illecito al PSI. Fu poi tolto dai guai, durante il processo in Cassazione per  l’avvenuta prescrizione del secondo reato e per la depenalizzazione del primo – e vallo a spiegare che nel nostro paese il falso in bilancio, uno dei peccati capitale dell’etica borghese, non è più reato penale – voluta nel frattempo dal governo Berlusconi.

Non essendo capace di stare lontano dai guai, Aldo Brancher, dopo essersi costruito una simile fedina penale finisce di nuovo sotto processo; nel corso delle indagini sulla scalata di Fiorani all’Antonveneta, la procura di Milano trova, presso la Popolare di Lodi, un conto, intestato alla gentile consorte del nostro, sul quale in due anni si sono accumulati 300.000 euro: quanto basta per farlo incriminare per appropriazione indebita e fare processare sua moglie per ricettazione.

Bene; se foste rimasti lontani dall’Italia per un trentennio e qualcuno vi dicesse che un simile soggetto è stato nominato ministro – ancora meglio che un ministero, quello dell’Attuazione del federalismo, è stato costituito appositamente per lui – pensereste che il Presidente del Consiglio che lo ha proposto ed il Presidente della Repubblica che lo ha accettato siano vittime di una qualche forma di follia contagiosa.

Non ve lo spieghereste altrimenti.

Un paio di giorni dopo la nomina, leggete on line sul vostro abituale quotidiano che è stato invocato il “ Legittimo Impedimento”; tirate immediatamente un sospiro di sollievo, “lo dicevo io che l’Italia non poteva essere diventata una repubblica delle banane” e chiudete il giornale senza neppure leggere l’articolo: “Per fortuna che ci sono le leggi. Ovvio che ci doveva essere una qualche norma che proibisse di nominare ministro uno sotto processo”.

Quello che è successo realmente, che il neo nominato ministro abbia, come primo atto del proprio ministero, chiesto il rinvio del proprio processo, perché “legittimamente” impedito ad assistervi dai sopravvenuti impegni – avrebbe dovuto testimoniare il 26 di questo mese; ammirevole il tempismo della nomina – non riuscireste neppure ad immaginarlo: “Ma dai; cos’è? Una barzelletta”.

Il fatto che larga parte dell’elettorato accetti, senza neppure scandalizzarsi, che la cronaca politica sia ormai ridotta ad essere una successione di barzellette come questa, è la dimostrazione più lampante dei danni devastanti provocati al comune senso di giustizia dal ventennio di disinformazione che è seguito alla stagione di “mani pulite”.

Gli stessi italiani che vent’anni fa attendevano Craxi fuori dal Raphael per bersagliarlo di monetine, ora, di fronte ad episodi del genere non dicono nulla; pare sia passata l’idea, nella nostra società, che la politica sia cosa diversa dalla vita comune e che ai politici non si applichino gli stessi criteri di decenza – non mi viene parola migliore – che utilizziamo per valutare il comportamento dei normali cittadini.

Restano due considerazioni che salgono spontanee dopo la nomina a ministro di Aldo Brancher.

La prima è che il Presidente della Repubblica che, ai sensi dell’articolo 92 della Costituzione, “il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”, è il responsabile ultimo di tale nomina ha perso un’occasione in più di fare quello che è nient’altro che il proprio dovere: vigilare sul rispetto degli ideali Repubblicani. Nulla gli imponeva di accettare la proposta di nominare ministro Brancher; il senso della decenza – torna quella parola – per primo gli avrebbe dovuto imporre di rifiutarsi di accettarla.

La seconda è che Aldo Blancher , per spingere il Presidente del Consiglio, già in netto calo di popolarità dopo la presentazione del DdL sulle intercettazioni, a sfidare l’opinione pubblica nominandolo ministro, deve avere accumulato, nella sua ormai lunga carriera, meriti davvero straordinari.

Per capire di che meriti possa trattarsi forse è il caso di tornare ai quei tre mesi passati a San Vittore. Il suo datore di lavoro di allora, Silvio Berlusconi, ricordando quel periodo ha detto: "quando il nostro collaboratore Brancher era a San Vittore, io e Confalonieri giravamo intorno al carcere in automobile: volevamo metterci in comunicazione con lui”.

Che cosa doveva dire, allora, Berlusconi al suo manager? E soprattutto, che cosa poteva dire, a riguardo del proprio datore di lavoro, il buon Brancher ai giudici?

Conoscendo le risposte a queste domande, c’è da scommettere che la nomina di Brancher, altrimenti inspiegabile, diventerebbe perfettamente comprensibile.

Povero “legittimo”, era un così bella parola; pulita. Di quelle che faceva piacere incontrare ogni tanto. I suoi sinonimi, lecito e legale, erano così rassicuranti; dispiace proprio che adesso si debba sospettare anche di lei.

Il suo senso, dopo quest’ultima appropriazione da parte degli “utilizzatori finali”, è diventato: consentito dalla legge, ma altrimenti vergognoso da ogni punto di vista.

Contrario alla decenza, potremmo dire, almeno fino a quando non ci ruberanno anche quella.

P.S. Avevo chiuso quest’articolo quando è arrivata la notizia che la Presidenza della Repubblica, finalmente, ha deciso di fare sentire la propria voce sulla vicenda. "In rapporto a quanto si è letto su qualche quotidiano questa mattina a proposito del ricorso dell’onorevole Aldo Brancher alla facoltà prevista per i ministri dalla legge sul legittimo impedimento", si legge in una nota del Quirinale ", si rileva che non c’è nessun nuovo ministero da organizzare in quanto l’onorevole Brancher è stato nominato semplicemente ministro senza portafoglio".

Mi resta il dubbio sul perchè il Presidente Napolitano abbia, in primo luogo, accettato la nomina di Brancher a ministro, ma questo suo intervento, seppure tardivo e dopo che, per sua stessa ammissione, era stato da più parti strattonato per la giacchetta, mi aveva decisamente risollevato lo spirito: mi dava da pensare che, dopotutto, qualcosa di quel povero e malridotto denso della decenza ancora restasse nella nostra Repubblica.

Gli avvocati di Aldo Brancher hanno prontamente replicato che, contrariamente a quanto già affermato dallo stesso ministro, la richiesta di legittimo impedimento non è motivata dalla necessità di organizzare il nuovo ministero, ma dall’esigenza di portare avanti le norme per le riforme istituzionali.

Contrordine: la decenza continua ad essere moribonda.

Il rispetto per l’intelligenza degli elettori, invece, è morto da un pezzo.

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