• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Economia > Alcoa di Portovesme: quando l’Italia dismette il suo passato

Alcoa di Portovesme: quando l’Italia dismette il suo passato

Alcoa di Portovesme: quando l'Italia dismette il suo passato

Ho sognato Portovesme. Ho sognato una fabbrica incastrata tra il mare e il sole di Sardegna. Ho sognato uomini usciti da un’altra epoca: neri come il fumo del carbone.
 
Portovesme non è un paese: è la fabbrica. Sono le città come Termini Imerese o i quartieri come Bagnoli; luoghi i cui nomi perdono qualsiasi valenza geografica come se il resto scomparisse dentro i capannoni.
 
La fabbrica è tutto, è famiglia per chi è dentro, è leggende, per chi è fuori. La fabbrica è migliaia di persone che vivono all’ombra delle sue ciminiere e dei suoi salari. La fabbrica è totalizzante, toglie il respiro, stringe dentro di sé i suoi operai ma la sirena delle otto ricorda, ogni giorno, che solo lì troveranno qualcuno con cui condividere sogni e dolore.
 
A Portovesme il fumo non si leva più alto; forse solo qualche dimenticato guardiano è rimasto lì, come un giapponese su un atollo del Pacifico, mentre tutto intorno non è mare. Immagino un uomo solo che leva lo sguardo e vede il sole sbattere contro i carrelli che non corrono più; lo immagino mentre guarda le nuvole passare veloci tra le ciminiere e tutto quel via vai di bianco gli ricorda le strade, una volta, percorse da una folla di tute e elmetti. Tutto quel vuoto è un quadro di Pelizza da Volpedo strappato a morte.
 
Quel vuoto è una comunità che scompare perché il politico di turno ha cartolarizzato il futuro; una comunità fatta di trentenni a cui, d’un tratto, vien detto che, in realtà, non sono giovani ma vecchi perché il loro mestiere non esiste più. Uomini usciti da un altro secolo, in cui l’Italia bruciava le sue risorse per illuminare le sue piazze. Uomini destinati a scomparire, uomini buoni per la copertina di un giorno senza notizie.
 
Li immagino così questi sardi testardi mentre osservano il loro passato e piangono, senza versare lacrime, il loro futuro. Immagino i loro figli, bambini concepiti con il permesso del ciclo continuo; bambini che vedevano i padri, a volte, la sera, stanchi ed ora, tutt’a un tratto, li trovano lì, al mattino, seduti con gli occhi persi nel vuoto. Bambini che non sanno cosa sia la parola "crisi", bocche piccole e rosse che tremano alla tristezza dei genitori, occhi innocenti che si spengono davanti al dolore che invade la casa.
 
Intanto, fuori, pioggia e sale fanno il loro corso, graffiano, lentamente, le lamiere. Macchinari abituati al ciclo continuo sono stati spenti. Il silenzio, più assordante dei rumori scomparsi, è sceso su questo scorcio d’Italia.
 
Il silenzio della dismissione che verrà.
 
Le dismissioni sono tutte differenti e tutte uguali. Altoforni, turbine, macchinari, motori, tutti smontati e catalogati come pezzi di un meccano, ordinati sul tappetto d’asfalto e caricati in container diretti in Asia: Cina, Thailandia, Hong Kong. Lontano dalle mani degli uomini che li hanno accarezzati ritrveranno vita; puliti dal loro passato saranno maneggiati come fossero uno dei tanti, mentre quell’acciaio raccoglie storie di famiglie, generazioni che si sono tramandati il mestiere di padre in figlio.
 
Uomini e donne di fabbrica: operai. Parola antica, come il loro mestiere, parola della quale ci si vergogna, come se il lavoro fosse un’onta, come se il sudore fosse qualcosa da cui sfuggire. In quest’Italia di tronisiti e veline si uccide il nostro passato.
 
Si feriscono a morte i nostri padri e i nostri nonni; i loro anni dedicati a regalarci un futuro. Uccidiamo ciò che siamo stati con la nostra indifferenza. Uccidiamo il nostro futuro ogni volta che, sfogliando il giornale, passiamo accanto alle vite degli uomini di Portovesme o di Termini, ogni qual volta non li ascoltiamo, ogni qual volta li sentiamo distanti, differenti.
 
Sono uomini e donne del nostro presente a cui la nostra indifferenza ha sottratto il futuro.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.143) 16 febbraio 2010 15:59

    Portovesme è fabbrica . IL Sulcis è fondato su Portovesme dopo la dismissione delle miniere ma, la fabbrica non è solo ALCOA ,la prima a fermarsi è stata la ILA ( OTEFAl SAIL )  200 dipendenti poi EURALLUMINA coi suoi 700 tra diretti e indotto ,ROCK WOOL altri 200 , PORTOVESME srl con la propria forza lavoro dimezzata che ruota in cassa integrazione . Non solo i lavoratori PORTUALI  in enorme difficoltà a causa del poco traffico marittimo , ad essi si aggiungono gli artigiani senza commesse e tutto il comparto segue a ruota dividendosi la disgrazia sopraggiunta . Il peggio è la malinconia , l’aggrapparsi , calpestando i vecchi compagni ,ai pochi posti di lavoro rimasti in ogni azienda ,circa trenta per ognuna , perdendo oltre al lavoro anche la dignità . Qualcuno rivendica : …. Abbiamo gli ammortizzatori sociali ……  

  • Di Francesco Piccinini (---.---.---.123) 16 febbraio 2010 17:48
    Francesco Piccinini

    Ho cercato di raccontare il più possibile le sensazioni di quei luoghi... Spero di esserci riuscito. Vi sono accanto.

  • Di Renzo Riva (---.---.---.238) 16 febbraio 2010 18:34
    Renzo Riva
    Francesco ha scritto:
    Sono uomini e donne del nostro presente a cui la nostra indifferenza ha sottratto il futuro.

    Caro Francesco,
    Grido alto un grande NO!
    NON ERO IO L’INDIFFERENTE!

    Gli indifferenti furono proprio quegli uomini e quelle donne che nel 1987 a pancia piena scelsero i loro futuro; ed oggi si è materializzato con i licenziamenti.
    Proprio perché in quel tempo diedi fondo a tutte le mie risorse perché non si scegliesse la facile posizione demagogica oggi sono implacabile:

    CHI È CAUSA DEL SUO MAL PIANGA SÈ STESSO

    Ricordo che oggi in Europa la prima fonte energetica per produrre l’elettricità è quella nucleare.

    Si leggano per esempio i numeri sottoriportati della Germania per non parlare della Francia.

    La Germania dopo aver incentivato a piene mani le FER oggi ha questo mix energetico:

    Il totale produzione anno 2008 è stato pari 638,8 TWh

    di cui in percentuale

    Fossili______________________60,5%
    Nucleare____________________23,3%
    Rinnovabili__________________15,4%
    Da rifiuti non rinnovabili________0,8%

    Totale______________________100%

    di cui fra le Rinnovabili sul totale prodotto di 638,8 TWh

    Idraulica__________4,3%
    Eolica____________6,3%
    Biomasse_________4,1%
    Fotovoltaica_______0,6%
    Geotermica_______0,0028%

    Totale____________15,4%

    Taccio sui costi che hanno sostenuto per la tecnologia eolica - max. anni 20 - e per quella fotovoltaica - max. anni 20÷25.

    L’eolico fu responsabile del black out europeo del 6 novembre 2006 a causa della potenza "ballerina" dovuta a forti variazioni di ventosità.

    Questo piatto lo servo freddo ai Verdastri.

  • Di paolodegregorio (---.---.---.238) 16 febbraio 2010 19:09

    caro Piccinini,

    senza dubbio l’angoscia per il futuro è tanta, e dalla miniera alla fabbrica è stato un tragitto duro e a suo tempo una conquista.
    Ma oggi la crisi impone di cercare altre vie. 
    E ricordiamo che le fabbriche di Portovesme hanno anche inquinato territori notevoli e questo viene taciuto in questo momento, la crisi non consente di parlarne.
    Se vai a fare una ricerca approfondita nella zona, oltre alla disperazione dei lavoratori, trovi nella zona una agricoltura segnata dall’inquinamento. Tanto che si è parlato di sostanze trovate nel pregiato vino di Santadi. Ho letto un libro sulla storia della vicina Carloforte e questi problemi ci sono stati.
    Purtroppo, in Sardegna, anzichè indirizzare tutto il territorio verso l’autosufficienza agricola e, adesso che è possibile, verso l’autosufficienza energetica con le rinnovabili, si sono fatte scelte industriali folli.
    Ho sentito raccontare dai protagonisti che a Olbia negli anni ’60, era stata offerta la possibilità di una industrializzazione con installazione di impianti chimici e petroliferi e il sindaco di allora rifiutò questa destinazione. E ancora oggi lo benedicono.
    Invece a Porto Torres, Sarroch e Portovesme le lusinghe degli industriali hanno avuto successo.
    Sono stati così sacrificati, rovinati completamente ,territori bellissimi e ora con la crisi c’è il rischio che restino solo trutture industriali orrende, che fanno pensare all’inferno dantesco.
    Se a questo aggiungiamo i vasti territori che lo Stato utilizza come servitù militari, ne deriva una immagine dei passati politici sardi, che hanno consentito tali scelte,assolutamente negativa.

    Per tornare agli operai di Portovesme ritengo che devono chiedere il SALARIO SOCIALE, di importo adeguato, per tutto il periodo di disoccupazione.
     E perchè non pensare a unirsi in cooperativa chiedendo alla regione di finanziare loro e non le multinazionali, per fare la conversione delle fabbriche magari per costruire pannelli fotovoltaici (in Sardegna non ce ne sono) e magari impegnarsi per il disinquinamento del territorio che consentirebbe di tornare ad una agricoltura non avvelenata.?

    un saluto
    paolo

  • Di (---.---.---.24) 16 febbraio 2010 23:25

    Quel vuoto è una comunità che scompare perché il politico di turno a cartolarizzato il futuro

    Vuoi comprare una consonante???

  • Di Francesco Piccinini (---.---.---.199) 16 febbraio 2010 23:32
    Francesco Piccinini

    sì :) fatto! Grazie! :)

  • Di Renzo Riva (---.---.---.72) 17 febbraio 2010 01:00
    Renzo Riva
    A Paolo de Gregorio ricordo che proprio oggi Obama, ovvero l’icona dei sinistrati, ha recitato l’apoteosi del nucleare.

    All’art.1 della Costituzione manca un comma ovvero chi garantisce il diritto al lavoro.
    Pertanto chiedo chi pagherà quello che lui denomina salario sociale e che io invece denomino assegno di sussistenza nella povertà?

    Poi proporre di riconvertire le fabbriche per fare pannelli fot(t)ovoltaici è il massimo della dabbenaggine per non dire di peggio.

    Di nuovo ricordo a chi ancora non l’ha capito:
    è il consumo d’energia abbondante ed economica che permette il mantenimento dei posti di lavoro e di crearne di nuovo,
    non la produzione d’energia.

    A Portovesme i licenziamenti sono stati causati dalla non economicità dell’energia fornita dal sistema elettrico nazionale rispetto agli altri prezzi praticati dai sistemi elettrici delle altre nazioni europee per non dire mondiali.

    Evviva la castroneria!
    Renzo Riva
  • Di Francesco Piccinini (---.---.---.123) 17 febbraio 2010 10:56
    Francesco Piccinini

    Caro Paolo,
    concordo con te sull’inquinamento, soprattutto poiché si tratta di industrie ad alto consumo energetico. Il problema, a questo punto, è capire cosa fare per una generazione di persone che si ritrovano senza lavoro.
    Concordo sull’industria pesante in luoghi di interesse paesaggistico ma davvero ora sono preoccupato per quelle quasi 10.000 persone che tra salariati e indotto vivevano grazie a quella fabbrica.... 

  • Di Francesco Piccinini (---.---.---.123) 17 febbraio 2010 10:58
    Francesco Piccinini

    Be’ se non sbaglio per una normativa europea anche le centrali nucelari potranno avere solo 25 anni di vita dopodiché devono essere smantellate e sotterrate in un sarcofago a migliaia di metri sottoterra.

  • Di poetto (---.---.---.161) 17 febbraio 2010 11:49

     Quello che maggiormente ha distrutto i lavoratori è la mancanza di prospettive future, la mancanza di alternative lavorative certe che possano rimpiazzare la perdita di quell’impiego.

    Perdere il lavoro, in Sardegna, a quaranta o cinquant’anni, significa non avere prospettive, se non proprio scarsissime, di un nuovo e sicuro impiego.

    Significa, troppo spesso, vivere alla giornata, cercare di sbarcare il lunario nei modi più disparati.

    I dipendenti di Portovesme sanno che la prospettiva futura è grigia, sanno che le possibilità di trovare una sistemazione lavorativa degna di questo nome, nella Sardegna di oggi, è esile come un fuscello.

    Se ci fossero alternative valide a quella perdita allora la disperazione, perché di questo si tratta, non ci sarebbe, non ci sarebbero stati i viaggi a Roma, le manifestazioni sulla 131, il blocco dell’Aeroporto di Cagliari, non ci sarebbero state tutte quelle manifestazioni, invece la realtà è che finito quel lavoro le speranze di trovarne un altro nella zona, o in zone vicine, sono molto scarse.

    La crisi economica ha ucciso in Sardegna un’economia già sofferente da tempo.

    Bisognerebbe ripensare allo sviluppo economico della Sardegna, dare nuove priorità e nuove vie di sviluppo.

    Pensare al turismo, stare maggiormente attenti alle necessità dei turisti.

    Valorizzare le realtà dell’interno.

    Molti monumenti non sono neanche segnati nella cartellonistica stradale.

    Tanti, all’infuori della Sardegna, non conoscono e neanche sanno cosa sia, ad esempio, il nuraghe Losa.

    Tendendo conto che, in Sardegna, l’industria sta crollando su se stessa, occorrerebbe ripensare ad uno sviluppo diverso, compatibile con la realtà locale e con le esigenze della popolazione del posto.

  • Di Francesco Piccinini (---.---.---.123) 17 febbraio 2010 12:01
    Francesco Piccinini

    Pienamente d’accordo, oggi una persona che perde il lavoro sa di non avere alternative e non ci sono altre realtà pronte ad accoglierli.

  • Di Renzo Riva (---.---.---.226) 17 febbraio 2010 13:23
    Renzo Riva

    Quelle che voi chiamate alternative c’erano già: erano il quotidiano.
    Scelte ideologiche e d’interesse politico-economico l’hanno distrutto senza prevedere alcuna alternativa.
    La crisi in Sardegna l’hanno provocata coloro che avevano interessi a sobillare.
    Una volta fatta la frittata col concorso degli stessi uomini e donne di Portovesme non sarà più possibile ricomporre le uova.

    Dalle mie parti c’era un emigrante e scrittore della sinistra-oggi sinistrata che scrisse ul libercolo dal titolo "Libars di scugnì la" (Liberi di dover andare); oggi purtroppo scopriranno che saranno dei "libars di scugni restà" (Liberi di dover restare).

    Poetto e Francesco a pelle sento che il vostro dire è solo "estetica buonista" più che sofferta partecipazione.
    Forse mi sbaglierò...

    La mia è invece continuazione dell’incazzatura del 1987 ed ora a mia volta DISTRUTTIVA.
    Muoia Sansone-ALCOA con tutti i filistei.

    Mandi,
    Renzo Riva

  • Di Renzo Riva (---.---.---.9) 3 settembre 2011 00:26
    Renzo Riva


    Ti sbagli

    di Francesco Piccinini (xxx.xxx.xxx.123) 17 febbraio 2010 10:58

    Be’ se non sbaglio per una normativa europea anche le centrali nucelari potranno avere solo 25 anni di vita dopodiché devono essere smantellate e sotterrate in un sarcofago a migliaia di metri sottoterra.


Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares