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Al via il World Social Forum di Belém

Si apre a Belém (Brasile) il World Social Forum - Al centro dei lavori la crisi economica, un diverso modello di sviluppo, la comunicazione. Protagonisti i contadini, le culture indigene e i blogger.

Inizia il World social forum di Belém, a dimostrazione che i movimenti sono tutt’altro che sopiti o esauriti come li descrivono i media di mezzo mondo. Precede l’apertura dei lavori, il forum sull’informazione a cui parteciperanno testate giornalistiche, blogger, operatori della comunicazione, giornalisti, film maker e fotografi provenienti da tutto il mondo.

Il tema dell’informazione rimane centrale per chi opera nel sociale, soprattutto in questa fase in cui la tendenza a creare concentrazioni mediatiche tendenzialmente monopolistiche sta inaridendo la libertà stessa di espressione. Rimane il dato, per esempio, della concentrazione monopolistica dell’informazione internazionale di base che resta concentrata nelle mani di due colossi, le agenzie di stampa Ap e Reuters, che da sole coprono più dell’80 per cento del mercato. Una statunitense, l’altra inglese: su alcuni temi, come la questione mediorientale e la “guerra al terrorismo”, condizionano inevitabilmente l’impostazione politica e informativa di gran parte dei media mondiali. Come anche su altri temi, per esempio la finanza e le grandi questioni globali quali la crisi climatica.


Risposte coraggiose come la Ips, l’agenzia indipendente nata proprio grazie ai movimenti, che è un esperimento importante e che sta cercando, nel suo piccolo, di porsi come riferimento credibile per le redazioni dei grandi media. Ma è l’enorme sviluppo del fenomeno dei blog che sta facendo incrinare i monoliti informativi internazionali. A partire dalla repressione in Tibet e in Birmania fino all’attacco a Gaza da parte di Israele. Proprio il mondo dei blogger sarà il protagonista indiscusso della giornata pre apertura. Inevitabilmente, e a buona ragione, il Movimento dei sem terra brasiliani, l’Mst, sarà l’altro protagonista della grande kermesse di Belém. Il movimento, negli anni, ha affinato il suo livello di analisi e proposta. In termini di elaborazione sui temi dello sviluppo (non solo agricolo), nella critica della delega dei flussi macroeconomici alla finanza speculativa borsistica, nella pratica di democrazia partecipativa, l’Mst ha messo in Rete le migliori intelligenze latinoamericane e non solo. Investendo anche sul piano della formazione. Non è un caso che, mentre le lotte contro il latifondismo diventavano territorialmente sempre più diffuse ed efficaci, il movimento investiva sull’educazione diffusa e costruiva una propria università, a pochi chilometri da São Paulo, che oggi è il vero motore intellettuale e di proposta su temi economici, agricoli e ambientali non solo a livello continentale, ma anche sul piano internazionale. Quando l’Mst e la Via campesina, il coordinamento internazionale di tutti i movimenti legati al problema “della terra”, diventano interlocutori delle grandi e ipertrofiche istituzioni internazionali come Ifad, Fao, Undp, senza perdere però la propria capacità di gestione del conflitto sociale, emerge il valore di un processo e di un progetto che continua a essere, dopo più di vent’anni, unico.

Da Belém arriva anche la notizia dell’enorme partecipazione (mai un numero così elevato di delegazioni, fanno sapere gli organizzatori) delle comunità indigene non solo brasiliane o latinoamericane. La scelta della città di Belém, al centro di quella che è oggi la più forte aggressione negli ultimi 20 anni verso l’ambiente amazzonico e le comunità indigene brasiliane da parte dell’agro business, non è infatti stata casuale. In tutto il continente latinoamericano la questione indigena è divenuta centrale. Lo è per due Paesi come Bolivia ed Ecuador dove due leader indigeni, Morales e Correa, sono diventati presidenti. E la questione indigena mette al centro il problema dell’uso e dello sfruttamento (exploracao) delle risorse naturali di un continente che, grazie al petrolio, al gas e ai biocarburanti diventa importantissimo non solo per la “tenuta” dell’ingombrante vicino statunitense, ma anche per lo sviluppo della Cina, che infatti si è affacciata proprio negli ultimi mesi a sondare il mercato continentale. 

 

Commenti all'articolo

  • Di Malegria (---.---.---.15) 28 gennaio 2009 15:33

    Correa non è un leader indigeno...anzi è in rotta con il movimento indigeno ecuadoriano su varie questioni...E’ un esponente politico di Guayaquil, leader di Alianza Pais-partito al governo di ispirazione socialista chaveziana (fammi passare il termine)-, eletto presidente nel 2006. Nelle stesse elezioni del 2006 in movimento indigeno aveva presentato un altro candidato, Luis Macas... grazie

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