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Africa, media e i paparazzi della morte

L’esibizione della morte mostra una macabra e volgare mancanza di rispetto per il defunto. Un fotoreporter Italiano in Uganda in cerca di "evidenze visive" su casi di sacrifici rituali, fa illegalmente esumare il corpo di una bambina mutilata e uccisa, pubblicandone la foto. L’immagine è rimossa dopo le proteste di molti.

Africa, media e i paparazzi della morte

Il Foscolo, razionalista di formazione Illuminista, scrisse Dei Sepolcri. La tomba è un simbolo che mantiene presente il defunto (e quanto rappresenta) presso chi resta. La sacralità riservata ai sepolcri è espressione dell’affetto e dell’onore che si manifesta verso chi ci ha preceduto.
 
Ci sono anche leggi a tutela dei morti e del loro luogo di riposo. Si parla di violazione di sepolcro, vilipendio delle tombe e vilipendio di cadavere, etc. Forse le cose dette finora sono ovvietà. Per molti, ma non per tutti. Troppo spesso i media cosiddetti occidentali mostrano senza scrupoli sofferenza e morte in posti come l’Africa. Si comportano da incivili paparazzi che speculano sulle tragedie umane. Sciacalli dell’informazione.
 
Un paio di settimane fa un fotoreporter Italiano scrive una storia per il Pulitzer Center on Crisis Reporting . La vicenda riguarda una bambina di 10 anni, mutilata e uccisa in Uganda. Il caso viene da lui presentato come sacrificio rituale di bambini. In realtà la veridicità di questa ipotesi non è così chiara. Di fatto riesce a far esumare illegalmente il corpo della piccola, spiegando che vuole raccogliere “evidenze visive” che saranno “decisive in molti modi”. Così fotografa il cadavere, pubblicando l’articolo con la sconvolgente immagine. Sono state necessarie le proteste di molti affinché, alcuni giorni dopo, l’immagine in questione fosse rimossa. Viene anche rilasciata una dichiarazione con le scuse del Direttore Esecutivo del Pulitzer Center. In particolare si affrontano le accuse al metodo e l’etica di chi ha riportato la notizia, come pure al ruolo del Centro nel sostenere il progetto. Inoltre si fa riferimento ad altri due articoli sullo stesso tema e dello stesso autore, uno dei quali presentava un’immagine ugualmente eccessiva e anch’essa rimossa dopo le critiche suscitate.
 
Il fotoreporter scrive di aver promesso ai familiari della bambina di aiutarli a fare giustizia, “in un posto dove la giustizia è privilegio di pochi”, aggiunge nell’articolo. In realtà risulta che in Uganda in questi casi si procede d’ufficio, e l’avvocato della parte lesa è pagato dal Governo. Inoltre si nota come la polizia è alquanto attiva nelle indagini, nonostante “difficoltà e limiti” che credo in ogni inchiesta si incontrano. Ma sembra far parte del gioco del suo articolo sfruttare ad hoc alcuni stereotipi sull’Africa. Probabilmente crede di provenire dal paradiso terrestre. Magari, inoltre, in quel suo paradiso immaginario la giustizia paradossalmente permette l’esumazione illegale dei cadaveri, farne foto e pubblicarle. Certamente si può dedurre che, dall’alto del suo personale giudizio di uomo civile in quanto occidentale, non crede che i morti meritino rispetto al di là della loro provenienza. Per questo si arroga il diritto di violare la dignità di chi è già vittima di un efferato delitto (qualunque sia la causa). Chi vuole difendere giustizia e diritti non può permettersi di calpestarli. Ovviamente se è davvero “in buona fede”, come dichiara nella sua risposta alle critiche.
 
Vuole convincerci (o convincersi?) di non essere andato in cerca di “un’immagine sensazionalistica”, ma voleva aiutare la gente a “comprendere l’enormità di questo crimine”. Perciò voleva scioccare con quella sensazionalistica immagine che nega di aver cercato?
 
Nell’articolo si legge che è difficile per lui “far capire loro la logica che lo ha condotto lì, la notte tardi”. Forse è incomprensibile anche per noi, visti i limiti di decenza che ha superato. Secondo lui quella logica è data da quella “stessa comprensione umana” che unisce culture “differenti”. Se comprendesse che siamo diversi ma non differenti, forse avrebbe capito che si può “combattere” contro realtà del genere, ma senza “esporre”. Senza esibirle come un trofeo.
 
C’è da auspicarsi che in futuro il Pulitzer Center si impegni a promuovere solo quell’informazione capace di presentare gli eventi “con profondo senso di responsabilità”, secondo la missione che li ispira. Lo stesso si spera per chiunque altro è impegnato nel campo dell’informazione. Il diritto di cronaca e la necessità d’informare non può trasformarsi in avidità per la notizia, ricerca dello scoop ad ogni costo. Soprattutto quando si affrontano temi delicati, non si può confezionare il tutto per essere usato come spettacolo d’intrattenimento. Sono necessarie sensibilità ed etica, insieme al rispetto delle leggi.

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