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Adesso che lo dice un premio nobel (Seconda Parte)


Si è già rilevato che la fine del XIX secolo è stata caratterizzata da buona parte della “seconda rivoluzione industriale†con innovazioni di grande momento, in cui la scienza con le sue ricadute tecniche scopre “nuovi continenti†e questi alimentano nuovi settori produttivi. Si preparano innovazioni di processo della portata del taylorismo-fordismo, vi sono decisive trasformazioni sociali con ascesa del “movimento operaio†. Importante è poi il passaggio all’impresa moderna poiché annuncia l’avvento della nuova formazione dei funzionari del capitale, che in alcuni decenni sostituirà il capitalismo borghese (di matrice inglese). Del resto, in un periodo di tempo appena più lungo, anche il movimento operaio verrà messo fuori gioco perché attardatosi, in tutte le sue correnti (la “comunista†in particolare), su una interpretazione del capitalismo di tipo economico e giuridico, di cui sono state considerate quasi solo le forme mercantili e proprietarie.

Adesso che lo dice un premio nobel (Seconda Parte)
Queste trasformazioni sono quelle decisive o prendono il davanti della scena riducendo a loro effetto quella che è la loro causa? Intanto va ricordato come siano quelle caratterizzanti gran parte del secolo XX, in senso appunto sociale e non meramente economico, fino alla “terza rivoluzione industriale” che si accelera e acquista particolare rilievo negli ultimi due decenni. Le “grandi depressioni” (1907 e 1929) stanno dentro l’epoca iniziata con la “lunga depressione”, non sono quindi della stessa natura e importanza di quest’ultima. Questo punto va rimarcato e tenuto fermo. L’epoca a cavallo tra otto e novecento è stata detta dell’imperialismo; tuttavia, troppo spesso confuso con il colonialismo, con la lotta tra potenze per la suddivisione del globo in gran parte ancora non capitalistico e contadino. Lenin intuì questa confusione, ma sbagliò affermando che, delle cinque caratteristiche da lui attribuite all’imperialismo, la più rilevante era la prima, la formazione del capitale monopolistico; anch’egli era d’altronde orientato dal marxismo (non esattamente dal pensiero marxiano) che metteva l’accento sulla centralizzazione e finanziarizzazione del capitale.
 
La caratteristica che si sarebbe dovuto valorizzare è invece l’ultima: la lotta tra potenze per la divisione del mondo in sfere d’influenza; una divisione continuamente rimessa in discussione a causa dello sviluppo ineguale delle formazioni capitalistiche (altra intuizione di Lenin) e dal conseguente mutamento dei rapporti di forza tra i vari gruppi nazionali capitalistici a livello mondiale. La “lunga depressione” di fine XIX secolo è sintomo e portato del declino dell’Inghilterra quale paese predominante (centrale) e della nascita di alcuni concorrenti (non certo in termini puramente economici) che si disputeranno la nuova predominanza. Innanzitutto gli Usa, le cui basi di nuova potenza in forte ascesa furono poste con la guerra civile o di secessione; inoltre la Germania (soprattutto dopo la guerra franco-prussiana) e appena più tardi il Giappone che inflisse una dura lezione alla Russia, frustrando le sue aspirazioni di diventare una di queste potenze e ponendo in evidenza la sua intrinseca debolezza (che la rese teatro della rivoluzione del ’17).
 
L’imperialismo è stato fin troppo caricato di singolarità. Ogni fenomeno storico è specifico; eppure è nello stesso tempo un seguito di eventi, alcune caratteristiche dei quali si ripresenta con diverse manifestazioni “puntuali”. Ho denominato multipolarismo la fase storica in cui una potenza declina e altre sorgono, in competizione fra loro, per prenderne il posto. L’epoca della “lunga depressione” è precisamente una fase di crescente multipolarismo che sarà poi seguita dal più aperto policentrismo conflittuale (con il suo seguito di eventi anche bellici assai radicali).
 
La “stagnazione” di fine ‘800 va così definita solo in termini di crescita economica (del Pil diremmo oggi); fu però epoca di grandi trasformazioni sociali, di innovazioni, di scoperte scientifiche, di mutamenti culturali, ecc. Soprattutto, appunto, cambiò radicalmente il quadro delle influenze geopolitiche delle varie nazioni/potenze. I rapporti di forza a livello internazionale si modificarono notevolmente ma in modo non immediatamente tanto visibile, non del tutto percettibile. A parte alcuni scontri bellici, ci fu un grande movimento di diplomazie, di bracci di ferro seguiti da superficiali mediazioni e riappacificazioni, ecc. La politica – il livello delle mosse tattiche e strategiche per attaccare e difendersi, per aggirare l’ostacolo o affrontarlo a muso duro, per mostrare la volontà di cooperare che nasconde la preparazione dei prossimi tranelli e giravolte, e via dicendo – si mostrò in tutto il suo “splendore” di inganno, menzogna, raggiro; in ogni caso di astuzia.
 
Sembra incredibile che in così pochi si accorgano che ci troviamo oggi in un’epoca multipolare, in cui gli Usa hanno ancora un “surplus” notevole di forza, ma non possono più comportarsi da “padroni” del mondo; ed ecco la loro tattica (o, se si preferisce, strategia) del “serpente” che prende il posto di quella della “tigre” di pochissimi anni fa. Ecco le altre potenze in rafforzamento, ma ancora troppo deboli per scontri più “robusti”, manifestare una tendenza al compromesso e ad “improvvisi” allineamenti alle posizioni statunitensi, che lasciano nello sconcerto gli sprovveduti sempre alla ricerca del loro “paladino”, cui affidare i loro sogni di una “Umanità rigenerata”. Piaccia o non piaccia, questo è il modo in cui una parte dell’Umanità (quella piccola parte che domina) si “rigenera” coinvolgendo drammaticamente tutti gli altri che non decidono nulla. Inaudito che, proprio nel paese del grandissimo Machiavelli, siano così numerosi gli incapaci di capire questa banale “verità”. O si segue l’evolversi di questa “rigenerazione” dei dominanti o è meglio ritirarsi a fare l’eremita, a contemplare le “eterne Verità” rivelate da Dio o da qualche “filosofo”, in vena di prendersi per Dio.
 
Siamo con molta probabilità dentro una fase che ricorda quella della “lunga depressione” di fine ‘800 perché stiamo entrando in un’epoca di multipolarismo, quella che precede l’aperto policentrismo. La “volta scorsa” l’umanità non ce la fece a liberarsi dei (pochi) gruppi dominanti – nazionali, o sciocchi sostenitori della “transnazionalità” che prende il posto del fallimentare “internazionalismo”! Ed è già fallita anch’essa – prima dell’affermarsi dell’aperto policentrismo con il suo seguito di drammi. Questa volta invece ci riuscirà? Non lo so, non sono nato per fare il profeta e nemmeno, più modestamente, colui che legge l’avvenire nella sfera di cristallo. Di una cosa sono certissimo: non si tratterà mai della Rivoluzione proletaria mondiale. Intanto allora, se vogliamo essere utili a qualcosa, seguiamo questa epoca multipolare, attrezzandoci a capire che quanto vien detto ufficialmente non è mai ciò che accade realmente.
 
Non semplicemente per malafede degli attori in gioco. Il fatto è che gli interessi contrapposti delle varie potenze non sono oggettivamente componibili. Fin che una di queste è nettamente superiore alle altre – epoca monocentrica: diciamo inglese tra il 1815 e metà di quel secolo o poco dopo; americana tra il 1991 e il 2001-3 – tutto sembra andare quasi bene (a parte le ricorrenti crisi economiche più o meno gravi o semplici “recessioni”). L’epoca bipolare fu qualcosa di eccezionale, una fase di pace nel “primo mondo” e di atrocità nel “terzo”. Una fase, i cui effetti durano ancora “per trascinamento”, ma cesseranno fra qualche tempo; e ancora non la si è compresa a causa dell’annebbiamento provocato dall’ideologia dello scontro tra capitalismo e “socialismo”. Adesso però cominciamo, per primi barlumi, a capire come il capitalismo fosse la formazione dei funzionari del capitale (ormai totalmente vincitrice del capitalismo borghese, che alcuni ritardatari si affannano a combattere ancora) mentre il “socialismo” era una nuova formazione sociale in gestazione, che oggi si esprime nella crescita di nuove potenze. La sfera economica di queste ultime è caratterizzata dalle forme del mercato e dell’impresa, mentre quella politica (gli apparati, ecc.) hanno diversità ancora non ben colte e valutate.
 
Una volta finito il bipolarismo, durato pochissimo il monocentrismo statunitense, il mondo è di nuovo nel caos. La potenza in solo relativo declino riesce ancora a difendersi e a contrattaccare efficacemente. Questo fatto è responsabile della mutazione della “recessione” in più aperta e netta “crisi”, di cui tutti vedono però soltanto il lato economico. Qualcuno, come Krugman, intuisce che non si tratta di “grande depressione” (tipo ’29) ma di “lunga depressione” come alla fine dell’800. Non si capisce però che si tratta di fenomeni diversi, per niente ben espressi con il ricorso ad aggettivi come “grande” e “lunga”. E’ più che probabile (non credo a soluzioni diverse) che gli Usa non riprenderanno (non pacificamente almeno e non a breve termine) la predominanza monocentrica; per cui si rinunci all’idea del centro regolatore di un sistema economico uniformemente capitalistico con le sue “normali” crisi economiche periodiche. Tale paese è però in grado di resistere, ed in questa resistenza metterà in atto tutte le manovre possibili, fra cui quelle economiche e finanziarie, uno strumento della politica (come insieme di mosse tattiche e strategiche).
 
Gli attori di queste mosse credono a volte di poter inseguire la “cooperazione”; solo che ognuno vuole che questa sia vantaggiosa per lui e, quando vede che così non è, pensa siano gli altri a ingannarlo, si mette in sospetto e reagisce. Alla fine ognuno si muove con intenti di raggiro, per cui le intenzioni dichiarate sono del tutto diverse dagli obiettivi perseguiti. Non basta. Quando gli attori cominciano ad essere in discreto numero, e in grado di pensare e agire per i propri interessi, il risultato delle azioni è differente da quello perseguito da ognuno di essi. Nessuno è soddisfatto e ognuno attribuisce questa insoddisfazione o alla malafede degli altri oppure – quando si tratti di attore di fatto subordinato ad altro più forte (mettiamo l’Italia nei confronti degli Usa) – si inventa diversivi del tipo della “mancanza d’etica” negli affari, dei banchieri troppo avidi di forti guadagni, da colpire con durezza salvo poi fare dietrofront per paura di ulteriori collassi (sappiamo di chi si sta parlando, no?).
 
Prima di arrivare al policentrismo con i suoi duri scontri anche bellici (molto diversi sicuramente dalle guerre novecentesche), è possibile sperare nel rovesciamento dei gruppi dominanti (e subdominanti)? Finora non ci si è riusciti, ma sperare è sempre lecito. Ogni speranza va però abbandonata se non si capisce a quale fenomeno siamo di fronte, in quale epoca stiamo vivendo. Oggi, a parte questo barlume (però distorto e quindi alla fin fine sviante) di un Krugman, abbiamo solo molti chiacchieroni che si buttano a pesce sulla “superficie” della fase storica (certo drammatica per i singoli, per i dominati, non lo nego) creando il più grande caos di idee che si possa immaginare. O riprendiamo il timone in mano o “andiamo al diavolo”.

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Gianfranco La Grassa

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