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A volte la memoria... Aeropolis, un’inchiesta del 2000

Ripropongo, a otto anni di distanza un reportage-inchiesta che realizzai nel 2000. Rileggendolo mi sono reso conto che, sulla crisi Alitalia e su quello che sta succedendo all’intero sistema aereo e aereoportuale italiano, della storia di una crisi che da più di vent’anni caratterizza il settore poco si sa e poco, soprattutto, si racconta.

Ad ascoltare non le voci degli altoparlanti, ma quelle di chi ci lavora, nel grande aeroporto di Roma, si possono sentire storie stravaganti. Si racconta, tanto per fare un esempio, di un dipendente al carico dei bagagli sugli aerei, con contratto part time e con straordinari e turni molto, ma molto lunghi, che, stremato, si è addormentato nella stiva di un aereo e si è risvegliato a New York.

 
Al primo impatto l’aeroporto è la metafora della modernità, del trasporto veloce, della ricchezza e dello sviluppo. Pulizia, colori brillanti, labirinti di scale mobili, corridoi, parcheggi, sale e vetrate. Qui sembra funzionare tutto: ogni tanto qualche ritardo, qualche contrattempo, certo, ma può succedere dovunque.
 
A far marciare il tutto è il "modello Alitalia", che, riassunto in poche parole, è la somma di deregolamentazione più riduzione del personale più ricorso sempre più massiccio al lavoro precario (anche in volo, attraverso la società Alitalia Team, alla faccia della sicurezza e della professionalità) più stratificazioni dei contratti più abbassamento del livello di formazione professionale più uso diffuso di appalti esterni. "Per le voragini di bilancio del passato praticamente nessuno ha pagato - dice Roberto Bellotti, delegato del Sulta (il sindacato del trasporto aereo) - delle scelte che si fanno in questo momento probabilmente nessuno risponderà in futuro. Eppure il "modello Alitalia" sarebbe da esportare alle Fs e all’Atac a Roma, senza sapere quali siano state le sue conseguenze dove è già operativo da tempo".
 
Con l’avvicinarsi del Giubileo, come è noto, si vuol cancellare il diritto di sciopero per tutti i lavoratori del sistema dei trasporti romano. Ma i lavoratori di Fiumicino questa politica la conoscono già da circa un decennio, con un accelerazione negli ultimi. Prima di tutto, il largo uso del lavoro precario che viene fatto dalla Aeroporti di Roma, la società che gestisce sia lo scalo di Fiumicino che quello di Ciampino. Attualmente sono impiegate circa 1.600 "unità" stagionali "a terra", in gran parte nei servizi (catering, pulizie, accoglienza, bagagli), ma anche in funzioni delicate come quelle "in pista". A questi vanno aggiunte alcune centinaia di dipendenti Alitalia, fra i quali anche lavoratori con impieghi di grande responsabilità, come la manutenzione degli aerei nelle officine.
 
La giungla di contratti e collaborazioni occasionali, di stratificazioni, di appalti e subappalti rende l’Aeroporto intercontinentale di Fiumicino un vero e proprio laboratorio della deregulation da terzo millennio.
 
Già negli anni ottanta la società Aeroporti di Roma - che ha una convenzione con la Regione fino al 2040 - appaltava i servizi a circa settanta società esterne. In questi ultimi anni questa quota è aumentata. Praticamente tutti i settori di terra sono in mano a ditte esterne e la società Aeroporti di Roma si limita quasi soltanto a verificare che i servizi vengano erogati e a progettare interventi per il futuro. Questa situazione ha consentito la nascita di una vera e propria frammentazione contrattuale, allargando a dismisura la quota di lavoro precario, soprattutto nei settori di nuovo impiego e formazione. Sono i giovani a farne le spese. Si possono trovare differenze contrattuali e retributive tra dipendenti con pochi anni di differenza e a parità di mansioni: differenze di centinaia di migliaia di lire al mese sulla busta paga.

 
Il servizio di catering, per esempio, cioè il rifornimento di pasti agli aerei, per sette anni è stato in mano all’Alitalia, poi è diventato Aeroporti di Roma e oggi è stato venduto a una società privata, la Ligabue (il signor Ligabue è stato il candidato del Polo alle ultime comunali di Venezia). Se un dipendente tredici anni fa guadagnava circa due milioni al mese, oggi riesce a portare a casa circa un milione e duecentomila lire. Potere delle privatizzazioni. E in questi tredici anni sono nate anche delle nuove figure di lavoratori, come quella dei "precari a vita". Alla Ligabue venticinque addetti al catering sono assunti con contratti stagionali, lavorano sei ore al giorno per sei o al massimo sette mesi all’anno. Ma, spesso, i part time si trasformano in tempi pieni con l’uso smodato di straordinari, che straordinari poi non sono visto che fino a 40 ore settimanali (per chi ne dovrebbe fare 30) non vengono definite ore aggiuntive, bensì "super ore part time" e pagate normalmente: un trucco che ha avuto successo anche grazie alla distrazione dei sindacati confederali.
 
"Qui c’è gente che da più di un decennio non ha accesso ai diritti più elementari - racconta Vittorio Montella, dipendente dell’azienda e iscritto alla Cgil - Dalla previdenza, al trasporto aziendale, dalla mensa a una normale ripartizione dell’orario di lavoro. Un precario con trenta ore settimanali in contratto, spesso si ritrova a lavorare solo due giorni alla settimana con turni di 15 ore. E parlo anche di gente che fa il servizio in pista, dove i problemi della sicurezza sono innumerevoli". L’addormentato sul volo per New York apparteneva a questa categoria.
 
Un giovane che entra a lavorare alla Aeroporti di Roma, o meglio nel labirinto di società che hanno ottenuto gli appalti, difficilmente riuscirà a accedere, dopo due o tre anni di contratti stagionali, come accadeva nella prima metà degli anni Ottanta, alla fascia dei dipendenti a contratto a tempo indeterminato. Inoltre, la formazione di lavoratori con funzioni specializzate non è più quella di alcuni anni fa: se nel ’90 servivano trenta o quaranta giorni per addestrare un addetto alle piste, oggi dopo una settimana si mandano allo sbaraglio i neoassunti con rischi personali e per la sicurezza dello scalo e dell’utenza gravissimi. Quanto all’Alitalia propriamente detta, qui la situazione è paradossale. Molti giovani dipendenti assunti come stagionali (quindi per pochi mesi l’anno) lavorano invece undici mesi l’anno, poi vengono licenziati, richiamati a distanza di venti giorni per una visita medica e un colloquio di lavoro (come se non fossero già conosciuti da tempo dall’azienda) e infine riassunti e reintegrati esattamente nelle funzioni che ricoprivano prima. Un modo come un altro per non pagare le ferie ai dipendenti? Lo stesso fanno altre aziende presenti nello scalo. Un altro trucco, che sembrava essere prerogativa esclusiva della Rai. Di conseguenza, il clima che si è creato fra gli stessi dipendenti dell’intricato arcipelago di società che lo gestiscono non è certo sereno. La stratificazione contrattuale crea una situazione generale di incertezza e di sospetto. Così, il diritto di sciopero viene continuamente rimesso in discussione dall’azienda.
 
Molti dipendenti "anziani" ad esempio cercano, attraverso le assunzioni stagionali, di piazzare i propri figli disoccupati. "Prima di uno sciopero mi è venuto a trovare un collega - racconta Bellotti - e mi ha detto che non avrebbe partecipato perché altrimenti rischiava di mettere a rischio l’assunzione di suo figlio". La vicenda dei tesserini della sicurezza è ancora più illuminante: chi non lo possiede non lavora e se non ce l’ha, dopo qualche tempo perde il posto di lavoro. Ma per avere il tesserino sono necessarie le firme di tutti gli enti che governano l’area aeroportuale (polizia, finanza, carabinieri, dogana, direzione aeroportuale, ministero dei trasporti…), sei o sette timbri insomma, e basta l’assenza di una di queste firme per annullarne la validità. Rifare il tesserino richiede una trafila burocratica complessa e difficile. Questi nullaosta, peraltro, possono essere sempre revocati, basta fare la telefonata giusta alla persona giusta e il lavoratore "scomodo" è servito. Nessuna lettera di licenziamento, nessuna motivazione ufficiale.
 
Vittima di questo meccanismo, un giovane precario che aveva partecipato a alcune agitazioni sindacali durante l’estate racconta: "Senza il tesserino non lavori e proprio grazie alla sospensione di alcune autorizzazioni mi sono ritrovato a non poter più accedere aii locali e alle aree dove il mio lavoro si svolgeva. Il tipo di contratto che avevo non mi garantiva in nessun modo: se non hai l’autorizzazione a non entrare non puoi lavorare e quindi sei fuori ".
 
A un anno dal Giubileo e dopo la "batosta" dell’apertura dello scalo di Malpensa 2000, la questione del lavoro all’aeroporto di Fiumicino sembra aver preso una forma precisa. il "modello" ha raggiunto risultati impensabili fino a pochi anni fa: riduzione del potere contrattuale, abbattimento dei costi del lavoro, smembramento del diritto di rappresentanza, deregolamentazione. Il paradosso più evidente è che anche uno sciopero, alla fine, riesce a essere funzionale alla politica delle aziende del settore: facendosi scudo degli utenti, non solo si riduce ulteriormente il diritto alla contrattazione, ma si nascondono le vere origini della situazione di disagio diffuso fra dipendenti e addetti: in questo paese il settore dei trasporti sembra aqbbia solo un destino di tagli, riduzioni di produttività e frazionamenti ulteriori.
 
Non a caso, il governo non ha mai dato vita alla più volte promessa Conferenza nazionale sui trasporti.
 
"Ogni tre anni c’è una stella marina, ogni tre stelle c’è un aereo che vola". Sopra le nostre teste, in qualsiasi momento della giornata, stanno transitando più di venti milioni di persone: questa è la mole mondiale del traffico aereo, settore sempre più strategico nella globalizzazione. Un settore in crescita vertiginosa. Ma, se il trasporto aereo sta vivendo a livello internazionale un momento di grande espansione, all’aeroporto intercontinentale di Fiumicino, la più grande "fabbrica" del Lazio, con più di 28 mila occupati, è stata invece avviata un’operazione aziendale che mira a una riduzione drastica del personale e a una precarizzazione senza precedenti. Identica operazione si sta verificando all’interno della nostra compagnia di bandiera, l’Alitalia, che rappresenta per lo scalo della Capitale oltre il 60 per cento del traffico complessivo. E non si tratta solo dell’effetto diretto dell’apertura dello scalo di Malpensa 2000, ma di una vera e propria tendenza in tutto il sistema italiano di trasporto aereo. I numeri sono significativi: 1.600 precari nel solo aeroporto di Fiumicino. Altri quattrocento stagionali Alitalia negli scali dell’Italia centrale. Il rapporto fra Alitalia e Aeroporti di Roma ha rappresentato sempre un’anomalia: in origine, tutt’e due le società rientravano nell’Iri, e più volte si sono ritrovate a mettere in atto operazioni finanziarie e proprietarie a dir poco azzardate. Non a caso, per un certo periodo, l’Alitalia ha detenuto una quota consistente delle azioni Aeroporti di Roma, consentendo così un giro di denaro fresco nelle casse della società gestrice. Una società dell’Iri che compra, attraverso un’altra società dell’Iri, un pezzo di una terza società dell’Iri: solo per mettere in movimento denaro.

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