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Social Network: a chi regaliamo i nostri dati?

Settimane intense per i social network più amati del web, con i soliti pessimi risultati per la privacy dei loro utenti. Non è più una novità ormai, periodicamente vengono pubblicate notizie che mettono in dubbio la capacità o la volontà dei grandi social network di garantire la gestione della privacy sui dati.

Da un lato, Google decide di cambiare le sue policy riunendo tutti i database dei loro utenti. Questo nella pratica significa che adesso Google potrà collegare le vostre ricerche, la pubblicità su cui cliccate, la navigazione tracciata attraverso i cookies, i contenuti delle vostre email, la vostra cerchia di amici su G+. Tutti questi servizi che in precendenza erano separati diventeranno una unica grande sorgente di informazioni su di voi. Lo fa con i soliti modi rassicuranti da genitore, informandovi che il cambio di policy è qualcosa di cui dovete essere consapevoli: "this stuff matters" recitava la home page.

Anche Facebook non si smentisce e invece, con i suoi soliti modi da adolescente che ignora le regole conferma che per via di un piccolo problema tecnico le foto che gli utenti hanno deciso di cancellare anche tre anni fa, sono sempre online. Ma ci stanno lavorando.

I modi ci dicono su chi l'azienda vuole fare presa, sui più esperti ("vogliamo che sappiate che teniamo al rispetto della vostra privacy") o sui più giovani ("privacy? ma che v'importa!"). L'immagine, che sia rassicurante o scanzonata non cambia la sostanza: i nostri dati sono in mano a due grandi aziende che rispondono ai loro investitori ed il loro modello di business si basa sulla capacità di tracciare profili degli utenti per inviargli pubblicità.



Tutti sanno che su un social network semplicemente non esiste la privacy. Quello che pensate di dire solo ai vostri amici, lo dite anche ad aziende che vogliono monetizzare le vostre parole. Ma, d'altra parte, i social network svolgono un ruolo nelle nostre vite e riescono in parte a ricostruire quell'ambiente sociale che ci permette di collaborare e condividere fuori dalla rete.

L'immagine che le piattaforme offrono ci aiuta a fidarci di loro e sceglierne una al posto di un'altra. Sentirsi rassicurati da un'azenda seria e competente oppure sollevati grazie ad un approccio leggero ci fa scordare chi sono i nostri fornitori di servizi. Anche se nella pratica i modelli di business sono simili, l'immagine in questo caso cambia la sostanza.

Qualche volta però vale la pena fare uno sforzo per recuperare la sostanza oltre l'immagine e ricordarsi chi sono le aziende che scambiano dati per servizi: sono aziende quotate in borsa o pronte a farlo, in continuo conflitto con le autorità europee, vittime di svariate class action (più o meno utili), pronte a patteggiare centinaia di milioni di dollari di multa per aver lucrato sull'importazione illegale di medicinali.

E' difficile smettere di usare un social network, ma alla fine bastano pochi link per rinfrescarci la memoria e tenere in esercizio un senso critico che ci impedisca di fare errori difficili da cancellare.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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