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A Ballarò la questione Rai diventa spot elettorale

 

In una società mediatica, la comunicazione investe e travolge tutto, anche la politica. Modifica la natura del partito, che da fucina di idee e progetti per la gente, diventa fabbrica del consenso, che in questa funzione, antepone la frase ad effetto al ragionamento, la capacità di un progetto di bucare il video e quindi di produrre voti, alla sua validità. È questo il teatrino della politica, dove le indicazioni politiche del presidente del consiglio sulla Rai non definiscono i capitoli di una riforma ma diventano un misero spot elettorale, tanto più misero e meschino quanto più impellente è la necessità di una ristrutturazione aziendale e politica dell'emittente pubblica. E ciò succede quando frasi importanti ed impegnative come "la Rai appartiene ai cittadini", vengono lanciate sul tavolo mediatico di Ballarò, come frasi ad effetto scollegate da un processo di riforma che contempli un reale coinvolgimento degli abbonati nella gestione dell'emittente.

Se la Rai è dei cittadini, allora i cittadini devono scegliere Presidente, consiglieri di amministrazione e Direttore generale. E ciò pone sul tappeto il ruolo degli utenti nella gestione dell’azienda, e della legittimazione del loro potere di nomina, derivanti e giustificate dallo status degli utenti di destinatari finali del servizio pubblico, e del loro apporto finanziario alle casse dell'azienda. 

La fattibilità di questa ipotesi di riforma passa attraverso la pubblicazione su internet dei curricula dei candidati alla dirigenza Rai, così da mettere i cittadini in condizione di scegliere -e di controllare- i soggetti che aspirano alla nomina, le loro capacità, le loro esperienze.

E per altro verso, non è possibile tagliare risorse alla Rai, e cosi decidere il destino di un'azienda pubblica sull'onda di una campagna elettorale. Occorre tener conto che l'azienda pubblica non è un monopolista unico, e che ciò che succede alla Rai ha riflessi sulle altri emittenti. E allora è insensato parlare dell'emittente pubblica senza ponderare pesi e contrappesi, al di fuori di un rapporto di equilibrio con le società concorrenti

Eliminare gli sprechi è cosa buona e giusta per un' azienda, se il taglio è diretto a renderla più efficiente sul piano del risparmio, dell'utilizzo ottimale delle risorse, e non si traduce in un favore alla concorrenza. Tagliare 150 milioni all'azienda pubblica, senza bilanciare questo taglio con un intervento sulle emittenti private, significa favorire queste, a danno della Rai. Floris è stato molto chiaro al riguardo. Ma è un problema che può essere risolto facilmente. Se lo Stato per ragioni di cassa deve tagliare 150 milioni di euro alla Rai, può bilanciare questo taglio con un aumento del canone di concessione delle emittenti private. E d'altra parte se è giusto limitare la pubblicità Rai, per favorire il privato che non ha il canone, è giusto aumentare questa pubblicità quando le risorse statali alla Rai diminuiscono.

È giusto recidere i legami tra Rai e politica, ma anche tra emittenti private e politica, e quindi risolvere alla radice il problema del conflitto d'interessi. E se i partiti non devono utilizzare la Rai per fare più consenso, è anche giusto che tale divieto operi anche in altre aziende. Se è giusto assicurare la par condicio a partiti e movimenti, è anche giiusto che ciò avvenga sempre e dovunque.

A Ballarò la questione Rai è stata ridotta da Renzi ad uno spot elettorale. Un ulteriore segno del degrado della politica, ma quando non contano la validità e giustezza delle ragioni di ciò che si dice o si propone, bensì la loro capacità di attrarre elettori e telespettatori, allora può succedere che la questione Rai anzichè essere oggetto di confronto dialettico di analisi, di valutazioni e di proposte, diventi uno spot.

 

Foto: Wikimedia

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