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6 maggio: no Cie, no CARA

Martedì 6 maggio 2014, alle ore 18.30, davanti alla Prefettura di Milano - corso Monforte 31 - avrà luogo un presidio di protesta contro la riapertura del Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE) di via Corelli 62 e l’apertura del Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA) nel capoluogo lombardo.

Nonostante l’apparente contrarietà del Comune ospitante la struttura e di diverse figure politiche di rilievo, la tanto dibattuta riapertura del CIE di via Corelli è prevista per l’estate 2014 e accanto a esso sorgerà una nuova struttura per l’accoglienza e il soggiorno dei rifugiati richiedenti asilo, il CARA.

L’ex Cpt (Centro di permanenza temporanea) milanese venne costruito nel 1998, quando il periodo limite di permanenza nei centri previsto dalla legge Turco-Napolitano per i migranti irregolari era di 30 giorni, e la struttura non ha subito interventi o modifiche nemmeno dopo che, nel 2002, con l’entrata in vigore della legge Bossi-Fini, il limite di permanenza passò da 30 a 60 giorni.

La gestione del centro, chiuso di fatto dall’autunno 2013 in seguito a mesi di proteste che lo hanno reso inagibile in diversi settori, è stata rifiutata dalla Croce Rossa Italiana, la quale se n’è occupata fino alla sua chiusura, in quanto il compenso giornaliero corrisposto è stato considerato troppo basso. Decisiva per la riapertura della struttura è stata la vittoria del bando di assegnazione al ribasso da parte della società francese Gepsa, specializzata nella gestione di carceri private e gestita dalla multinazionale Gdf Suez, che, insieme all’associazione culturale Acuarinto, con 40 euro al giorno per persona intende gestire vitto, alloggio e diritti di assistenza per un massimo di 140 migranti in attesa di giudizio.

Fra le associazioni promotrici del presidio di protesta vi sono diverse realtà operanti nel territorio lombardo quali il comitato Milano senza frontiere, Arci e Nella stessa Barca, che per l’adesione all’iniziativa fanno riferimento al centro Naga di Milano, associazione di volontariato laica e apartitica che dal 1987 opera per promuovere e tutelare i diritti di tutti i cittadini stranieri, rom e sinti senza discriminazione alcuna.

 

Giulia Raimondi per "Segnali di Fumo" il magazine dei diritti umani

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.144) 6 maggio 2014 00:34

    L’idea di accogliere tutti non piace neanche agli stessi extracomunitari regolari che non vedono distinzioni tra chi cambia paese per lavorare e chi per delinquere.

    Avere un CIE ed un CARA serve appunto a contrastare il fenomeno degli extracomunitari irregolari che delinquono e mettono in cattivissima luce anche quei poveretti che lavorano dalla mattina alla sera. 
    Non è opportuno fare lotta politica di principio su fatti specifici così importanti per una società complessa metropolitana come è adesso Milano.
    Fate proteste credibili dove possano riconoscersi la maggior parte dei cittadini milanesi.
    CIE e CARA in ogni provincia italiana.
    • Di (---.---.---.166) 7 maggio 2014 10:24

      Il tuo bisnonno, o il mio, o quello del vicino di casa è stato prigioniero senza reati in un CIE di un secolo fa.
      Se il nostro Paese va avanti così, prima o poi toccherà anche a me e a te.
      E quando toccherà a noi, non ci perdoneranno niente: ne le prigioni mascherate da centri di accoglienza, ne i morti in mare, ne le espulsioni di profughi di guerra.
      Io ci penserei prima di scrivere cazzate, dall’alto di un Paese che quarant’anni fa era di pezzenti e tornerà presto ad esserlo.

    • Di (---.---.---.106) 11 maggio 2014 18:57

      I CIE e CARA sono centri di detenzione per chi commette il reato di essere.
      Per stabilire l’onestà di una persona e se è un vantaggio per la nuova società che la accoglie bisogna darle una possibilità, cosa che viene negata dalla condizione di irregolarità con la quale spesso il migrante viene a contatto col nuovo Paese.
      Qui non si parla di accoglienza illimitata e tanto meno si pratica del buonismo verso i delinquenti: al di là del Paese in cui una persona è nata, se delinque va punita, si vuole solo spezzare il circolo vizioso de "non si può trovare lavoro regolare senza documenti, MA senza lavoro non si possono fare documenti", così che le persone oneste vengano riconosciute.


      Oltretutto, la proposta del comune di Milano era quella di trasformare la struttura di via Corelli in un centro di primo soccorso per i profughi, che poi sarebbero stati accompagnati al confine per raggiungere altre mete europee, quindi in ogni caso non si sarebbe presentata la condizione de accogliere tutti non piace neanche agli stessi extracomunitari regolari che non vedono distinzioni tra chi cambia paese per lavorare e chi per delinquere."




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