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25 aprile e La Russa, il ministro che offende la Resistenza

Quando si rivestono cariche pubbliche, quando si rappresenta il popolo, bisognerebbe porre sempre molta attenzione a ciò che si fa e si dice, per dimostrare in ogni momento dinanzi ai cittadini di essere veramente degni dell’incarico ricevuto. Non solo perché lo prescrive la Costituzione italiana, che ormai si vorrebbe ridurre a carta straccia, laddove all’articolo 54 secondo comma esige che “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore…”, ma perché prima di tutto lo imporrebbe il buon senso.

Ovvietà negli altri Paesi, non in Italia dove il senso della responsabilità e delle istituzioni da parte dei politici è oggigiorno, salvo rare eccezioni, vicino allo zero.

I numeri da varietà messi in scena, senza vergogna, dal premier Berlusconi nei consessi internazionali sono vari e noti. Gaffe, gag, battutacce, volgarità, minacce alla libertà d’informazione costituiscono il pezzo forte del repertorio del “trentacinquenne” presidente operaio-imprenditore-ferroviere.

Il Dorian Gray di Palazzo Chigi tra l’altro, dobbiamo ammetterlo, si rivela sempre imbattibile nella scelta dei ministri. Che spesso riescono addirittura a superarlo nella gravità delle affermazioni pubbliche. Deve aver fatto loro provini di alto livello, tipo le selezioni dei reality in onda nelle sue televisioni. Dal Grande Fratello al Gran Consiglio del berlusconismo. Il rigido meccanismo dell’attenta cernita, che promuove solo personaggi efficacemente comunicativi, non può infatti che essere lo stesso se finora nei suoi governi Silvio da Arcore ha nominato ministri, dopo averli vagliati con cura, degli “statisti” telegenici ed arguti come Pietro Lunardi il quale sostenne che con la mafia bisogna convivere, Umberto Bossi che vilipese il tricolore, Cesare Previti che è stato condannato in via definitiva per corruzione di giudici. Sceglie puntualmente fior da fiore.

Quale altro capo del governo al mondo potrebbe vantare amici più autorevoli?

Ma l’ultima (non illudetevi, certamente ne seguiranno altre) bordata alla decenza e alla storia del nostro Paese l’ha sparata Ignazio Benito Maria La Russa, attuale ministro della Difesa, secondo il quale “i partigiani rossi non possono essere celebrati come portatori di libertà”. Queste le sue perentorie parole, pronunciate con perfetto tempismo alla vigilia delle celebrazioni del 25 aprile. Quando si dice la puntualità dello sciacallo.

Qualcuno, per cortesia, gli riferisca che è ministro della Repubblica italiana, non della Repubblica di Salò. La Russa dimostra di essere ancora nero, come un pezzo d’antracite, fino al midollo. E non fa proprio nulla per nasconderlo. Del resto, militò fino al 1995 nel Movimento sociale italiano, il partito di estrema destra fondato da ex fascisti e reduci della Repubblica sociale. Proviene, insomma, dalla galassia del neofascismo. Altro che abluzioni nelle acque di Fiuggi, camuffamento in An e confluenza nel placido Pdl.

L’Ignazio Benito novello pidiellino, “diciaaamolo” – così lo imiterebbe Fiorello – sotto il doppiopetto vorrebbe indossare ancora l’orbace: si vede lontano un miglio che è un nostalgico dei tempi della Repubblica sociale. Abbia, almeno, il coraggio e l’onestà di confessarlo.

Le parole però, dovrebbe saperlo, certe volte sono pietre. E se le pronuncia un ministro diventano macigni. Specie se sono bestialità. Qui, infatti, non si tratta di esprimere opinioni in merito ad una gara di calcio domenicale, su di un rigore non fischiato dall’arbitro.

No. Qui è accaduto che un ministro della repubblica ha adoperato la libertà d’espressione per offendere, ribaltare la storia e diffondere falsità. Un rappresentante del governo ha scientemente infangato una pagina dolorosa e gloriosa della storia nazionale. E’ come se avesse imbracciato una doppietta (La Russa, se preferisce, può pure leggere moschetto) e premuto il grilletto contro la verità dei fatti.

Lui, ministro in carica della Repubblica, “sparando” sulla Resistenza ha così impallinato, con un sol colpo, Costituzione e Repubblica. Perché Costituzione e Repubblica, con i loro valori di libertà, uguaglianza e democrazia, sono figlie della Resistenza che in Italia è stata movimento di Liberazione dai nazisti e dai loro servi-alleati fascisti, i veri nemici della libertà e responsabili dell’infausta dittatura. Il Cln (Comitato di Liberazione nazionale), costituitosi subito dopo l’Armistizio, era formato dai partiti antifascisti (il partito comunista, il partito socialista di unità proletaria, il partito d’azione, la democrazia cristiana, la democrazia del lavoro, il partito liberale), che predisposero il reclutamento partigiano per conquistare la libertà. La storia è storia, non un’opinione. E un ministro non può permettersi di stravolgerla se a lui non piace.

“I partigiani rossi”, unitamente a quelli cattolici, azionisti e agli altri antifascisti, furono animatori della Resistenza, strenui combattenti, e diedero un contributo essenziale alla lotta di Liberazione.



I partigiani furono “i ribelli della montagna”. Sui monti, dove patirono il freddo di due inverni (1943 e 1944), organizzarono la Resistenza tra mille sacrifici e pericoli, ma vennero definiti con disprezzo “banditi”. Molti di loro furono catturati, imprigionati, torturati e uccisi dalle belve nazifasciste. Offrirono un tributo altissimo di sangue per la libertà dell’Italia. Molti paesi e città vennero liberati dai partigiani ancor prima dell’arrivo degli Alleati. Quei partigiani, di ogni colore, furono, anche se La Russa non lo ammetterà mai viste le sue radici, eroi. Lo dice la Storia.

Esiste un libro che, a mio avviso, più di altri dovrebbe essere letto nelle aule delle scuole italiane. Si intitola: “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana”. Lo trovai anni fa nella libreria di famiglia. Ricordo di averlo letto in età di seconda liceo. Una lettura angosciante, straziante, sconvolgente ma necessaria, indispensabile. Lì si comprende bene cosa fu la Resistenza, chi ne fece parte e a quale prezzo, chi furono le vittime e chi, invece, i carnefici, chi combatté per la libertà e chi si ostinò a rimanere dalla parte sbagliata continuando a difendere il regime. E leggendo quelle lettere capii chiaramente quali sarebbero stati per sempre i miei eroi.

Ora, sfogliando nuovamente quel libro, ritrovo in quelle pagine le parole di Violante Momesso, ventunenne veneziano, falegname, comunista e partigiano della brigata “Venezia”, arrestato e incarcerato nel gennaio 1944: “Nessun essere umano può immaginare a quali patimenti e sofferenze noi siamo soggetti. Figuratevi che siamo rimasti, anzi ci hanno lasciato (i tiranni fascisti), per circa cinque giorni senza acqua”.

Lo scrisse ai suoi genitori poco prima di essere fucilato per rappresaglia il 28 luglio ’44. E le parole di Giovanni Mecca Ferroglia, diciottenne torinese, elettricista e partigiano nell’ottantesima brigata “Garibaldi”, fucilato l’8 ottobre 1944 al poligono nazionale del Martinetto, a Torino, da un plotone della guardia nazionale repubblicana: “Mi portarono via dalle carceri legato come un delinquente, sbattendomi sul banco degli accusati. Chiesero la mia condanna a morte col sorriso sulle labbra ed hanno pronunciato la mia condanna ridendo sguaiatamente come se avessero assistito ad una rappresentazione comica”.

O, ancora, le parole di Luigi Ciol, diciannovenne veneziano, partigiano della brigata “Iberati”, torturato nelle carceri di Udine e fucilato il 9 aprile 1945 con altri 28 partigiani: “Una idea è una idea e nessuno la rompe. A morte il fascismo e viva la libertà dei popoli”. E moltissime altre, tutte nel nostro cuore.

La Russa sembra ignorare queste voci. Le voci di coloro che seppero schierarsi dalla parte giusta. Chissà, forse egli è altrettanto dimentico anche della collaborazione che le brigate nere fornirono agli aguzzini delle Ss nelle stragi orrende contro la popolazione civile italiana, come l’eccidio di Marzabotto sull’Appennino emiliano dove nel 1944 furono uccisi centinaia di anziani, donne e bambini. Nel caso, se lo faccia raccontare direttamente dai superstiti. Perché, come qualcuno se ne sarà accorto, La Russa funziona ad intermittenza, come le lucette natalizie. Ogni tanto si riaccende, e la polemica si infiamma.

Già si era acceso qualche mese fa, l’8 settembre scorso, quando ebbe a dire: “Farei un torto alla mia coscienza se non ricordassi che altri militari in divisa, come quelli della Nembo dell’esercito della Rsi, soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla storia d’Italia”.

Lui, insomma, è uno che insiste su questi temi. Ecco gli piace, più che la storia, riscrivere la storia. Tenta, è evidente, di inserirsi nel clima di pericoloso revisionismo che oggi serpeggia nel nostro Paese: in Parlamento, come è noto, è già stata presentata una proposta di legge (n. 1360) che equipara repubblichini di Salò e partigiani. Il cerchio, dunque, si sta chiudendo. La tattica è chiara, lurida.

Ora, appunto, La Russa è tornato all’attacco sfregiando l’immagine di una componente importante della lotta partigiana, nel triste stile della peggiore rappresaglia. A che titolo si arroga il diritto di revocare ai partigiani rossi la patente di liberatori?

In altri luoghi, il ministro recidivo sarebbe stato costretto a dimettersi ma noi viviamo in un Paese alla rovescia, dove un vignettista viene sospeso dalla tv pubblica per aver fatto satira, ovvero il suo mestiere, mentre un ministro della repubblica, abusando del suo incarico e di un diritto costituzionalmente garantito, può impunemente offendere la memoria di eroi e martiri nazionali, decorati con medaglie d’oro e ai quali nelle città d’Italia sono dedicate vie e piazze. E ciò avviene non solo tra l’indifferenza quasi totale della stampa (chissà perché?) ma anche tra il silenzio delle più alte cariche dello Stato che hanno taciuto sull’affondo squadrista di La Russa. Ciò è triste ed inquietante.

La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”, affermò Piero Calamandrei nel 1955. E oggi, in Italia, tira una brutta aria. Ecco perché occorre che i cittadini, che amano la libertà e la democrazia, resistano a questo disegno perverso di cancellazione della memoria collettiva. Bisogna ribellarsi pacificamente, civilmente, democraticamente, ma con determinazione.

Opporsi a ciò significa ergersi a baluardo di quel prezioso patrimonio di ideali che ci è stato consegnato in eredità da quei giovani che sacrificarono perfino la loro stessa vita perché anche noi fossimo uomini liberi, significa non stancarsi mai di raccontare questa pagina di storia, significa celebrare il 25 aprile, significa rispondere sempre, colpo su colpo, alle calunnie che certi indegni rappresentanti delle istituzioni seguiteranno a spargere ancora grazie ai loro influenti mezzi.

Significa non arrendersi mai e non dimenticare. Ognuno lo faccia, nel suo piccolo, come può. Trovando la forza, magari, proprio nelle ultime parole di quei partigiani, ribelli non per odio ma per amore della libertà. E’ l’esempio di tutti i partigiani della Resistenza, “rossi di sangue e carichi di gloria nel fior degli anni”, ad indicarci la strada della tenacia.

Perché altrimenti, se rinunceremo, calerà davvero la notte sulla nostra Repubblica. 

Commenti all'articolo

  • Di Ferdi (---.---.---.14) 23 aprile 2009 14:40

    Caro Scipolo,
    dobbiamo avere pazienza.
    L’italia è caduta in una fossa per mancanza di alternative.
    Passerà anche questo momento buio, nel mentre possiamo solo scrivere e denunciare, sperando che qualcuno si ravveda.

  • Di franca (---.---.---.162) 23 aprile 2009 16:51

    Vi prego non smettete di scrivere e di far conoscere specialmente ai giovani la vera storia.
    Purtroppo molti hanno la memoria corta e solo chi ha vissuto quel periodo sulla propria pelle può raccontare i fatti, non a caso dopo 60 anni stanno cercando di riscrivere la storia a modo loro.
    Mia madre 80enne si ricorda bene chi erano i fascisti : erano quelli che, casa per casa, indicavano ai nazisti tedeschi chi erano i partigiani e chi li aiutava, e per loro non c’e stata salvezza.
    Quanti ragazzi ITALIANI sono morti per le "soffiate" di altri ragazzi "Italiani" come loro ?
    LA RAGIONE NON PUO’ STARE DA DUE PARTI - no alla equiparazione dei repubblichini di Salò
    Mi dispiace combatterono dalla parte sbagliata.

  • Di Kocis (---.---.---.150) 23 aprile 2009 23:51
    Cari amici di democrazia e libertà riconquistata a caro prezzo,

    coraggio e volontà.

    Il 25 APRILE SI RIEMPINO LE PIAZZE E I MILLE e più cortei già programmati, in tutt’ Italia.
    E’ la miglior risposta ai fascisti di ieri e di oggi.

    Oggi siamo un assoluto caso anomalo in Europa, dato che, purtroppo, i nuovi fascisti sono al Governo.

    Nessuna destra europea governante si sarebbe mai permessa di infangare la memoria dei propri partigiani che lottarono e morirono per sconfiggere il nazi fascismo.

    In Italia, più che destra, son fascisti.

    ...e vomitano e ruttano a volontà. buttando fango contro i martiri che con il loro sangue hanno dato libertà anche ai loro rutti.
  • Di sopracciglio (---.---.---.64) 24 aprile 2009 01:17

    La Russa è una delle tante vergogne nazionali, è fascista sino al punto di pretendere apertamente di capovolgere la Storia. E’ bene che qualcuno ce lo ricordi, ricorrendo all’ipse dixit, non suscettibile di alcun fraintendimento.

    E poi la nostra Storia.
    Questo articolo mi ha fatto vibrare.

  • Di luczip1 (---.---.---.234) 25 aprile 2009 22:57

    Punto Primo: La Russa è, ora, antifascista, quindi un traditore della sua storia e della sua famiglia.
    Punto Secondo: Ogni anno mi chiedo quali sono gli eventi significativi deilla resistenza. Io ricordo soltanto assassini, stragi, attentati, ma azioni importanti sul piano militare ZERO.
    A meno che non si citi via Rasella, dove degli sporchi assassini uccisero dei forestali altoatesini, oltre a numerosi italiani, fra cui un bambino.

    La resistenza è una favola per bambini scemi. Chi ne scrive riporti qualche episodio O TACCIA PER SEMPRE.

    Comunque non si trattò di resistenza, ma di sporche e vigliacche aggressioni omicide, al riparo di americani inglesi titini marocchini polacchi maori.

    Le azioni migliori sono state quelle in cui i partigiani si sono limitati a rubare polli e salami....

  • Di maria-torino (---.---.---.70) 27 aprile 2009 11:35

    Non bisogna confondere le alte cariche militari con i semplici soldati.
    Se non avessero combattuto da quella parte e non avessero compiuto le azioni ed eseguito gli ordini imposti, sarebbero stati ammazzati.
    Anche se erano contro la loro morale od il loro desiderio.
    Hanno semplicemente combattuto dalla parte sbagliata.
    Di cose nefande e mai integralmente ammesse ne sono state commesse da entrambe le parti.
    No, non mi sento di condannare quei ragazzi che hanno dato la loro vita a Salò, sia che lo abbiano fatto ordine imposto che per espressione del loro sentimento.
    Meriterebbero anche loro di essere ricordati il 25 aprile. 

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