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1945, di Ferenc Török

1945, e già il titolo è evocativo del dopo-guerra, di qualche resa dei conti che possa avvenire se un ebreo sopravvissuto torna nel suo paesino (ungherese in questo caso): chi si era appropriato, con atti falsi, della sua casa e dei suoi averi quando lo vide partire con quei treni-carri bestiame, comincia a sentirsi minacciato, che possa perdere ciò che ormai gli apparteneva.

C'è un fumo nero che sbuffa dal treno che arriva a questa ignota stazioncina, lo stesso fumo di quando il treno riparte, dev'essere un riferimento al fumo che usciva dai forni crematori. I viaggiatori di quel treno che arrivano e poi ripartono sono un padre e un figlio, silenziosi e solenni, che intendono sotterrare gli oggetti dei loro congiunti ebrei morti nel campo di sterminio, sotterrano “ciò che rimane dei nostri cari”, pure delle scarpine da bimbo. Cosa può provocare un atto simbolico, che trambusto di coscienze, che risveglio di latenti tensioni familiari, le reciproche accuse nella piccola comunità. La promessa sposa – fedifraga - di un matrimonio che non si celebrerà brucia il negozio di cui sarebbe divenuta proprietaria, il promesso sposo emigra per fuggire da quelle miserie paesane dove il padre “notaio” sembra avere architettato le sorti delle persone, un altro abitante s'impicca, altri si sentono minacciati di perdere la loro casa.

Nel film Come un gatto in tangenziale (altro genere, altra storia) il personaggio di Paola Cortellesi sperimenta che in un cinema d'essai bisogna assistere silenziosamente e non alzarsi finché i titoli di coda non scorrono tutti, pure se scritti in armeno: è la stessa riflessione che viene dopo 1945, si resta a pensare davanti a nomi ungheresi che scivolano sullo schermo. Le conseguenze della rapacità umana, qualcuno che si arricchì delle cose di gente mandata a morire, i rimorsi che tornano. Il film ne ricorda inevitabilmente un altro ottimo, Il segreto del suo volto di Petzold: anche in esso compare un numero di prigioniero sul braccio, anche in quel caso c'era stato il ritorno di una sopravvissuta. Questo di Ferenc Torok è molto pregevole, spartano di mezzi con bianco e nero e sottotitoli, con l'incessante calpestìo del cavallo che trasporta il carro con le due casse di oggetti da sotterrare, un rumore che incombe sulle miserie familiari dei nuovi padroni rimasti. Indimenticabili, e molto significativi delle parti che interpretano, i visi di due personaggi importanti: il notaio Péter Rudolf e sua moglie Anna Szentesne, due separati in casa col figlio mancato sposo, sodale della mamma. La partecipazione e i premi al festival di Berlino sono garanzia di qualità.

 

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