• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cultura > Panama | La rivolta di Tule

Panama | La rivolta di Tule

Nella lontana estate del 1977 ho partecipato ad una ricerca sul campo presso i Cuna di San Blas (Panama). Tra le varie attività, ho avuto modo di intervistare Rubén Perez de Kantule, il segretario di Nele de Kantule, il leader della Rivolta di Tule (1925). In pratica colui che presenziava a tutte la attività e redigeva i verbali.

Recentemente, rovistando nel mio archivio mi sono imbattuto negli appunti di tale intervista. Poiché si tratta di fonte inedita e poiché la storia mi sembra interessante, mi appresto a raccontarla succintamente. Molti sono gli elementi, spesso paradossali, che si intrecciano in questa storia: la presenza di una cultura con forte identità che aveva saputo gestire i contatti con i bianchi, i problemi della neo-nata Repubblica di Panama che aveva difficoltà nel controllare parte del suo territorio, l’azione di un avventuriero statunitense che godeva coperture sul piano scientifico, politico e diplomatico, l’incredibile spedizione alla ricerca degli “indios bianchi”, la presenza di militari U.S.A, le tensioni generazionali all’interno della comunità.

I Cuna sono una popolazione numericamente abbastanza rilevante, che vive nella costa a sud della Città di Panama e sulle isole antistanti, oltre ad una enclave minore che vive lungo il rio Bayano in piena selva tropicale. Posseggono un patrimonio culturale sciamanico e mitico estremamente ricco. La coscienza di questo li spinge ad avere atteggiamenti molto conservativi a difesa della loro cultura ed a esprimere forti tratti di etnocentrismo: definiscono sé stessi tule (uomini) o meglio olo-tule (uomini d’oro). Per gli stranieri usano il termine dispregiativo di wagas.

Nel 1903 Panama si era resa indipendente dalla Colombia in seguito alle vicende connesse con la costruzione del Canale. La comunità si divise: una parte più conservativa, guidata Inanakiña, rimase fedele alla Colombia, anche perché non si intrometteva eccessivamente; un’altra parte, guidata da Simral Colman, si schierò con l’autorità panamense e si dimostrò aperta ad un processo di modernizzazione, che interessava al governo panamense per riuscire a controllare il territorio. In questo contesto, si inserisce l’azione di Charles Robinson, un Cuna cha aveva lungamente navigato lungo la costa, che aveva frequentato la scuola missionaria e parlava correntemente inglese. Costui, che era convinto dell’utilità di apprendere dai bianchi e di modernizzare, era riuscito a farsi nominare sahila (capo villaggio) di Narganà. Inviò ragazzi a studiare a Panama e accettò la presenza di un missionario, suscitando l’ostilità delle altre comunità cuna, che minacciarono azioni di forza. Per questo motivo il governo panamense gli inviò armi per istituire una milizia.

Nel frattempo, anche l’altro leader filo panamense, Simral Colman, per non essere scavalcato, strinse relazioni con il governo di Panama ed accettò l’istallazione di una intendenza di polizia a Porvenir. Mentre si moltiplicavano le scuole, la polizia, composta da neri o mulatti, prese il controllo dell’intera area, nell’irritazione dell’intera comunità. Nel frattempo, i giovani che avevano studiato a Panama erano tornati e si erano costituiti in associazione. Erano l’esempio vivente di quali guasti poteva arrecare un impatto culturale violento, come quello cui erano stati sottoposti. Erano tornati nei loro villaggi con un sistema di valori completamente confuso e con una identità culturale quanto mai labile. Pensavano di avere, grazie alla loro esperienza, molto da dire. Strinsero rapporti di collaborazione con la polizia e con i vari maestri presenti. Si battevano per l’abolizione dell’uso dell’anello al naso, per sostituire i vestiti tradizionali con quelli occidentali e per sostituire alle danze tradizionali il modo di ballare degli occidentali. Questo ai loro occhi era l’aspetto caratterizzante del mondo degli wagas ed il simbolo della vera civiltà. Si ubriacavano spesso e si davano a violenze ed eccessi, in collaborazione con la polizia, che proibì la cerimonia rituale della chicha e i balli tradizionali. Obbligarono tutti i Cuna dei villaggi sotto il loro controllo a partecipare a feste da ballo all’occidentale, arrestando e picchiando chi si opponeva. Vi furono numerosi casi di stupro. A complicare la situazione, a seguito di questa “modernizzazione repressiva”, molti pescatori neri delle isole vicine iniziarono a pescare nelle acque dei Cuna. La società dei giovani si estese in tutti i villaggi e la sua azione, oltre che violenta, divenne capillare. Vi furono numerose ribellioni che venero represse con l’uso delle armi. Vi furono morti e villaggi incendiati.

In questo quadro di tensioni, si inserisce la spedizione di Richard Marsh. Nei primi mesi del 1924, i giornali panamensi annunciarono con grande rilievo la preparazione di una spedizione guidata da Richard Marsh, alla ricerca di “indios bianchi” che erano stati avvistati nei territori cuna. Richard Marsh viveva a Panama dal 1910, quale segretario dell’ambasciata U.S.A., nella cui veste ricoprì ruoli importanti. Il padre era stato membro del Congresso in rappresentanza dell’Illinois. Per la sua ricerca ottenne l’appoggio dello Smithsonian Institution e fu finanziato dagli industriali del caucciù. La spedizione incontrò molte difficoltà e si era praticamente sfasciata, quando venne a contatto con i Cuna di Sasardi. Questi lo accolsero festosamente e gli presentarono alcuni sipu tule (albini). In realtà, gli “indios bianchi” che erano stati avvistati erano solo casi di albinismo, molto frequente presso i Cuna. I suoi ospiti si lamentarono per le vessazioni che subivano da parte di neri e polizia. Marsh promise il suo interessamento e portò negli Stati Uniti una delegazione comprendente alcuni albini.

Marsh tornò presso i Cuna nel 1925, accompagnato da alcuni genetisti che si resero conto che non si trattava di “indios bianchi” ma, appunto, di albini. Tuttavia, ormai l’interesse di Marsh si era spostato dalla ricerca degli “indios bianchi” alla causa dei Cuna e iniziò a organizzare riunioni con i capi locali. L’attività cospirativa di Marsh era frenetica. Teneva riunioni in continuazione, girando di isola in isola ed appoggiandosi all’incrociatore “Cleveland” che si aggirava misteriosamente nei paraggi. Molti villaggi, come Ustupu, Ailigandì e Cartì, erano decisi alla rivolta, che venne guidata da Nele de Kantule. Costui andava ripetendo[1]: “Noi dobbiamo comandare nella nostra terra e farci rispettare. I nostri costumi stanno scomparendo, i nostri figli sono irrispettosi e disinteressati alla loro patria, malgrado la volontà impotente dei padri. I nostri fratelli di tanti villaggi sono sottomessi a pesanti tributi per capriccio di gente di estrazione più bassa della nostra. Dobbiamo liberarci dal giogo dei neri che ci maltrattano”.

Fu messo a punto un piano per la sollevazione, che doveva avvenire durante il carnevale. Le indicazioni erano: uccidere tutti gli wagas presenti, catturare ma risparmiare i poliziotti cuna che si fossero arresi e soprattutto concentrare le forze sul villaggio di San Ignacio de Tupile, dove vi era la maggiore presenza di polizia. Contestualmente, venne redatta da un’assemblea di diciassette capi villaggio l’”Acta de Independencia de la Republica de Tule”, che fu approvata il 12 febbraio 1925 e fu tradotta da Marsh e fatta pubblicare sullo Star and Herald di Washington. Il testo riprendeva alcune teorie di Hrdlicka, il direttore dello Smithsonian Institution, che erano state sentite durante il viaggio a Washington e che solleticavano l’orgoglio nazionale. Si trattava dell’ipotesi che i Cuna fossero discendenti dei Maya. L’influenza di Marsh sull’intera operazione ideologica fu determinante. Egli convinse i Cuna a determinarsi in repubblica indigena indipendente ed elaborò una bandiera: gialla e rossa con una svastica. Tuttavia, allo scoppio della sommossa andò a rifugiarsi sull’incrociatore “Cleveland”.

Mentre impazzava il carnevale a S. Ignacio de Tupile, arrivarono in massa gli insorti. I poliziotti “wagas” furono uccisi e quelli cuna risparmiati, ma emarginati dalla comunità. I giovani vennero presi prigionieri ed obbligati a tre mesi di lavoro per la comunità. Le scuole vennero incendiate. Tutti gli stranieri fuggirono o furono uccisi, compresi i figli di coppie miste. In tutto vi furono trecento morti. In tutta la zona controllata dai ribelli, filo governativi ed i giovani vennero malmenati. L’incrociatore “Cleveland”, con a bordo, oltre a Marsh, l’ambasciatore J.C. South ed alti ufficiali, impedì la reazione della marina panamense. 

La Repubblica di Tule durò fino al 1930, trovando una mediazione con il governo panamense. Furono ripristinate le usanze tradizionali e con molta discrezione si accettò il ritorno di maestri e polizia. Nele de Kantule ebbe l’accortezza di farsi rappresentare da avvocati panamensi. In questo modo, mentre all’interno si dimostrava intransigenza, si ponevano le basi per un accordo legale, cui erano interessate entrambe le parti: i Cuna volevano difendersi dalle compagnie bananiere statunitensi che si erano istallate nel loro territorio approfittando della situazione ed i Panamensi volevano riprendere il controllo dell’area.

Si arrivò quindi ad un accordo che si incardinava nella legge n° 59 del 1930, che istituì a San Blas la prima riserva autonoma. Nel 1953 si arrivò alla promulgazione della “Carta organica” che concedeva ampie autonomie alla Comarca indigena di San Blas. La sollevazione di Tule impresse una svolta a tutta la politica indigenista di Panama e riuscì ad affermare concretamente i diritti delle popolazioni indigene. Divenne quindi un esempio di lotta riuscita in difesa dell’identità e della autonomia dei popoli originari. Di ciò fu artefice Nele de Kantule che seppe gestire la situazione con determinazione ed avvedutezza ad un tempo.

 

Giancarlo Vianello

 

[1] R. Falla, rimaneggiamento di Historia de la revolucion de los indios cuna de San Blas di Jesus Erice, Hombre y cultura, 3-1, 1975; p. 195.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità