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Microcredit crunch

India e Bangladesh contano milioni di micro-debitori anche loro infilati nella bolla speculativa del credito, in questo caso gestito dagli operatori del microcredito, profit e teoricamente no-profit. Anche qui, come in occidente, poveracci che perdono la casa e la terra, vitale per sopravvivere. Qualche migliaio di contadini, ogni anno, si butta nel fiume.

Passeggiava orgoglioso con il bufalo al guinzaglio fra strade e sentieri di Thulo Parsel, sulle colline di Kavre in Nepal. Lo accompagnò come un parente nella sua casa di fango colorata per farlo vedere alla moglie e ai bambini, intorno razzolavano qualche capra e gallina. Per Pasanag Tamang un bufalo era un rendita (latte per circa euro 600 annui), uno strumento di lavoro (per l’aratura), una fonte di proteine per i suoi bambini e un investimento, sempre monetizzabile. Costo circa euro 1500, che era stato finanziato da un progetto di microcredito gestito da Comitato Scolastico (genitori ed insegnanti) della sua comunità.

La cosa ha funzionato e, nel giro di pochi anni, tutte le famiglie più povere del villaggio (quelle senza animali di grossa taglia) avevano il loro bufalo ricomprati con la restituzione del primo capitale, la scuola aveva seguito i pagamenti (senza problemi) e con gli interessi (il 10%, quelli normalmente praticati dai money lenders arrivano al 80% su base annua) aveva comprato banchi, libri per i bambini. Ogni anno, sotto un enorme pipal nei presi della scuola, tutte le famiglie della zona verificano le spese effettuate, controllavano quello che aveva fatto il loro Comitato, discutevano di piccoli progetti futuri. Quello che si chiama community auditing. Li era piccolo, controllato, inserito in attività di sviluppo più ampie e tutto ha funzionato.

Purtroppo ciò non sta accadendo nei paesi (India e Bangladesh) che hanno visto la più ampia diffusione del micro-credito nell’ultima decade. Dal 2003 al 2009 il numero dei micro-debitori è salito, in India, da 1 milione a 26,7 milioni, sorpassando il Bangladesh, dove il micro-credito in forma strutturata nacque. Gli operatori finanziari privati e no-profit hanno annusato il business e sono stati finanziati dalle banche istituzionali e dalla Banca Mondiale. Le società più dinamiche SKS Microfinance (George Soros e Vikram Akula), Spandana Sphoorty Financial, Basix & Share Microfin Ltd, hanno visto i profitti crescere del 100% annuo, le azioni volare in borsa, i redditi degli operatori moltiplicarsi. Sul tappeto sono rimasti i clienti (come ovunque) che però in India e Bangladesh hanno magari perso tutto quello che avevano, compreso il bene vitale della terra.

Mi raccontano amici che hanno lavorato nei villaggi dell’Andhra Pradesh (dove il 30% dei microcreditori indiani vive e il 20% non riesce a pagare), del Bihar o del Bengala che arrivavano 4-5 operatori di microcredito al giorno, aggiungendo ai contadini prestiti su prestiti per ripagare i vecchi. Gli importi erano bassi, USD 2000-3000 ma gli interessi raggiungevano il 50%. Poi, contrariamente, ai tradizionali usurai dei villaggi sparivano per ricomparire con minacce, carte bollate e poliziotti quando qualche rata saltava. Allora non c’era niente da fare, si prendevano le pentole, il risciò, la macchina da cucire, il tetto appena comprato, il bufalo e infine la terra e la casa. Nessuno pensava a sviluppare il contesto sociale ed economico perché i contadini potessero produrre, vendere, aprire attività sostenibili in ambienti economici e sociali fragili. In alcuni villaggi c’erano venti donne con la macchina da cucire nuova che, ormai, facevano abiti solo per loro stesse, decine di risciò fermi nella piazza del paese, un sacco di telefonini, televisori (magari funzionanti con una vecchia batteria).

Poi la bolla esplodeva e i soldi erano finiti (magari per ripianare altri debiti, per migrare in città, per pagare dote e matrimonio delle figlie) e i redditi creati dall’investimento nulli, arrivava la disperazione. Chi non reggeva, non migrava, si buttava nel primo fiume in piena o si beveva un litro di veleno per i topi. Uno studio ci dice che malgrado il costante abbandono dell’agricoltura (circa 8 milioni di contadini l’anno) il trend dei suicidi per debiti continua a crescere ed è stimato in oltre 16.000 vittime all’anno. There were no major changes in the trend that set in from the late 1990s and worsened after 2002, scrive uno studio.

Una bolla che oltre a soffocare i poveracci inizia a preoccupare anche le banche che nel corso dell’ultimo India Economic Summit stimano un rischio di perdite vicino ai USD 4 miliardi. Qualche banchiere parla delle stesso effetto per il sistema del subprime mortgage debacle. Si muovono anche gli stati ed ecco l’Andra Pradesh varare una legge severissima per limitare le società di micro-credito e riportare nelle mani delle agenzie statali, poco efficienti ma più indulgenti, la patata ormai bollente.

La crisi del microcredito investe anche i santoni del sistema come Mohammad Yunus e la Grameen Bank con circa 7 milioni di clienti solo in Bangladesh. Articoli e studi hanno segnalato che l’approccio seguito dalla Greemen (diventata una multinazionale del microcredito) ha portato benefici solo a una minima parte dei suoi clienti. Milfor Bateman, ricercatore senior presso l’ODI (Overseasa Dev. Inst.-Londra) s’è recato nel villaggio di Jobra da dove, nel 1970, Yunus iniziò le sue attività dichiarando “poverty will be eradicated in a generation” e l’ha trovato messo male. It is still trapped in deep poverty, and now debt too. La ragione è semplice, il microcredito, senza azioni di supporto sul contest economico, sociale e culturale, sulle capacità dei beneficiari, ha portato a un moltiplicarsi di piccolo attività in un uno spazio economico non in grado di sostenerle nel medio termine. Il ripagamento del debito, come in India, è la priorità sullo sviluppo delle comunità e degli individui e ciò ha portato anche per gli utenti della Grameen ad un impoverimento (stimato nel 45% dei beneficiari dei prestiti) e in molti casi alla perdita di terra e casa.

Anche per Yunus Il tasso d’interesse reale deve portare un profitto e non è molto differente da quello praticato dalle aziende profit con tassi del 30-40% fino al 60% in casi particolari. Un modello un po’ da rivedere come ha dichiarato Khorshed Alam, uno studioso del microcredito del Bangladesh, conclude un suo articolo “Grameen Bank’s wonderfl story of prosperità, solidarity an empowerement has only one problem: it never happened.” 

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.180) 16 dicembre 2010 10:39
    Damiano Mazzotti

    Indubbiamente ogni cosa quando supera certi limiti diventa dannosa... anche l’acqua può essere pericolosa se bevi troppo..

    Poi bisogna distinguere il vero microcredito gestito dai poveri e quello gestito dai soliti squali..

    e poi c’è un limite ambientale alla crescita delle popolazioni animali e soprattutto umane... In genere una genrazione migliora lo stato di benessere e si sente in dovere di fare figli... ma poi i figli diventano troppi e loro o i loro figli ricadono nella povertà...

    Da quando la medicina a scoperto la scienza e le vere cure mediche la popolazione umana raddoppia ogni circa 50 anni...

    E a mio parere nel 2050 la popolazione Terra avrà già superato ogni limite di sostenibilità... è ora di pensarci adesso...

    Oppure ci penseranno la guerra, la fame o nuove forme di malattie virali a limitarci

  • Di Giuseppe Fusco (---.---.---.82) 16 dicembre 2010 11:28

    Sono convinto che il problema numerico della popolazione sia un problema falso e illusorio.
    Come diceva Gandhi:
    "Nel mondo c’è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti, ma non per soddisfare l’ingordigia di tutti".
    E purtroppo sappiamo che nel mondo la ricchezza è nelle mani di pochi. Come il potere. E quei pochi non sono disposti a condividere né la ricchezza, né il potere con il quale aumentano la propria ricchezza.
    Perciò la democrazia, quella vera, quella che si attua nella vera partecipazione, viene impedita, limitata o è lì, illudendoci, senza mai permetterci di afferrarla davvero (e in questo caso penso alle nostre cosiddette "democrazie"). Senza permettere una partecipazione comune al benessere. Un benessere che è un diritto (e di tutti) e non un privilegio (e di pochi).

  • Di Gian Carlo Zanon (---.---.---.62) 16 dicembre 2010 12:29
    Gian Carlo Zanon

    Articolo interessante, non sono documentato su questi ultimi aspetti del icrocredito ma come accenni tu il problema è sempre quello di un pugno di uomini bramosi che distruggono intere società non appena queste riescono ad alzare la testa dalla miseria nera. Lo vediamo anche da noi in occidente purtroppo. Ne ho già scritto anch’io in una serie di articoli che se vuoi puoi trovare nel mio sito sotto la voce Economia. www.luomoinrivolta.it

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.212) 16 dicembre 2010 14:35
    Damiano Mazzotti

    Il probelma sembra falso e illusorio per adesso...

    Perchè l’umanità non si è trovata ancora in quella situazione...

    Prevenire è meglio di curare...

    Fino a poco tempo fa per ovviare al problema sovrannumero le popolazioni migravano o si facevano la guerra...

    Per quanto ne so, a parte deserti, siberia e zone artiche, le zono buone sono già tutte occpupate e sovraoccupate...

    Esempio.. Quali sono i problemi di Napoli? La densità abitativa è ai livelli delle più grandi città indiane....

    Poi è indubbio che c’è chi concentra troppo risorse...

  • Di Giuseppe Fusco (---.---.---.82) 16 dicembre 2010 16:14

    All’alta concentrazione di persone nelle città corrisponde anche un basso numero di abitanti in zone periferiche, che se sviluppate adeguatamente potrebbero contenere quanto si definisce sovrappopolazione.

    Faccio l’esempio dell’Africa, che conosco un pochino. Un eccessivo numero di persone in città come Nairobi, Dar es Salaam, Lagos, Accra (solo per fare alcuni esempi qui e lì) mentre ampie zone coltivabili sono lasciate inaridire.
    Le cause sono molteplici. Un paio:
    1) La centralizzazione (residuo coloniale che tra l’altro favorisce la corruzione), es.: anche per fare un certificato di nascita si deve andare nella capitale. Quindi è più comodo viverci che fare ogni volta anche centinaia di chilometri per un pezzo di carta o simili con dispendio economico, di tempo, energie, rischio di incidenti per la qualità delle strade, etc.
    2) Il sogno che nella città ci sia il meglio delle opportunità (fenomeno dell’urbanizzazione che è stato ed è anche nostro). Una volta arrivati, tornare indietro è un pò dichiarare fallimento (gli slum sono la peggiore espressione di ciò). Con tutti i problemi che ne conseguono.

    Non contiamo la desertificazione dovuta molto al fattore umano e che se si volesse si potrebbe evitare e combattere creando più "spazio" ... o meglio ricreando lo spazio che esisteva e molto di più.

    Da noi c’è anche un problema di comodità. Vogliamo il lavoro sotto casa. Che può essere anche giusto (ognuno sceglie quello che ritiene più opportuno per sé), ma non è sovrappopolazione. E’ piuttosto una questione di scelte.

    In Italia abbiamo bisogno di immigranti altrimenti la nostra economia ne risentirebbe. Quindi è davvero un problema di sovrappopolazione o sviluppo reale che includerebbe distribuzione di risorse umane, economiche, etc?

    Riguardo le guerre ... torniamo al discorso precedente: una questione di potere e interessi architettati ad hoc e non di sovrappopolazione, guerre di religione, guerre tribali, sicurezza non so di cosa, esportazione di democrazia (quale?), o fantasmi vari come qualcuno vuol farci credere.
    La storia non è mai cambiata ... cambierà un giorno? Spero non sia una domanda retorica.

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.130) 16 dicembre 2010 21:19
    Damiano Mazzotti


    Il mondo non è mica l’Italia...

    è invece la Cina, l’India, l’Africa, Haiti... Haiti è l’esempio più paradigmatico di società fuori controllo che ha distrutto gli alberi e la natura e dove si può sopravviveremale, spesso e volentieri solo facendo crimini più o meno grandi..

    E gli abitanti della Cina mangiano di tutto e non hanno rispettodi nulla: piante, animali, acqua e ambiente... Vedremo fra 20 anni a che punto sarà la Cina... E se andrà così 20 dopo il 90 per cento del pianeta sarà nelle stesse condizioni...

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