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La CIA e il Dalai Lama

I giornali italiani hanno rimbalzato una vecchia storia degli anni '50 sui finanziamenti della CIA ai profughi tibetani. Un'operazione militare e d'intelligence inutile che iniziò nelle colline di Kalimpong e finì a Kathmandu.

L'inizio dell'occupazione cinese del Tibet e centinaia di migliaia di rifugiati, in mezzo la guerra fredda, la fine la visita di Kissinger a Pechino quando i tibetani furono abbandonati. 

I giornali italiani (con l’abituale superficialità) hanno copiato l’articolo della Sueddeutsche Zeitung relativo all’intervento della CIA negli anni ’56-70 in Tibet . “Svelati i misteri, Ombre pesanti sul Dalai Lama” scrivevano, senza sapere che tutto quanto era già stato raccontato da John Kenneth Knaus (uno degli agenti CIA di collegamento) in un suo libro uscito nel 1999 dal titolo Orphans of the cold war (Public Affair, NY, usd 19). E, ancora prima, in un classico sul Tibet in esilio del buddhista John Avedon (In exile from the land of the snow, Wisdom Book, London, 1984). Una storia vecchia, Knaus si incontrò due volte con il Dalai Lama a Dharamsala nel ’64 e nel ’95, lui raccontò le vecchie avventure e il Dalai Lama lo ascoltò, forse con un po’ di rimpianto e pentimento perché i tibetani furono abbandonati e sconfitti, perché tanti perirono e, forse, perché anche lui (allora giovanissimo) sbagliò a farsi coinvolgere dalle ali più estreme della sua diaspora. Insomma lasciamo stare quel pover’uomo, che ha già tanti problemi compresa la vecchiaia e non coinvolgiamo anche lui nella costosa (per i contribuenti) spazzatura che è la stampa italiana.

La storia iniziò nei primi anni ’50 quando 40.000 soldati dell’Esercito di Liberazione Popolare, con una campagna bellica pianificata dal futuro leader Deng Xiaoping, entrarono in Tibet orientale ed occuparono la parte occidentale del Kham a cui venne dato il nome di Qamdo ed assegnato la status di territorio a statuto speciale (1950). Contro le forze d’occupazione e le brutalità commesse s’aggregarono gruppi di tibetani dissidenti e di briganti vari che tradizionalmente operavano in quell’area. Siamo negli anni della guerra fredda, conflitto in Corea, tensioni in Vietnam, pressioni dei nazionalisti cinesi da Taiwan, e via discorrendo. La CIA pensò di sfruttare la situazione e iniziarono i primi contatti con i ribelli.

Nel Tibet centrale, il governo tibetano e il Dalai Lama (allora 15 enne) assunsero i pieni poteri, in una situazione di grande confusione, tensione e divisione. L’idea fu tentare una mediazione con la Cina con il famoso “accordo dei 17 punti” del 23 maggio 1951 noto come “Trattato di liberazione pacifica”. Nel 1954, contemporaneamente al riconoscimento indiano dell’annessione cinese del Tibet, il Dalai Lama e il Panchen Lama, furono invitati a Pechino e parzialmente convinti di una possibile coesistenza con l’occupazione cinese. La mediazione durò fino al 1959, i cinesi occuparono progressivamente il Tibet, s’insediarono a Lhasa e cercarono di limitare, spesso con la violenza, la forte ascendenza del clero e della nobiltà sulla vita politica e sociale, iniziarono la colonizzazione Han del paese.

Nel 1959, lo squilibrio si allargò, il Dalai Lama fuggì in India, nel paese scoppiò una rivolta con centinaia di morti e incarcerati. Il vecchio Tibet era finito, iniziava quello cinese. Qui inizia la storia delle operazioni dirette della CIA che si concluderanno, come vedremo, nel pratone di Thundikel, nel centro di Kathmandu. Centinaia di migliaia di rifugiati, abituati a vivere a 4000 metri e a mangiare carne di yak finirono in Nepal e in India, nelle pianure a costruire strade, migliaia morirono, l’appoggio ufficiale dell’Occidente e delle Nazioni Unite inesistente, il governo in esilio verrà costituito un anno dopo con divisioni enormi, i giovani che pressavano per azioni armate e di terrorismo.

In questa situazione, con l’abituale incompetenze e brutalità, intervenne la CIA, sfruttò i bisogni, aiutò il governo in esilio, costituì gruppi di tibetani armati per azione di disturbo e d’intelligence oltre confine. L’India non s’oppose, dal 1959 al 1962 si contano decine di scontri alle frontiere nord-orientali con la Cina dove gli indiani presero delle gran botte. Nel 1959 un gruppo di una decina di tibetani vola a Camp Hale per un addestramento di guerriglia, nel 1960 iniziarono i rifornimenti aerei ai guerriglieri interni. Il Mustang nepalese diventa, insieme al Sikkim (Kalimpong) uno dei centri di smistamento di guerriglieri, armi e soldi. Si calcola che l’intera operazione sia costata oltre 20 milioni di dollari dell’epoca, di cui sicuramente una parte è andata al Governo tibetano in esilio per rafforzarne le strutture e assicurargli la sopravvivenza; cosa che fece anche l’India e altri governi occidentali in crisi di coscienza per lo scarso appoggio politico dato ai tibetani contro l’invasione del loro paese. Tanti soldi finirono amediatori vari, finti agenti, esperti, maneggioni.

 I risultati dell’operazione della CIA furono praticamente nulli, qualche centinaio di morti da ambo le parti, la Cina si consolidò militarmente sull’altipiano tibetano, schiacciando i guerriglieri nel Mustang nepalese (che per questo fu chiuso per decenni ai turisti). Nel 1968 finirono i soldi e gli USA iniziarono l’avvicinamento a Pechino (intanto era scoppiato il dissidio anche armato con l’URSS) e i tibetani iniziarono a diventare una fonte d’imbarazzo. Gli USA girarono la patata bollente al Nepal (in cambio d’aiuti), Re Birendra fu minacciato da Mao durante la sua visita a Pechino (1973) e i nepalesi iniziarono un’azione militare e politica per chiudere i campi dei guerriglieri. Birendra visitò il Mustang (di fatto governato dai guerrieri\banditi Khampa) e s’incontrò con il generale tibetano Gyatsho Wangdu per proporre una donazione di USD 500.000 e la riabilitazione dei combattenti. Wangdu (fra l’altro accusato di essersi appropriato di fondi della CIA e di banditismo nelle alti valli del Nepal) rifiutò ed iniziò, così, un operazione militare congiunta nepalo-cinese. Il Dalai Lama inviò suoi consiglieri e un videotape registrato per invitare alla resa ma Wangdu continuò a combattere fino ad essere catturato (forse con un tradimento di uno suo luogotenente) e ucciso dai militari nepalesi (1974).

Tutto si concluse a Tundhikel quando furono esibiti oggetti e vestiti del generale tibetano, premiati i militari nepalesi e messi in prigione (per 7 anni) alcuni suoi discepoli. Questa è, più o meno la storia, raccontata nei libri. I particolari, che sono storie di uomini uccisi, imprigionati, torturati e traditi, non ci stanno in questo post e mi li raccontò un vecchio lama, nella sua casa di Bodhnath.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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