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Ius soli: stranieri e cittadinanza

Ad aprire il dibattito sullo ius soli ci aveva già pensato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel novembre del 2011, incoraggiando il governo ad affrontare la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri.

A due anni di distanza è la presidente della Camera, Laura Boldrini, che dalla Calabria riapre un dibattito che molti sperano venga discusso in parlamento. Anche il Ministro per l’integrazione Cécile Kyenge, protagonista e vittima di una battuta non certo galante da parte di un leghista della prima ora qual è Calderoli, che tra l’altro ricopre il ruolo di vicepresidente del Senato, invita al dibattito e al confronto tra tutte le parti sull’argomento delucidandoci sulle varie forme che lo ius soli assume nei diversi paesi che lo contemplano nel loro diritto.

Cosa è lo ius soli? “Lo ius soli fa riferimento alla nascita sul “suolo”, sul territorio dello Stato, e si contrappone, nel novero dei mezzi di acquisto del diritto di cittadinanza”, come si legge nel sito del Ministero degli interni, “allo ius sanguinis, (disciplinato dalla L. 91/1992, ndr) imperniato invece sull’elemento della discendenza o della filiazione. Per i paesi che applicano lo ius soli è cittadino originario chi nasce sul territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori”.

L’Italia ha da poco oltrepassato i 60 milioni di abitanti, anche grazie ai 4,3 milioni di stranieri presenti sul territorio. L’integrazione degli stranieri, sebbene le enormi difficoltà che si presentano, è soprattutto visibile negli asili e nelle scuole italiane, dove si è verificato un forte incremento della presenza di figli di stranieri tra i i banchi di scuola.

Secondo uno studio della fondazione Leone Moressa, oggi sarebbero quasi 80 mila i figli di genitori stranieri che avrebbero la cittadinanza italiana se venisse applicato loro lo ius soli (studio basato su dati del 2011, ndr), infatti “nel 2011 sono nati quasi 80.000 bambini da genitori stranieri. Il 14,50%, quindi dei nuovi cittadini italiani, sarebbero stati figli di genitori stranieri.

Dal 2002 la quota di bambini nati in Italia è aumentata, così come l’incidenza dei nati stranieri sui nati totali, che è passata dal 6,20% del 2002 al 14,50% del 201. I minori stranieri, considerando anche coloro che non sono nati in Italia, stanno diventando di anno in anno una componente sempre più importante della popolazione e la loro incidenza sul totale dei minori si aggira intorno al 10%, ovvero quasi 7 punti percentuali in più rispetto al 2002. Se consideriamo le seconde generazioni, vale a dire coloro che sono nati in Italia, tali giovani stranieri possono essere stimati in circa 730.000 unità andando a comporre oltre il 70% della popolazione minore straniera complessiva”.

Nel mondo, lo ius soli puro, senza restizioni, viene applicato da 30 stati, quasi tutti situati nel continente americano. Per quanto riguarda l'Europa, invece, Francia, Germania, Regno Unito, Gracia, Olanda, Irlanda e Spagna hanno una legislazione non univoca sulla cittadinanza, basata sostanzialmente sia sul ius sanguinis sia sul ius soli, quest’ultimo temperato da requisiti più o meno forti a seconda delle nazioni che si vogliono prendere in esame (per un approfondimento clicca qui).

A rigor del vero, anche in Italia è presente una qualche forma di applicazione dello ius soli, che però si limita a riconoscere la cittadinanza italiana ai figli di ignoti e agli apolidi. Quindi una esigua minoranza, se non rara, potrebbe, ad oggi, avere accesso alla cittadinanza se non possiede i requisiti principali dello ius sanguinis: specie se consideriamo i dati testé indicati che dipingono un quadro variopinto e multiculturale della nuova generazione italiana.

Intanto è in esame in Commissione affari costituzionali una proposta di legge presentata il 14 giugno 2013, targata Movimento Cinque Stelle, recante alcune modifiche all’attuale legislazione vigente in materia di cittadinanza, la L.91/92, che aprirebbe la strada ad un utilizzo temperato dello ius soli.

Il dibatto in Italia, si sa, è lento a nascere, specie per questioni così delicate come la cittadinanza e l’immigrazione, due concetti che possono convivere o possono scontrarsi a seconda che si attui una buona politica sull’integrazione e per l’integrazione. E questo dello ius soli è destinato certamente a divenire un dibattito che potrà coinvolgere tutti gli italiani e non, perché si dovrà mettere a nudo l’identità italiana scopriremo se essa abbia una pelle coriacea o non sia nient’altro che una cristalliera fragile sulla quale mostrare i nostri vizi e le nostre virtù, la nostra cultura.

E già un politilogo di un metallo raro e pregiato quale è Giovanni Sartori, punzecchia e consiglia alla ministra Kyenge, dalle colonne del Corriere della Sera, di rivedere le sue idee di immigrazione, integrazione e cittadinanza. Che il dibattito abbia inizio.

 

Foto: Andrea Floris /Flickr

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.165) 16 luglio 2013 19:07

    penso che sia giusto che una persona nata in italia da genitori stranieri sia considerato cittadino italiano .speriamo che questo diventi reale e non solo parole.

  • Di (---.---.---.39) 16 luglio 2013 23:13

    e dibattito sia. 

    Io sono per il "Sanguinis" e cerco di spiegare il perché.
    La cittadinanza italiana deve essere collegata ad un rapporto di condivisione della "italianità" altrimenti non ha senso. Si presume che il figlio di due Italiani sia educato secondo la cultura, la lingua, la storia, le tradizioni e le regole condivise dagli Italiani.

    Certo, non è un italiano "vero" perché un neonato è uguale a tutti gli alti neonati nel mondo, diventerà italiano col crescere e con l’apprendere.

    Se ci pensiamo bene diventerà davvero cittadino italiano solo al compimento del 18 anno di età quando il diritto italiano concederà a lui sul piano del diritto civile la piena "capacità di agire" cioè di disporre dei suoi diritti (l’attitudine a porre in essere validamente atti idonei a incidere sulle situazioni giuridiche di cui è titolare senza l’interposizione di altri soggetti di diritto) potrà stipulare contratti e disporre dei suoi beni. Sul piano del diritto penale diventerà responsabile degli illeciti che eventualmente commette e ne risponderà pienamente. Sul piano del diritto pubblico acquisirà "la capacità di agire nel pubblico” e conseguirà il diritto all’elettorato attivo e passivo cioè potrà votare ed essere votato (salvo il Senato per il quale servono 25 anni) e ricoprire la maggior parte degli incarichi pubblici. Chi per caso (o per precisa volontà della madre straniera che sia venuta a partorire in Italia per donare al suo bambino gli eventuali vantaggi dell’essere italiano) nasce in Italia cosi come chi nascesse sopra una nave o un aeromobile di bandiera (equiparati al suolo Italiano) non avrà, alle sue spalle nessun legame con l’Italia. Non c’è motivo logico per il quale debba essere considerato italiano, è presumibile, se non resterà in Italia, che cresca parlando la lingua dei suo genitori o del luogo in cui vivrà secondo cultura, principi, tradizioni, leggi e costumi diversi.

    Comunque sia qualunque bambino che nasce in Italia non deve essere discriminato rispetto agli altri, altrimenti sarebbe razzismo, e dunque ritengo che, se egli rimarrà in Italia debba essere trattato a tutti gli effetti come tutti gli altri bambini figli di italiani. Al compimento del 18° anno di età, sempre che abbia vissuto in Italia (almeno in modo prevalente) e frequentato le scuole italiane (appendendo lingua, cultura, principi, tradizioni, leggi e costumi italiani) dovrà AUTOMATICAMENTE diventare cittadino italiano conseguendo gli stessi diritti e doveri che acquisisce un diciottenne italiano. Mi sembra molto semplice ed equo. 
    Che ne pensate?
    • Di (---.---.---.139) 17 luglio 2013 19:48

      Italianità? E che vuol dire italianità?


      Io sono italiano al 3000% e ho usi e costumi completamente diversi da chi vive dall’altra parte dello stivale, anche egli italiano al 3000%.

      Non esiste alcun principio costituzionale che imponga la predominanza della cosiddetta cultura italiana, anzi la costituzione dice l’esatto contrario. E’ la costituzione che definisce l’italiano e la costituzione non pone alcuna pregiudiziale di natura culturale, anzi.

      Ho come l’impressione che per italianità si intenda campanile.
    • Di (---.---.---.39) 22 luglio 2013 09:41
      scusa (---.---.---.139) ma questa l’hai fatta di fuori. Da un punto di vista logico-matematico prima ancora che sul piano del diritto. Se non esistesse l"italianità" o, se preferisci la "categoria" dell’essere italiano tutto il discorso non avrebbe nemmeno senso, non esisterebbe il concetto di cittadinanza e saremmo tutti apolidi. Essere italiano significa individuare all’interno dell’insieme della popolazione della terra, quel sotto insieme che definisce gli italiani. Su quale base ti definisci Italiano al 3000% se non individui le regole di appartenenza alla categoria? La Costituzione non è chiara al proposito ma definisce comunque il principio di cittadinanza a partire dll’art.3.
      Cittadinanza: “Vincolo di appartenenza ad uno Stato, che comporta un insieme di diritti e doveri”
      Questo "vincolo di appartenenza" è , appunto, l’ITALIANITA’ vincolo che non può essere proprio, a mio avviso, di coloro che casualmente nascono sul suolo italiano.
      La Costituzione italiana nell’articolo 3 afferma:
      “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, ecc… ”
      La parola “cittadinanza”, però, non ci ricorda lo Stato, bensì la “città”, perché la prima forma di società organizzata fu la “città – stato”.
      Ma chi sono i cittadini?
      Fin dagli albori della civiltà i gruppi umani organizzati hanno mostrato la tendenza a garantire la propria sicurezza, separandosi dagli altri gruppi e tracciando dei confini fra “cittadini” e “stranieri”.
      Per essere “cittadino”, dunque, occorre avere uno “status” (condizione) che viene riconosciuto a coloro che sono membri di una comunità (piccola o grande).

      É cittadino italiano chi nasce da padre o madre italiani, ovunque la nascita avvenga;
      la nascita deve essere dichiarata all’ANAGRAFE (il bambino eredita la cittadinanza dei genitori).
      La cittadinanza italiana si può acquisire:

      per adozione
      per matrimonio
      per beneficio di legge (a 18 anni)
      per naturalizzazione
      dopo un periodo di residenza stabilito dalla legge (oggi 10 anni)
      per eminenti servizi resi all’Italia
      Tutti coloro che posseggono questo “status” sono “uguali”, appartengono alla comunità allo stesso titolo (uomini e donne allo stesso modo) Con la cittadinanza si acquisiscono automaticamente uguali diritti e uguali doveri e si confermano i diritti umani (cioè, quei diritti che coinvolgono la sopravvivenza, la libertà personale, la dignità umana di ogni individuo che appartengono a tutti, senza distinzione di razza, religione ecc ed a prescindere dal possedere o meno la cittadinanza). 
    • Di (---.---.---.253) 24 luglio 2013 03:42

      Non credo proprio di averla fatta di fuori. Infatti nella costituzione non si parla di usi e costumi, gli italiani non sono definiti. Non devono avere una cultura di matrice cattolica, non devono avere idee politiche o sociali di un certo stampo, non esiste il cibo nazionale.


      Gli italiani devono rispettare la legge, punto. E la legge tutela le minoranze culturali e anzi ne promuove la partecipazione sociale. Questo vuol dire che non esiste l’italiano "tipo" e che non è l’aderire ad uno stampo culturale a definire l’italianità. Si è italiani anche se fuori dallo stereotipo, anzi la costituzione sottolinea come anche chi è "diverso" dal gregge ha pieno diritto di espressione.

      In altre parole puoi essere musulmano, mangiare cibo cinese ogni giorno, avere una cultura e professare idee che non vanno per la maggiore, indossare quello che ti pare... basta che rispetti la legge. Devi rispettare la legge ed esprimerti in lingua italiana, punto e basta.

      Anzi, ad ascoltare certa propaganda politica, pare che l’italiano sia diventato obsoleto, tanto da pretendere di esporre indicazioni stradali in dialetto.


      E’ la legge che va rispettata, non la cultura locale. Se non ci mettiamo in testa questo, si parla dell’aria fritta. Non troverai un solo passo nel nostro codice legislativo che ponga come requisito fondamentale il rispetto delle tradizioni locali per essere italiani. Non vale neanche per gli italiani, figuriamoci per gli stranieri.

      Gli stranieri non devono rispettare l’italianità, ma le leggi dello stato Italiano, il quale considera le differenze culturali come un valore aggiunto.

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